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Fenomeno vinile: sfiora il 10% del mercato discografico italiano

Da anni in controtendenza rispetto al calo del CD, il “vecchio” 33 giri sfiora oggi la soglia del 10% del mercato discografico italiano: merito (anche) di una distribuzione diversificata

Autore Michele Chicco
  • Il27 Luglio 2018
Fenomeno vinile: sfiora il 10% del mercato discografico italiano

Foto di Jamakassi/Unsplash

La rivincita del suono caldo dell’analogico è servita: i dischi in vinile sono tornati di moda. Ne vengono venduti in tutto il mondo, rosicchiano ai CD quote di mercato nel segmento fisico e raccattano nuovi fan anche tra i nativi digitali. L’Italia non fa eccezione. Nel 2017 la vendita dei vinili ha garantito all’industria musicale revenue per 16 milioni di euro. Si tratta del 10% dell’intero mercato nazionale fermo a 164 milioni di ricavi (dati Fimi). Rispetto all’anno precedente, le vendite in vinile sono schizzate del 50%: in un anno gli italiani hanno speso 6 milioni di euro in più per portarsi a casa dischi nel vecchio formato LP.

A livello mondiale dobbiamo moltiplicare i numeri e di vinili solo l’anno scorso sono valsi 640 milioni di dollari circa. Una nicchia di mercato non più tanto piccola che ha attirato in queste stagioni musicali le attenzioni delle case discografiche. Loro sono state abili a intercettare subito la richiesta del pubblico che, alla fine, ha espresso un desiderio abbastanza semplice. Voleva ottenere un’oasi di libertà nella quale ascoltare musica artigianalmente, secondo il collaudato rituale del vecchio giradischi di casa.

Una data simbolo per indicare il punto di svolta non c’è, ma sembra che la tendenza sia lentamente cambiata poco fa, proprio negli anni ’10.

«Tutto è iniziato dalla riproposta dei titoli iconici di catalogo, poi sono state coinvolte anche le nuove generazioni che non avevano mai conosciuto questo supporto», spiega Paolo Maiorino, director International Catalogue & Special Projects di Sony Music in Italia.

Dopo un buon rodaggio, a essere attratta dall’oggetto è oggi una vastissima porzione di pubblico. Le major concordano sull’ampiezza di un target senza età: il fascino del vintage colpisce in egual misura giovani o meno; chi ha vissuto l’epoca d’oro degli LP e chi ne ha potuto apprezzare solo i racconti. Un ruolo importante in questa rivoluzione l’ha giocata (ovviamente) anche il “fattore tendenza”, come spiega Patrizio Romano, a capo del catalogo e strategic marketing di Warner Music Italy. E lo è stato soprattutto «per un tipo di clientela più giovane, per la quale conta la bellezza dell’oggetto in sé: la grafica, il formato, le immagini e i testi».

Proprio grazie ai dettagli e alla cura estetica, i vinili venduti hanno scalato le classifiche e valgono ora circa il 20% del mercato fisico.

E chi ne vuole acquistare non è costretto più ad accontentarsi dei pezzi da collezione. Può apprezzare in vinile anche l’ultimo brano passato in radio. «I titoli del nostro catalogo sono ormai quasi 2mila in Italia; dalle iniziali limited edition si è passati alle permanent edition sempre disponibili in vinile», racconta Claudio Magnani, Caroline/Import Music Service di Universal Music Italia.

«La percezione – spiega Romano – è che i principali formati del prossimo futuro potranno dividersi proprio tra streaming e vinile». Ovvero i due vincitori conclamati del mercato musicale globale nel 2017. Del resto, bisogna lasciar spazio alle nemesi storiche per poterle apprezzare e quella che sta vivendo oggi l’industria discografica ne è un puro esempio in divenire. I vinili stanno diventando l’ultimo baluardo fisico a difesa del “barbarico” digitale, dopo che l’avvento dei CD li aveva sacrificati sull’altare della perfezione tecnica.

Per il futuro c’è fiducia, le major sono disposte a scommettere sul vinile di ritorno:

«In qualche modo – suggerisce Maiorino – sta avvenendo oggi proprio quello che è successo a fine anni ’80, quando si iniziò a portare in formato CD tutti i cataloghi fino allora disponibili solo in vinile e musicassetta. Oggi è il contrario: sempre più titoli sono ormai disponibili in vinile e c’è la tendenza a pubblicare molte nuove uscite anche in questo formato».

Chi se ne vuole procurare può cercare nei negozi specializzati. «Ne sono nati diversi ed è un buon segnale», sottolinea Maiorino. Ma la via tradizionale non è la sola strada per assicurarsi un vinile di nuova generazione. Si fa sempre più largo tra le reti commerciali l’inaspettato canale delle edicole, «in passato spesso bistrattate dal pubblico dei puristi», aggiunge Magnani di Universal Music Italia.

Al fianco delle novecentesche rivenditrici di giornali, poi, i vinili riescono a riscuotere un deciso successo anche online. L’immensa piazza virtuale pesa per il 50% delle vendite. Questo perché – spiega Patrizio Romano – il web ha un vantaggio competitivo per niente banale rispetto ai rivenditori su strada: «L’e-commerce offre un’ampia disponibilità e selezione di titoli». Insomma, è la cuccagna: il click and buy da casa ha scalfito i cuori anche degli appassionati più decisi.

Il valore dell’industria musicale nel mondo e in Italia

L’industria musicale vale nel mondo 17,3 miliardi di dollari e festeggia il suo terzo anno consecutivo di crescita. Per la prima volta nella storia della discografia, i ricavi digitali globali hanno superato quelli generati dai supporti fisici. Tra streaming e download infatti l’industria ha raccolto oltre il 54% delle revenue. Sono i dati diffusi dal Global Music Report 2018 dell’IFPI. L’associazione di categoria smorza però gli entusiasmi: i 17,3 miliardi raccolti corrispondono al solo 68,4% del picco di mercato toccato nel giurassico 1999.

Lo scorso anno a giocare la parte del leone è stato lo streaming. Grazie ai 176 milioni di abbonati sulle varie piattaforme, come Spotify o Deezer, lo streaming è diventato la principale fonte di entrate per l’industria. Il segmento vale sul mercato internazionale il 38,4% dei ricavi totali; la vendita dei dischi in formato fisico il 30% e i download digitali appena il 16%.

Se nel mondo si tira un sospiro di sollievo, l’Italia si ritrova in affanno. Fuori dalla top ten dei mercati più influenti al mondo la discografia italiana si ferma a 164,6 milioni di euro di ricavi. In calo del 6% rispetto al 2016. Il mercato fisico continua ad avere un peso preponderante: vale il 52% del totale, quasi 85 milioni di euro. Tutto il resto è digitale: lo streaming, a pagamento o meno, vale 65,3 milioni e nel 2017 è in crescita del 2,42% rispetto all’anno precedente.

«Il mercato italiano ha visto un calo per lo più dovuto a una revisione delle basi contrattuali con le piattaforme. Ma i primi mesi del 2018 hanno già mostrato un nuovo balzo con lo streaming (+67,5%) che supera il fisico, comunque in crescita nel primo trimestre (+5,8%)», ha spiegato l’amministratore delegato di Fimi, Enzo Mazza.

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