Birthh, chiamale se vuoi emozioni: l’intervista per il nuovo album “Moonlanded”
Alice Bisi è una newyorkese a tutti gli effetti, ma nella sua musica c’è spazio per la grande Italia del passato (Mina, Battisti, Paoli). Il risultato è un delicato bedroom pop con testi profondi
«Questa è Moonbase, è il mio appartamento ma anche studio. Quello che vedi dietro di me è un pianoforte a coda che ho salvato dal macero. Pensa che Björk l’ha suonato, c’è una foto che lo testimonia». Inizia così Alice Bisi, giovane toscana che in arte è Birthh ed è già al suo terzo album: Moonlanded, uscito ufficialmente la settimana scorsa per Carosello Records, è decisamente il suo migliore lavoro.
Che Birthh avesse una forte propensione verso il mondo anglosassone l’avevamo già capito sin dai suoi primissimi passi, quando, ancora al liceo, sfoderò Born in the Woods, album di debutto con quell’impasto sonoro delicato e accattivante tra alt-folk e tracce di soul e che la proiettarono subito sui palchi del Primavera Sound e del SXSW, suonando poi come supporter degli Imagine Dragons e di Benjamin Clementine.
WHOA fu già il prodromo del suo futuro newyorkese. Il secondo album fu infatti registrato al Quad Studios assieme a Lucious “Lu” Page, già collaboratore di Mac Miller, dove la scrittura si fa più matura e complessa, con un risultato finale davvero intrigante.
Ascolta Moonlanded, il nuovo album di Birthh
Con il nuovo album Birthh è pronta per Sanremo?
Ma è con il nuovo album Moonlanded, inizialmente concepito in “cattività” – visto che il suo arrivo negli USA nel marzo 2020 era stato per un concerto e poi è rimasta lì forzatamente causa pandemia – che Birthh esprime il suo zenith creativo.
In Moonlanded, in cui Birthh canta ancora in inglese, si mantiene la sua cifra stilistica già evidenziata nei precedenti lavori, un certo tipo di bedroom pop che si appoggia però spesso a un soul delicato, mai urlato. Davvero interessanti si dimostrano gli inserti orchestrali mai invasivi ma funzionali guidati dalle sapienti intuizioni di Tommaso Colliva.
Nei testi del nuovo album, Birthh parla molto della sua età e quindi della sua generazione, perché le proprie incertezze e l’urgenza di saper superare ostacoli in apparenza insormontabili sono temi davvero condivisibili per molti suoi ascoltatori coetanei (ma non solo).
La mia impressione finale è che con Moonlanded Birthh potrebbe essere pronta per Sanremo. Questa sua idea di musica pop lieve e contemporanea, tra soul e arrangiamenti orchestrali che richiamano ai grandi del passato, potrebbe risultare un cocktail intrigante per il palcoscenico dell’Ariston.
L’intervista a Birthh su Moonlanded
Mi piace questo contrasto tra l’intimità del luogo in cui le tue canzoni sono nate e l’apertura spaziale che invece danno gli arrangiamenti scelti.
Sono contenta che ti piaccia il suono degli archi. Il lavoro con Tommaso è iniziato dopo il lavoro di registrazione con London O’Connor, che è durato due mesi e mezzo. Io sentivo che mancava qualcosa. Durante tutta la lavorazione di Moonlanded cercavamo una certa sonorità italiana che si rifà ai grandi classici, quando i cantanti avevano sotto le grandi orchestre e avere solo il synth escludeva una certa organicità del suono, quella “arcata” che offre ad esempio un quartetto d’archi.
Abbiamo dunque fatto un “trick” con Tommaso utilizzando gli archi ma anche dei sampler riverberati ad hoc per amplificare e per raggiungere quel calore di un tempo. Sono contenta dell’approccio di Colliva, dalla sua sensibilità per le timbriche alla scelta dei microfoni. Lui per me è un mito assoluto e sono orgogliosa di averlo avuto al mio fianco per il disco.
Scusami se insisto su questo concetto dei contrasti, ma sembrano ripetersi anche mettendo a confronto le liriche, dove si assiste a una sorta di una lotta interiore. Il messaggio finale sembra questo: lottare è certamente importante, ma vincere o perdere non è così importante.
Sono d’accordo con le tue impressioni. Non penso che esista un vincere o un perdere nella vita. Oggi penso che l’unica sconfitta sia stare davanti al nostro smartphone e scrollare per ore.
Nel periodo della pandemia presi una decisione molto mirata di non mutare troppo le mie emozioni. C’è un brano nel disco, Straight Up, che è volutamente molto pastello, calmo rispetto a tutto il resto. È un modo per comunicare che sono pronta ad accettare le emozioni. Che siano positive o negative l’importante è provarle con attenzione e intensità.
Come artista e individuo, questa è stata una rivelazione, perché mi pare che oggi ci si dimentichi che c’è spazio nella nostra vita per tutte le sfumature emozionali. Davvero l’atterraggio più importante per me è accettarsi per quello che siamo.
Questo è senza dubbio il disco più pop della tua carriera. Ti vedo quasi pronta per Sanremo, a proposito di orchestre…
Vedremo! A me piacerebbe tanto. A parte la sua epica storia, penso che per la nostra generazione e il modo in cui noi facciamo la musica adesso Sanremo rappresenti il migliore esempio di celebrazione della musica suonata. Ovviamente, essendo patita di orchestre, io mi appassiono.
Pensa che mi sono emozionata tantissimo a portare la mia musica in giro con una violoncellista! Immagina se avessi a disposizione un’intera orchestra e cantare per esempio Somebody!
Non trascurerei anche quel tocco di soulness che ti caratterizza da inizio carriera. Su Friends in the Energy mi sono venuti in mente Kindness e Blood Orange.
Ascolto da sempre tanto R&B e soul. E pensa che mentre stavo dando vita a questo lavoro, pensando a un possibile incontro con quell’idea di musica italiana di cui ti parlavo prima e un certo tipo di R&B, avevo chiesto a London di scambiarci delle playlist. Lui mi me ne ha rispedita una con un’alternanza di New Jack Swing con canzoni tipo Poison di Bell Biv deVoe e classiconi italici come Se Telefonando di Mina e il tutto funzionava!
Voglio fare la musica che appartiene alla mia generazione ispirandomi ai grandi del passato che mi emozionano. Amo le orchestre ma anche l’808. Ho 26 anni sono giovane e voglio anche rappresentare la mia generazione.
Pensa che Friends in the Energy è stato uno dei primi brani fatti assieme a London, ma ero indecisa se metterla nel disco perché mi pareva distante da tutto il resto. Adesso è uno di miei brani preferiti. Me ne sono innamorata di più dopo che l’abbiamo eseguita durante un’esibizione di Danny Cole, un giovane artista visivo newyorkese. Voglio fare musica pop e ballare insieme al pubblico.
In Jello alla fine canti in italiano ma neanche me ne sono accorto.
(Ride, ndr) Certo, ma è un italiano finto, assurdo, è stata un’idea di London. Mi rammarica dirlo, e forse nero su bianco non pare bello da leggere, ma è stando in contatto con gli americani, con questi newyorkesi, che mi sono accorta di quanto sia cool essere italiani. Mi faccio capire bene qui a New York perché ho la fortuna di parlare bene in inglese…
In effetti canti bene in inglese, non scivoli nel vernacolare.
Ma solo con l’inglese me la cavo, attenzione! (Ride, ndr) Ho fatto il liceo linguistico, la scuola pubblica. Comunque qui a New York tempo fa mi dicevano alcune persone che lavorano nell’ambito musicale: “Non dire che sei italiana, non ti serve”.
Ultimamente però vedo che le cose stanno cambiando. Sento molta più curiosità attorno a me e al fatto che sono una artista italiana. Mi accorgo per esempio che tra le persone più vicine a me c’è un amore sincero per le canzoni per esempio di Mina. Mi sento molto fiera di essere italiana, e anzi me ne vanto adesso.
Dove stai a New York?
Sono a Bushwick, qui a Brooklyn. È una zona dove ci sono tanti portoricani. È bellissimo perché la sera d’estate le strade si animano di famiglie che scendono per strada. Fanno giochi assieme e musica. Il mio palazzo però appartiene a una famiglia originaria di Sciacca e parliamo spesso assieme. Mi piace l’atmosfera generale.
Fantastico, però tu sei uno schiaffo al pensiero dominante nel nostro Parlamento oggi. Un’italiana che vive con una ragazza, che se n’andata via e sta bene all’estero.
Già il fatto che dici la parola “schiaffo” mi fa pensare che ci sia qualche cosa di sbagliato nell’aria. Comunque mi fai venire in mente un bellissimo discorso di Michela Murgia che avevo visto tempo fa sulla paura. E il problema sta tutto lì: quando la politica si basa sulle restrizioni e sulla paura.
Penso che dobbiamo prendere in mano i nostri sogni e bisogni e cercare di realizzarli. Spero solo che la mia arte, le mie canzoni possano contribuire a far capire che ci sta nella vita di aver paura. La paura va affrontata e compresa anche se la nostra vita è talmente piena di distrazioni e impegni.