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John Metcalfe e il “Giudizio Universale” – Intervista

Dal 15 marzo e per almeno un anno inizierà nell’Auditorium della Conciliazione di Roma “Giudizio Universale”, un ipertecnologico live show per scoprire la magnificenza del lavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina, sotto la supervisione del produttore e musicista John Metcalfe

Autore Tommaso Toma
  • Il15 Febbraio 2018
John Metcalfe e il “Giudizio Universale” – Intervista

Dal 15 marzo e per almeno un anno (con ben 10 spettacoli a settimana) inizierà nell’Auditorium della Conciliazione di Roma Giudizio Universale, un ipertecnologico live show per scoprire ed esaltare la magnificenza del lavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina, nato da un’idea del “mago degli eventi internazionali” Marco Balich, che mette a segno un altro invidiabile obiettivo dopo tre Olimpiadi e un Expo: essere il primo direttore artistico a organizzare uno spettacolo con la “benedizione” dei Musei Vaticani. Un evento in perfetto equilibrio tra rigore scientifico ed entertainment che si avvarrà musicalmente di un prezioso contributo di Sting e la supervisione sarà dell’ottimo produttore e musicista John Metcalfe che qualcuno di voi conoscerà per i suoi lavori a fianco di Peter Gabriel. Ma Metcalfe è stato anche un protagonista attivo della Manchester anni ’80, la città dove la migliore musica indie venne prodotta nella terra d’Albione e nacque la mitica etichetta Factory e il locale affiliato Haçienda, il centro nevralgico della scena dance europea per quasi due decenni. Incontrare John Metcalfe è dunque un’occasione preziosa.

Un rendering di “Giudizio Universale”

John, immagino che sia stata prima di tutto un’emozione vistare la Cappella Sistina per trovare la giusta ispirazione e poi lavorare per uno spettacolo così non dev’essere stato facile…

Questa è stata un’occasione unica per creare qualcosa di profondo, emozionale, partendo da una delle opere d’arte più straordinarie nella storia. Quando sono stato coinvolto dal team di Marco Balich, mi hanno chiesto un intervento che potesse celebrare l’eternità del luogo senza dimenticare l’aspetto educativo che avrà lo show e ad essere onesti, di primo acchito, ero un po’ scoraggiato… Ma avevo già lavorato con Marco, Lulu Helbeck e tutte le persone straordinarie di questo team, quindi ero consapevole che questo progetto sarebbe stato affrontato da tutti con la massima cura e abilità creativa.

Che tipo di approccio hai affrontato per la sonorizzazione di Giudizio Universale?

La musica per l’evento nel suo complesso doveva comprendere alcune opere dei più grandi compositori della storia. Questa era un’altra motivazione per essere ulteriormente rispettosi e non dovevo creare dei pastiche sonori mescolando tra loro le diverse composizioni. Ovviamente ho le mie personali idee e ho sviluppato un procedimento sinestetico ad hoc, a certe note corrispondevano dei colori, per esempio il Re maggiore è il verde e il Do minore è il cremisi e così via. Così la straordinaria varietà e profondità cromatica degli affreschi ha avuto un effetto estremamente potente sul mio procedimento compositivo. L’importante era essere “trasparenti”, ovvero sempre al servizio dei dipinti. Non era il momento per una sinfonia di John Metcalfe ma di celebrare la profondità del lavoro di Michelangelo!

Come hai interagito con Sting?

Io sono stato molto in contatto con Rob Mathes, il suo arrangiatore e un ottimo compositore, e con lui ho discusso costantemente tutti i dettagli e gli sviluppi della canzone. Rob e Sting sono stati davvero rispettosi dell’insieme dell’opera che stavo portando a termine e alla fine hanno creato un bellissimo brano. È stato un privilegio incontrare Sting a Londra, quando abbiamo registrato la sezione degli archi negli studi di Abbey Road. Io sono sempre pronto ad apprendere nuove cose, sebbene lavori nel campo da molto tempo…

Un rendering di “Giudizio Universale”

Non posso non approfittare di questa intervista per chiederti come fu lavorare per uno degli album più belli di Morrissey, ovvero Viva Hate (1988), il suo primo disco dopo lo scioglimento degli Smiths. Il tuo intervento orchestrale su Everyday Is Like Sunday è semplicemente squisito.

Lavoravo già da tempo con Vini Reilly nella sua band Durutti Column e quando Stephen Street (il produttore, ndr) mi chiese di far parte del disco, immaginavo già lo stile che andavano definendo. E quando abbiamo dovuto unire alle chitarre e il resto alla parte registrata con gli archi non abbiamo fatto un semplice lavoro di routine, di sovrapposizioni, prima infatti rimasi a lungo a discuterne con Morrissey. Si dimostrò un vero gentleman considerando anche il fatto che all’epoca ero veramente un grande fan dei The Smiths… Ero entusiasta di lavorare con lui e di aggiungere un mio personale contributo nella storia del rock anglossassone.

Vorrei una tua immagine della Manchester dei primi anni ’80: tu in quel momento facevi i tuoi primi passi nei Durutti Column e il grande Tony Wilson – figura venerata dai mancuniani e non solo, il deus ex machina della Factory e del club Haçienda – ti commissionò addirittura una sezione di musica classica per la sua label.

Manchester all’epoca era molto simile al resto del Regno Unito: eravamo all’apice del thatcherismo, i sindacati venivano demoliti, il welfare stare era ridotto ai minimi termini, c’era il lunghissimo sciopero dei minatori, l’aumento dell’individualismo tipico degli anni ’80. Era un periodo per noi turbolento e l’arrivo in città della musica house di Detroit ha coinciso con l’opportunità per molti di noi di evadere dal contesto: prendersi un acido e cominciare a ballare e ballare, cercando di dimenticare la grigia vita quotidiana. Nello stesso modo in cui il punk aveva sfidato lo status quo, così un club come Haçienda era il luogo giusto dove i giovani potessero combattere i problemi e considerarsi una comunità, trovare una propria identità anche se le coordinate erano la musica, l’MDMA e i rave party. Manchester è sempre stata una città dove la forza creativa nasceva dalla working class e di questo ne vado sempre orgoglioso. Le persone all’epoca erano molto amichevoli e dal momento in cui aprì la Haçienda trascorsi molte serate laggiù, scoprendo nuove band e incontrando nuove persone di talento. In quel contesto trovai la mia identità e i Durutti Column, Tony Wilson e la Factory sono stati la “ciliegina sulla torta”. Io desideravo solo fare musica e concerti, lì dentro mi sentivo come in un bambino in un negozio di dolci…

Sicuramente una delle tue più entusiasmanti collaborazioni è stata con Peter Gabriel nei suoi due dischi orchestrali. Ci racconti qualcosa in più?

Il progetto è durato circa quattro anni tra registrazioni e tour. Peter era completamente aperto a nuove idee, una conferma della sua fama come musicista innovativo e originale. Ci incontrammo nel 2008, mi fece lavorare su Heroes di Bowie e Street Spirit dei Radiohead. Peter aveva pensato di lavorare con strumenti fatti in casa, con la presenza di trame orchestrali ed era abbastanza chiaro che non voleva batteria, chitarre elettriche e tastiere. Dato che gli strumenti fatti in casa non erano proprio la mia “specialità”, gli proposi dei demo puramente orchestrali e da quel momento la nostra collaborazione si sviluppò con rapidità. Alla fine ho arrangiato tutti i brani per i suoi due album successivi e ho co-prodotto New Blood. Peter corse un rischio con me, fu quasi una scommessa per lui, ero relativamente conosciuto, ma lui è un uomo estremamente abile, brillante e penso che sentisse che saremmo andati d’accordo e che avremmo creato qualcosa che non era il solito standard di arrangiamenti orchestrali che si sentono nei dischi rock. Alcune delle tracce erano pura musica da camera, nessuno di noi sapeva come sarebbe stato ricevuto dal pubblico una volta proposti questi arrangiamenti in tour. Ovvio che c’era una parte del pubblico che voleva solo cose alla Sledgehammer… ma i suoi veri fan sanno che Peter Gabriel non sempre fa la cosa più “popolare e facile” e hanno davvero abbracciato questo approccio diverso.

E com’è stata la tua recente esperienza con Bono Vox e U2?

Fantastica. Loro sono stati adorabili, amichevoli e generosi. Sono un loro grande fan, avere la possibilità di aggiungere qualcosa ad alcune delle loro musiche è stato un vero onore. Mi piace anche dirigere quindi la possibilità di “agitare le braccia” di fronte a musicisti di talento è un piacere. Devo dire che con tutti gli artisti con cui ho lavorato, dai Coldplay a George Michael ai Blur, hanno tutti in comune la massima concentrazione nel creare la migliore musica possibile. Le persone spesso mi chiedono pettegolezzi… ma vedo solo questi musicisti nel loro posto di lavoro dove sono seriamente preoccupati per la loro attività, certamente scherziamo e ci scappano delle belle risate, ma devo sempre ricordare che questo è un lavoro. Inoltre, quando ci si siede a dirigere una grande orchestra ogni minuto ha un bel costo, quindi non c’è tempo per scherzare!

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