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«La funzione del Primo Maggio è fondamentale»: intervista al direttore artistico Massimo Bonelli

Il Concertone ha un ruolo importante nella rappresentazione della musica del nostro paese e come trampolino di lancio per gli artisti. Ecco perché la sua organizzazione è una responsabilità

Autore Federico Durante
  • Il1 Maggio 2019
«La funzione del Primo Maggio è fondamentale»: intervista al direttore artistico Massimo Bonelli

Musicista, produttore, fondatore dell’agenzia iCompany, Massimo Bonelli è anche (e soprattutto) noto come direttore artistico del concerto del Primo Maggio. È coinvolto nell’organizzazione dell’evento dal 2015 e da allora si sforza di portare sul palco di piazza San Giovanni le voci della nuova scena musicale italiana. Perché il Concertone ha «una funzione fondamentale» nella rappresentazione fedele della musica del nostro paese, oltre ad avere un ruolo importante come trampolino di lancio per gli artisti. In occasione dell’edizione di quest’anno gli abbiamo chiesto conto delle criticità e delle soddisfazioni che si incontrano nell’organizzazione di un evento particolare come questo.



Parlando di scelta artistica, abbiamo notato negli ultimi due anni un rinnovamento molto interessante nella lineup del Concertone: si è aperta molto alla nuova scena musicale italiana. L’edizione di quest’anno mi sembra che voglia proseguire su questa linea.

L’anno scorso è stata la prima edizione in cui sono stato l’unico organizzatore del concerto, le precedenti le avevo fatte in co-organizzazione. Lo scorso anno ho avuto la possibilità di imprimere questa svolta e quindi ho dovuto raccontarla e convincere gli artisti a crederci. Quest’anno è andata al contrario, cioè ho dovuto dire dei no a degli artisti che magari l’anno scorso avrei voluto coinvolgere. Perché sono tantissime le proposte che ci sono arrivate: si è trattato di mettere insieme un mosaico di opportunità. È un cast che mi piace.

Come funziona la composizione del cartellone del Primo Maggio? Quando cominciate a lavorarci?

Io mentalmente già ci lavoro dalla fine dell’edizione precedente. Io ascolto musica per mestiere perché sono appassionato, sempre alla ricerca di nuove cose, cerco sempre di capire quello che avviene nella musica italiana. Quindi viene anche spontaneo. Poi la parte di concretizzazione comincia da fine gennaio fino a metà marzo. Sono due mesi in cui si cerca di mettere insieme tutti gli ingredienti e tirare fuori una ricetta che sia coordinata ed eterogenea.

Gli input vengono sia da voi che dagli artisti?

È un misto. Si tratta di un evento in cui non ci sono budget così importanti da potersi permettere il cast ideale. È un cast di artisti che vogliono venire al Primo Maggio perché magari vogliono essere presenti per il significato della giornata o per raccontare il loro momento artistico. Sono artisti che devono essere intenzionati a venirci.

Nell’edizione di quest’anno mi salta all’occhio un nome importante come quello di Noel Gallagher, con i suoi High Flying Birds. Com’è stato coinvolto?

Io ho un problema famigliare perché mia moglie è una fan sfegatata degli Oasis, quindi mi ha massacrato negli ultimi anni… (ride, ndr) L’ho visto l’estate scorsa a Roma, quando è venuto a suonare alla Cavea dell’Auditorium. Mi è piaciuto molto il concerto e da lì è nata l’idea di coinvolgerlo. Un po’ alla volta ci siamo riusciti. A lui piace il contesto, lo conosceva già perché c’era stato nel 2002 con gli Oasis. Quindi ha deciso di esserci: è il nome internazionale che ci serviva per accendere i riflettori anche per una stampa che sta riconoscendo nuovamente il valore e la forza di un concerto che magari all’inizio degli anni ’10 era un po’ scemato.

Per me il Primo Maggio, un po’ come Sanremo, è una di quelle istituzioni musicali capaci di dare una rappresentazione collettiva della musica italiana. Quanto è importante che questa rappresentazione sia attuale e fedele alla scena musicale di oggi?

Per me la funzione del Primo Maggio è fondamentale. Lo è stata nella mia vita. Negli anni ’90, quando ero ragazzo, venivo a Roma dalla provincia di Salerno e lasciavo a mia madre l’incarico di registrarlo su videocassetta. Attraverso il Primo Maggio io venivo in contatto con la musica che avrei scoperto nei mesi successivi come la migliore musica italiana. Per me è stata una funzione fondamentale nella mia crescita come musicista e come amante della musica.

Nel 2015 il mio sogno era di portare ai ragazzi quello che il concerto era stato per me negli anni ’90. Credo che siamo sulla direzione giusta. Mi piace che ci sia tutta la musica nuova italiana e che possa essere rappresentata in diretta televisiva. Ci sono tanti artisti che sono passati dal Primo Maggio e poi sono diventati molto conosciuti – vedi Thegiornalisti, Coez, Lo Stato Sociale – alcuni dei quali sono anche andati a Sanremo.

Qual è la complessità nell’organizzare un evento di questo tipo? Immagino che ci siano tante diverse “anime” coinvolte.

Assolutamente sì. Io dal punto di vista artistico sono abbastanza “talebano”, per me è molto importante quello che rappresentiamo qui: le scelte non sono mai fatte per convenienza. Per me è importante riuscire a essere coerenti nel messaggio che diamo. È surreale la difficoltà di organizzare un evento di queste dimensioni, così esposto a intemperie, critiche, imprevisti. A volte mi dico: “Ma chi me lo fa fare?”. Però poi la bellezza di vedere quella piazza strapiena con ore di musica che tu in qualche modo hai confezionato ripaga tutto lo stress che si vive per arrivarci.

Come dicevi, il concerto può rappresentare un ottimo trampolino di lancio per artisti che magari hanno già il loro pubblico affezionato ma che esposti in un contesto di quel livello, peraltro in televisione, possono guadagnarsi un pubblico molto più ampio.

Finché l’artista lo vedi su una base o in un videoclip, sono contesti in cui è molto meno esposto. Mentre sul palco del Primo Maggio lo vedi così com’è davvero. Se ha qualcosa da trasmettere, è inevitabile che lo faccia. Stare su quel palco dà un La. L’anno scorso è stato interessante vedere come nella settimana successiva all’evento, quasi tutti gli artisti hanno avuto impennate nelle classifiche di vendita. Questo mi ha fatto capire che abbiamo un ruolo importante, di responsabilità.

Quali sono gli scogli che secondo te devono essere ancora superati nell’organizzazione dell’evento?

L’evento ha un impatto critico sulla parte amministrativa enorme. È difficilissimo da organizzare, potenzialmente molto pericoloso. Se metti sulla bilancia vantaggi e svantaggi, non c’è paragone. Solo un pazzo potrebbe decidere di lavorare su questo progetto. Io la vivo come un’azione civica verso la cosa che mi ha salvato, la musica italiana. Mi sono dato anche una scadenza: l’anno prossimo deciderò una data in cui fermarmi. Sto facendo un percorso però è giusto che a un certo punto io faccia anche altro.

Fra gli artisti che hai portato sul palco di piazza San Giovanni ce n’è qualcuno che ti piace in modo particolare?

Sì, io sono un grande fan de La Municipàl. È l’unico gruppo che mi ha spinto ancora a fare un lavoro specifico di produzione dalla A alla Z. Mi sono innamorato di questo progetto e voglio aiutarlo a crescere.

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