Auto-tune, ne conosci la storia? “This Is Pop” può aiutarti
Uno degli otto episodi della nuova docu-serie musicale di Netflix spiega la genesi del celebre software attraverso le voci dei suoi protagonisti fondamentali
Sapete chi ha inventato l’auto-tune e qual è la storia di questo software rivoluzionario? A questa domanda risponde l’episodio intitolato Auto-Tune di This Is Pop, la nuova docu-serie Netflix fresca del suo debutto sulla piattaforma. Con otto diverse puntate di circa 45 minuti l’una, la serie è già fra i documentari musicali più visti al momento in tutti gli Stati Uniti.
This Is Pop è prodotta dalla stessa Netflix e Banger Films, insieme a Bell Media Studios e Eagle Rock Entertainment. Pubblicata appena cinque giorni fa, racconta i retroscena delle tue canzoni pop preferite, citando letteralmente la sinossi. Gli episodi approfondiscono temi come l’influenza dei festival sulla scena musicale odierna, la nascita del Brit-pop, o ancora, il ruolo della Svezia nella scrittura delle hit più importanti di artisti anni ’90 come i Backstreet Boys o Britney Spears. Ultima, ma non per importanza, la genesi dell’auto-tune, il potente software in grado di migliorare l’intonazione di qualsiasi cantante, dal più talentuoso al più… stonato di tutti. Un’invenzione che ha cambiato la vita (e la carriera) di diversi artisti, e non solo.
Figura chiave nella puntata Auto-Tune diretta dal regista Jared Raab, è, ovviamente, T-Pain, il cantante e rapper statunitense che ha fatto di questo strumento il suo marchio di fabbrica e, oltre a raggiungere un successo internazionale incredibile, ne ha purtroppo vissuto anche le conseguenze. Ripercorriamo la storia di questo tool, amato – e odiato – da molti, ad oggi onnipresente e, spesso, indispensabile, nelle hit delle classifiche di tutto il mondo.
Auto-Tune, l’invenzione di Andy Hildebrand
Tutto inizia da un’intuizione dell’ingegnere elettronico Andy Hildebrand nel lontano 1996. Prima di lui, altri avevano tentato di creare un strumento in grado di migliorare la voce umana nelle performance vocali, senza però portare risultati concreti. Hildebrand, intervistato per l’episodio di This Is Pop, racconta di una richiesta ricevuta da una sua amica, cantante, che – visti i successi dell’ingegnere nella ricerca sui dati sismici utilizzando il riverbero del suono – gli chiese di inventare un sistema per essere più intonata.
Dopo una serie di lunghe equazioni, Hildebrand è riuscito a produrre un vero e proprio software. Auto-Tune nasce quattro mesi più tardi, sviluppato ufficialmente dalla Antares Audio Technologies.
Prima di questo software non esisteva praticamente nessun programma per computer in grado di fare quello che l’auto-tune ha reso possibile nell’industria discografica. Ken Scott, produttore degli Abbey Road Studios, racconta ai microfoni di Netflix di come artisti come i Beatles o David Bowie non avessero mai avuto bisogno di correzioni a livello vocale. Questo era possibile perché le registrazioni venivano fatte in più sessioni, a volte lunghe anche una settimana. Auto-Tune, però, ha introdotto la possibilità di ridurre i tempi di prova in studio e di ottenere una performance perfetta in appena mezz’ora.
Believe di Cher, il primo brano della storia registrato con l’auto-tune
All’interno del software, una manopola rendeva possibile la correzione degli errori di intonazione sulla voce registrata. Si scoprì, poi, che una variazione di frequenza permetteva di alterare la voce completamente, dando quell’effetto “robotico” che oggi conosciamo. Nel 1998, Believe di Cher fu la canzone della svolta. Il suo produttore, Mark Taylor, dopo la pubblicazione del brano nascose in tutti i modi l’uso dell’auto-tune da parte della cantante. Nelle interviste con la stampa, dichiarava che fosse tutto dovuto all’utilizzo di vocoder particolari e pedali di alterazione vocale.
Quella di Cher fu effettivamente la prima volta che nella musica pop mainstream si sentì questo suono sconosciuto. Da quel momento in poi, l’artista fu sommersa di richieste da parte di centinaia di produttori in cerca di notizie sul prodigioso strumento. Nulla fu mai svelato fino all’inizio degli anni ’00, quando il suo utilizzo su larga scala avrebbe segnato una svolta nell’industria discografica.
L’ascesa di T-Pain e l’auto-tune nell’hip hop
2001: un nuovo fenomeno nasce dai quartieri di Tallahassee (Florida). Il rapper T-Pain, desideroso di distinguersi nella scena hip hop della sua zona, racconta di essere stato colpito da una pubblicità ascoltata in radio. La canzone di quella pubblicità era If You Had My Love di Jennifer Lopez, e T-Pain aveva percepito che la voce dell’artista aveva qualcosa di strano. Folgorato anche lui dal magico e misterioso strumento inizia una lunga ricerca, comprando decine di programmi per computer che avessero plug-in simili all’auto-tune, senza mai trovare l’effetto giusto. Un giorno, il rivoluzionario software di Antares Audio Technologies entra finalmente in suo possesso.
Da quel momento in poi, la musica dell’artista non è più stata la stessa. Inizialmente criticato a causa di questa idea “diversa” e dalle modifiche che apportava alla voce, il rapper controbatte difendendo altre grandi innovazioni nel corso della storia della musica che inizialmente non furono accolte come avrebbero dovuto. Un esempio su tutti: il vocoder, o talk box, un tubicino di plastica collegato a una macchina che, utilizzato da pionieri come Roger Troutman, resiste ancora oggi nelle hit del pop mondiale (ascoltate l’intro di questa canzone di Bruno Mars) e nelle storiche produzioni West Coast dell’hip hop d’oltreoceano.
Applausi, critiche, boicottaggi
Morale della favola: T-Pain diventa uno degli artisti più apprezzati e odiati allo stesso tempo per il suo utilizzo massiccio dell’auto-tune, scrivendo hit come I’m Sprung e diventando il featuring più richiesto nei primi anni ’00 da tutti i maggiori nomi di quegli anni della scena hip hop e R&B internazionale. I commenti al riguardo non tardano ad arrivare: da chi lo accusa di aver rovinato per sempre la musica (lo ha fatto Usher, un commento che è costato a T-Pain una depressione lunga quattro anni), a chi, invece, coglie le potenzialità della sperimentazione dell’artista.
È Kanye West, con l’album 808s & Heartbreak (2008), a dare fiducia a questa tendenza, confessando a T-Pain di apprezzare il suo metodo e di voler fare delle “canzoni d’amore con tanti bassi” – da qui il titolo dell’album – utilizzando proprio l’auto-tune.
Death Of Auto-Tune di Jay-Z, invece, è uno dei primi titoli a scagliarsi contro l’ormai diffusa tecnica di alterazione vocale che in quegli anni prende piede fra i rapper degli States. Altri, insieme a Jay-Z, commentano negativamente l’uso di questo “diabolico” programma: Death Cab for Cuties, Christina Aguilera e altri artisti iniziano una campagna anti auto-tune, scatenando al tempo stesso un odio irragionevole nei confronti di T-Pain, che piomba in un lungo periodo di sconforto.
Il giro del mondo dell’auto-tune
Grazie al miglioramento della tecnologia oggi a disposizione e dal basso costo dei software per computer, l’auto-tune ha avuto nell’ultimo decennio un’impennata decisiva. Centinaia di migliaia di persone, da artisti a produttori, fino ai creatori di video virali, sono in grado ora di apporre l’auto-tune in innumerevoli contenuti audio e video. La conoscenza di questo programma e la popolarità di tale strumento si è diffusa in tutto il mondo, e, attualmente, si fa un uso dell’auto-tune in occasioni anche totalmente slegate dalla produzione discografica.
Nei paesi islamici, per esempio, l’auto-tune è utilizzato spesso per migliorare il cosiddetto melisma, una tecnica che consiste nel vocalizzare suoni gravi e acuti che, nel mondo arabo, annuncia la preghiera cinque volte al giorno. Questa tecnica, presente in molte altre tradizioni fra cui quella afroamericana, ha ispirato anche molto dell’R&B che conosciamo oggi. Un esempio? Ascoltate i vocalizzi di Whitney Houston nei primi secondi dell’intramontabile I Will Always Love You.
Il riscatto di T-Pain e l’eredità attuale
Tornando a T-Pain: ci fu un episodio fondamentale, qualche tempo fa, che ha dato modo all’artista di dare di nuovo lustro alla propria carriera. Il suo ruolo, oltre che di precursore di una tendenza oggi indispensabile, è stato rivalutato grazie alla sua partecipazione al format musicale Tiny Desk Concert nel 2014. In seguito a questa performance, in cui l’artista non ha utilizzato l’auto-tune, i commenti e i tweet nei suoi confronti si sono moltiplicati. “T-Pain sa effettivamente cantare”, recitavano molti di questi, nello stupore generale.
In quegli anni, il genere trap stava contemporaneamente salendo alla ribalta (anche in Italia) e l’uso dell’auto-tune è oggi diventato assolutamente indispensabile per moltissimi rapper in vetta alle classifiche. È chiaro che di critiche ce ne sono state moltissime, ma il vero merito dell’auto-tune è stato quello di voler cambiare qualcosa nella tradizione musicale. Probabilmente, una futura innovazione tecnologica, così come ha fatto il software di Hildebrand, darà vita a una nuova e potente rivoluzione nell’industria discografica. Nonostante il suo inventore non ci avesse minimamente pensato, alla fine dell’episodio di This Is Pop conclude: «Che sia negativo o positivo per la musica non è importante. Non è per questo che l’ho creato, l’ho fatto per amore dell’aritmetica».