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Al Barezzi Festival una serata anni ’80 (quasi perfetta)

Ieri sera al Teatro Regio di Parma si sono esibiti gli Echo and The Bunnymen nel festival che stasera vede protagonisti Apparat e domani i Nouvelle Vague

Autore Tommaso Toma
  • Il16 Novembre 2019
Al Barezzi Festival una serata anni ’80 (quasi perfetta)

È una serata da un tardo pomeriggio plumbeo e freddo, l’inverno si manifesta nelle sue migliori maniere (o peggiori, dipende il vostro livello di meteropatia). Sembra essere entrati in una stagione di lustri fa, quando non si ripeteva come un salmo: “non esistono piú le mezze stagioni” o “è tutta colpa del buco nell’ozono”.

Il Teatro Regio è peraltro in questa occasione una “capsula” spazio temporale proiettata negli anni ’80. Stasera suoneranno gli Echo e il pubblico arriva già dal pomeriggio al Barezzi Festival per vedere l’appetizer: Dente e Vasco Brondi, che sembrano adattarsi bene a questo mood. In fin dei conti, anche se per ovvi motivi generazionali non hanno a che fare con quella decade, nel loro stile – non solo compositivo – tracce dei migliori ’80, ci sono. Per noi “eletti” (giornalisti, promoters, amici di…) ci è stata data anche la possibilità dal Barezzi Festival di goderci un bell’aperitivo rinforzato in un’area del foyer.

Il DJ scrolla dal PC una ottima playlist dei coevi degli Echo, Dente è appoggiato allo stipite di una porta e mi ricorda con il suo aspetto e il suo sguardo attento ma vagamente melanconico, uno di quegli studenti fuoricorso di filosofia che frequentavo nel 1987 alla Statale di Milano. E che avevano sempre in tasca una cassetta / compilation fatta a casa, forse di notte e strepitose, che passavano da Battisti a Diamanda Galas.

Sì è una serata dannatamente e felicemente anni ’80 ma quelli che rimpiango. Quelli dei non rampanti, dei non euforici, di chi leggeva Peter Handke e odiava i Vanzina.
Il mio posto è regale, in un balcone del magnifico teatro appena sopra il golfo mistico desolatamente vuoto, ma la giustificazione c’é.

Nelle mie proiezioni mentali mi sarei aspettato gli Echo con un’orchestra e suonare nello stile del loro capolavoro, Ocean Rain. Ma non è così. La band si presenta in una formazione tipicamente rock con il grande (adesso anche fisicamente) chitarrista Will Sergeant a fianco di un Ian McCollough total black e con occhiali da sole quasi a marcare quell’infelice distacco. Quella mancata empatia con quella situazione magica e perfetta che il tempo meteorologico, il Barezzi Festival, Dente appoggiato allo stipite e il DJ deliziosamente retomaniaco, avevano creato per Ian e i suoi Bunnymen.

Ogni piccola frase di Ian rivolta al pubblico era uno sbiascico incomprensibile e nonostante la band suonasse bene e con le migliori intenzioni, sembrava tutto una mezza formalitá. Anche se un talento immenso come lui, Ian, che per qualche anno – tra il 1984 e 1987 – si inserì nel gotha del rock anni ’80 accanto a Bono, Jim Kerr o Michael Hutchence e Dave Gahan; la voce bellissima è rimasta. E perfetta per la sempre magnifica e possente The Cutter o per l’anthem The Killing Moon.

Ma Ian gigioneggia troppo quando mescola Nothing Lasts Forever con Walking on the Wild Side di Lou Reed che diventa “walking on the Merseyside”. O quando cita i suoi beneamati The Doors (gli Echo avevano pubblicato una buona versione di People are Strange) nella arruffata cover di Roadhouse Blues.

Era tutto perfetto, peccato che Ian non abbia flirtato con noi a questo giochetto di “ritorno al futuro”.

Pazienza, ma il Barezzi si conferma uno dei più raffinati “boutique” festival dell’anno.

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