Interviste

Bob Sinclar: «Ho una sola missione nella vita: far ballare le persone»

Bob Sinclar ha lanciato un nuovo brano con Omi. Nella nostra intervista, un suo parere su quanto sta succedendo in America dopo la morte di George Floyd

Autore Giovanni Ferrari
  • Il4 Giugno 2020
Bob Sinclar: «Ho una sola missione nella vita: far ballare le persone»

Bob Sinclar

«Oggi sono fortemente convinto di avere una missione nella vita. È quella di far ballare le persone. È una missione come tante altre, per carità. C’è chi diventa prete, chi fa l’insegnante, ecc. Ma la mia è quella di far ballare tutti». Queste cose Bob Sinclar forse le pensava già da molto tempo, ma senza dubbio il lockdown l’ha aiutato a focalizzarle per bene. A comprenderle sulla sua pelle, in un momento in cui ognuno di noi si è sentito almeno un po’ scombussolato dalla forza degli eventi.

Non a caso, durante la quarantena, il celebre DJ francese ha fatto compagnia ai suoi numerosissimi fan con set quotidiani dal suo studio parigino (ha raggiunto oltre 100 milioni di persone). Bob Sinclar non si è fermato lì e ha pure lanciato, pochi giorni fa, un nuovo brano, I’m On My Way insieme al giamaicano Omi.

Una canzone che parla di spiritualità, energia e unità. E che si candida senza problemi a essere una delle colonne sonore di questa estate post-lockdown. Abbiamo fatto due chiacchiere con Bob Sinclar.

https://www.youtube.com/watch?v=ap6–ago4TY

Hai raccontato che hai lanciato questo brano perché volevi creare un inno, una celebrazione. Perché? Da dove è nato questo bisogno?

È difficile spiegarti da dove è nato tutto ma io – fin da quando ho iniziato a fare i primi passi in questo ambiente – ho sempre voluto che la mia musica toccasse le persone e che le facesse ballare. Non ero un fan della musica pop ma volevo che i miei pezzi fossero ascoltati da più persone possibili. Quando ho iniziato con la musica soul e acid jazz con la mia label, ho sempre desiderato questo: che la mia musica fosse un’occasione di unione.

Poi ho incontrato Gary Pine, la voce di Love Generation. E con lui è successo qualcosa di davvero speciale. Mi ha colpito. Le parole che ha cantato mi hanno toccato. E hanno toccato tutti. Così ho capito che era importante fare brani con un significato di unione. Con un inno all’unità. Volevo che le persone si riunissero nei club. Che creassero una sorta di comunità.

E quindi è stata una cosa che hai ricercato anche nei brani successivi…

Esatto. È arrivata ad esempio World, Hold On (Children of the Sky) che ho scritto con Steve Edwards (anche lui, come Pine, giamaicano). E quindi sono andato là, per l’album Made in Jamaica e ho capito una cosa importante.

Ossia?

Che ci può essere una spiritualità nei brani. Ho capito fino a che punto posso arrivare quando scrivo un pezzo. Ho scritto molte canzoni d’amore, ma anche in quelle più spensierate c’è sempre una sorta di “messaggio gospel”. Tutta la musica disco o blues viene anche dal gospel. E quel genere comprende le canzoni che tradizionalmente si cantano nelle chiese. Mi sono chiesto: cosa resterà il giorno che ci sarà una catastrofe? Il giorno in cui saremo quasi obbligati a sentirci uniti che brano canteremo?

E ho subito pensato alle canzoni che si cantano nelle chiese ma anche nelle sinagoghe, nelle moschee. Dovranno essere canzoni che raccontano una spiritualità, che parlano di unità. I brani sono collegati a Dio. Possono avere un’energia suprema. World, Hold On (Children of the Sky) approfondisce anche questo tema.

In che modo?

Si dice: “Wonder you will have to answer to the children of the sky”. Come a dire: attenzione! Un giorno ci sarà il giudizio. Che sia con dei bambini nel cielo (come lo interpreto io), o in qualunque altro modo. Saremo pronti a questo? Ed è anche per questo che la mia ultima canzone con Omi sta piacendo. È importante in questo periodo. Ho ricevuto messaggi di tante persone che mi ringraziavano. Nel brano è come se dicessi: io ho scelto quale strada voglio percorrere. Questa è la priorità di questo mio momento.

In questi giorni si parla tanto di quanto sta succedendo in America alla comunità afro, soprattutto dopo la morte di George Floyd. Qual è la tua posizione a riguardo?

Io sono contrario alla violenza. Se una persona (appartenente o meno alle forze di polizia) uccide un’altra persona, allora deve essere punita. Non c’è discorso che tenga. Però non bisogna rendere tutto il mondo razzista perché un uomo ha ucciso un uomo di colore. Lì c’è un movimento anti-razzista che è super. Io amo la comunità afroamericana.

Alla fine degli anni Sessanta, nel ‘68, dopo la morte di Martin Luther King, c’è stato un movimento di violenza incredibile e nei quartieri di NY e un po’ in tutta l’America. Ha preso il via una sorta di guerra urbana, tra bande di persone di colore. Nel 1973/1974 Afrika Bambaataa ha creato una organizzazione che aveva come punti focali la pace, l’amore e l’unità. Peace and love. E questo suo movimento ha di fatto aiutato a riunire la comunità afroamericana. Il messaggio era: bisogna fermare la violenza e insieme bisogna fare musica.

Hai in mente cosa è successo poi nel rap anche grazie a lui? Oggi la comunità afroamericana è leader nel mondo se parliamo di rap. Grazie alla canalizzazione di queste energie che non sono state inserite nella violenza ma nell’arte, la violenza interiore è stata trasformata in qualcosa di positivo. Se qualcuno uccide qualcuno, deve essere punito. È un atto gravissimo. Ma perché continuare con atti violenti di risposta?

*L’intervista integrale a Bob Sinclar sarà contenuta nel prossimo numero di Billboard Clubbing

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