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Davide Shorty e AmaSanremo: «Il jazz è da vecchi? Sentite “Regina”»

Abbiamo intervistato Davide Shorty, tra i 10 finalisti che stasera proveranno a strappare il pass per la kermesse di marzo 2021

Autore Filippo Motti
  • Il17 Dicembre 2020
Davide Shorty e AmaSanremo: «Il jazz è da vecchi? Sentite “Regina”»

Davide Shorty / ph: Ambra Parola / stylist: Aurora Zaltieri

Questa sera si chiederà un ultimo sforzo ai 10 finalisti di AmaSanremo, evento da cui usciranno le 6 nuove proposte che prenderanno parte alla prossima edizione del Festival. In vista dell’atteso appuntamento, abbiamo intervistato uno dei partecipanti: il cantautore siciliano Davide Shorty, che proverà a sbancare Sanremo Giovani con la sua Regina.

Come arrivi all’appuntamento di questa sera?

Sono un po’ emozionato, ma anche abbastanza centrato. Sto cercando di meditare ogni giorno e di mangiare bene. Ovvio che quando c’è un’esibizione così importante uno ha mille pensieri per la testa, da tutto quello che può andare storto a quello che può andare bene.

Dopo X Factor hai passato momenti difficili. Non hai avuto paura che Sanremo potesse ricondurti in un tunnel simile?

No, non mi è venuto questo timore. C’è una grossa differenza. Quando ho fatto X Factor era un periodo della mia vita in cui non mi volevo particolarmente bene, ma soprattutto stavo indossando un abito che non mi calzava a pennello. Ho fatto tante cose al meglio delle mie possibilità, ma comunque non ero completamente a mio agio. Questa cosa si è ripercossa sulla mia salute mentale nel post X Factor. Non ero in linea con l’immagine che avevo di me. Penso sia importante parlare di depressione. Può capitare a tutti, come un raffreddore. Il primo passo per imparare a chiedere aiuto è non crearsi problemi nel dire che si sta male.

Ora come stai?

Sono assolutamente a mio agio. Le persone con cui ho scritto il brano sono come una famiglia, è come portarla con me sul palco.

Sei entrato in una nuova fase della tua vita. Qual è lo stadio più importante che hai raggiunto quest’anno?

Penso di essermi finalmente accettato. È probabilmente la mia più grande conquista del 2020. Aver passato tempo da solo mi ha forzato ad ascoltarmi e a dialogare con me stesso. Ho ricominciato a meditare con una certa regolarità.

Cioè?

Ho iniziato un percorso spirituale da un paio d’anni a questa parte, poco dopo X Factor. Non mi rendevo conto di stare male, ma effettivamente non funzionavo. Adesso sto continuando a cercare la mia strada in questo percorso di accettazione. E sono felice del paesaggio che sto vedendo lungo la strada.

La contaminazione è una cifra stilistica della tua carriera. C’è un genere in Italia in cui si sta perdendo quest’aspetto?

Penso nel pop italiano (inteso come quella che va per la maggiore), vorrei vedere in classifica della musica più sperimentale. Mi piacerebbe che il panorama musicale si aprisse all’essere alternativo, che si ritrovasse la curiosità per la ricerca. Ci manca un po’ a livello radiofonico.

Spopolano le formule precotte.

Personaggi come James Blake ci hanno dato la dimostrazione che puoi essere totalmente libero. Anche la stessa Billie Eilish. La libertà artistica, se genuina, paga. Ovviamente bisogna stare attenti a capire qual è la propria identità.

Tu hai collaborato con rapper di massimo spessore lirico, penso a Johnny Marsiglia o Murubutu. C’è una penna fra le nuove generazioni capace di ispirarti?

Per quel che riguarda il rap, mi è piaciuto il disco di Nayt. Lo trovo liricamente geniale. Sarei curioso di prenderci una birra, lo vedo molto potente. Un altro rapper che stimo è Leon Faun, gli ho scritto poco dopo aver visto il suo episodio di Real Talk. Mi ha colpito per la giovane età, per la padronanza e per la teatralità del suo rap. Stimo molto anche Vegas Jones. Sono artisti che mi fanno tornare la voglia di studiare le barre fitte. Fortunatamente in Italia non mancano i liricisti, anche se l’ostentazione sembra l’unica soluzione per non pensare. L’unica via d’uscita alla pesantezza che viviamo tutti i giorni, posso capirlo. Ma chi ha una risonanza ha una responsabilità. Parlare solo di droga o di quante tipe ti fai significa che c’è un problema.

Immaginiamo che la finale di stasera sia una rap battle. Qual sarebbe la skill in più di Regina rispetto agli altri brani in gara?

È un misto di tante cose. C’è una tradizione solida di cantautorato, ma allo stesso tempo il funk, il soul, il jazz. Nonostante sia stato accusato più volte di essere un pezzo vecchio – non so perché – penso sia fresco proprio per queste contaminazioni. Non credo che in Italia ci sia qualcuno che le ha presentate in questo modo sul palco di Sanremo. Anche se in modo diverso è successo con Ghemon, uno dei miei artisti preferiti oltre che grandissimo amico. Spero che la gente smetta di dire che il jazz è musica da vecchi. È una cazzata. Tra i migliori musicisti in Italia ci sono tanti jazzisti, tutti giovanissimi. Qualcuno dovrebbe spiegarmi questa cosa.

Una delle tante incomprensioni che affliggono certi generi…

Prendi me. Vengo spesso etichettato come un artista che fa black music. È sbagliato dirlo di un artista che non è nero. Io faccio musica che è ispirata alla cultura nera, è diverso, e penso sia una mancanza di rispetto verso la black community dire che un bianco fa black music. Un bianco fa musica propria, che sia funk, jazz o pop. In Italia purtroppo molti ragazzi non hanno nessun artista a rappresentarli. Riesci a immaginare una cosa simile? Crescere con questa assenza? Spero che escano più artisti di seconda generazione, come Johnny Marsiglia o David Blank, uno dei cantanti più forti che abbiamo.

Anche J Lord si sta facendo largo…

Spacca tutto! Nonostante nei pezzi sia leggermente acerbo per l’età è un cazzo di treno. Ci sono tantissimi rapper molto più vecchi di lui che dovrebbero prendere esempio dalla sua attitudine. Io in primis.

Ascolta Regina di Davide Shorty

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