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Budgie racconta “Los Angeles”, l’album del supergruppo più apocalittico in circolazione

Il disco è firmato da Lol Tolhurst x Budgie x Jacknife Lee, ovvero due tra i più grandi batteristi new wave/post punk degli anni ’80 e un produttore d’eccezione

Autore Tommaso Toma
  • Il5 Novembre 2023
Budgie racconta “Los Angeles”, l’album del supergruppo più apocalittico in circolazione

Foto di Pat Martin

Los Angeles è un lavoro forse inatteso, ma che vede insieme due tra i più creativi batteristi dell’era post-punk: Lol Tolhurst dei The Cure e proprio lui, Budgie dei Siouxsie & The Banshees e, con il side-project, The Creatures. Insieme a queste due icone c’è il produttore e polistrumentista Garret “Jacknife” Lee, che vanta nelle sue produzioni Red di Taylor Swift, How to Dismantle an Atomic Bomb degli U2 ed era presente al mixer negli ultimi due album in studio dei R.E.M.

In Los Angeles di Lol Tolhurst X Budgie X Jacknife Lee non c’è nessun sentimentalismo o decadentismo sonoro che rimandi ai vecchi fasti goth degli anni ’80. È invece un disco in parte apocalittico, alimentato da idee brillanti e dalla presenza di ospiti perfetti e funzionali al progetto: James Murphy degli LCD Soundsystem, Bobby Gillespie, The Edge, l’artista Lonnie Holley, l’arpista Mary Lattimore, la giovane Arrow de Wilde degli Starcrawler e Mark Bowen degli IDLES.

L’album dei tre sprigiona una carica emotiva fortissima sin dalle prime note. Si passa dal senso di dolore e sofferenza di Bodies alla rabbia metropolitana di Los Angeles, dove James Murphy urla dentro il microfono “Los Angeles eats its children” sopra un tappeto di percussioni al limite del tribale. Ghosted at Home invece è un breakbeat buio e pieno di rumori, dove si muove benissimo la voce di Bobby Gillespie e sembra di sentire un inedito dalle sessioni di Vanishing Point dei Primal Scream.

Con le premesse di parlare di Los Angeles, un sorprendente lavoro che vede protagonisti due personaggi del gotha delle sonorità più scure degli anni ’80, io e Budgie ci presentiamo di fronte alla video Zoom con due belle camicie colorate e quasi tropicali. Dopo che ci siamo dilungati nei complimenti reciproci su dove avessimo acquistato la nostra bella camicia, finalmente partiamo a parlare di questo inatteso lavoro.

Los Angeles: l’intervista a Budgie

Possiedo una prima stampa di Feast, il tuo meraviglioso album di debutto del 1983 con il progetto The Creatures in cui c’eravate tu e Siouxsie. Penso che ci siano molti punti in comune nel modo in cui tu suoni le percussioni in questo album.

Ricordo di aver comprato una copia del nostro album in Giappone. Hai ragione, questo lavoro mi ha fatto pensare ai tempi del primo album di quel progetto, quando mi sono anche ispirato ai suoni hawaiani di certe percussioni.

Sei sempre stato attratto da un certo drumming “terzomondista”, diciamo fuori dall’asse tradizionale del rock.

Ma è sempre stato così per me. Mi fai venire in mente i tempi di A Kiss in the Dreamhouse con i Banshees: ricordo che avevamo questo piccolo studio in Camden Town e poi ci fiondavamo appena finivamo le prove in quei ristorantini etnici che affollavano il quartiere e dintorni, facevamo ogni volta tardissimo, una volta toccava a quello greco e poi asiatico… e in sottofondo c’erano sempre sonorità che mi affascinavano.

Ricordo benissimo il cibo e i suoni che sentivo arrivare dai diffusori dell’Elysee in Percy Street (il ristorante c’è ancora ed è buonissimo anche se un poco caro, ndr). In questo ristorante c’era una band che suonava molto spesso lì. Erano incredibili e il batterista era favoloso, faceva dei ritmi complicatissimi. Un giorno decisi di festeggiare lì il mio compleanno. La resident band suonava magnificamente e mi avvicinai al batterista per offrirgli una fetta di torta. Lui con un aplomb invidiabile ne mangiò una bella porzione, senza mai perdere il ritmo! (Ride, ndr). In quel momento pensai che uno può dire di aver imparato a suonare nel momento in cui tutto diventa “naturale”. Come camminare o mangiare una fetta di torta! Ma è ovvio che se vuoi ottenere quella naturalezza, oltre al talento hai comunque bisogno di tanto, tanto allenamento.

L’ispirazione

Ciò che ti circonda ti ispira: è questo è il segreto di Budgie e di Los Angeles?

Mi fai pensare a una cosa buffa che è successa mentre stavamo lavorando in studio con Jacknife Lee. Eravamo in cima a una bellissima collina di L.A. a Topanga, in una zona isolata da tutto. In fase di registrazione c’era Jack che mi sottoponeva per la canzone Los Angeles dei suoni metropolitani, tipo clacson e frenate d’auto.

Io sono sempre stato attratto dai suoni esterni, di qualunque tipo. Per quel disco dei The Creatures che hai nominato tu, Feast, mi ricordo che andavo in giro con un microfono ambientale per registrare il suono di quel meraviglioso habitat intorno. Quello delle canne di bambù al vento, per esempio. E da quel contesto, cogliendo le nuance dei vari ritmi della natura, abbiamo dato vita a brani come Geko. Alla fine con Los Angeles è successa la stessa cosa cercando di catturare i suoni di una metropoli. Uno degli esempi che ho apprezzato è stato il lavoro che ha fatto PJ Harvey per le canzoni di Stories from the City, Stories from the Sea.

Sei un batterista che è attratto da ogni tipologia di strumento a percussione.

Sicuro, anche Jacknife Lee ha questa stessa mia passione di tenere con sé molti strumenti e più suonano strani, più ci piacciono (ride, ndr). Lui colleziona anche sintetizzatori e quando eravamo in studio ogni tanto arrivava un pacchetto con dentro dei dischi. Una volta lo sentii esclamare: «Ecco un bel disco del 1960, con registrazioni dalla Papua Guinea!».

Ai tempi dei Banshees, mi ricordo che andai a studiare un certo tipo di percussioni, definiamoli “strumenti di scena” per il teatro, nell’East End. Avevano degli strani plettri o cose terribili, come le ossa di elefante come bacchette. Tutto questo mi affascinava. Qualche anno dopo, durante le registrazioni dell’album Peepshow (era il 1988, ndr), trovai l’ispirazione per una nostra hit, Peek-A-Boo, entrando in un negozio in Chinatown. Mi misi a suonare tutto quello che trovai lì dentro: pentole, bicchieri dalla forma stranissima, fino a delle coppette per gelato!

Gli ospiti di Los Angeles

Nell’album c’è anche Davide Rossi, che ha arrangiato alcune parti orchestrali. Che impressione ti ha fatto Davide?

Lui era in un periodo di lavoro molto intenso quando noi stavamo registrando. Ma visto che Davide e Garrett si conoscono da tempo, non c’era bisogno di tanti convenevoli. Davide Rossi è una di quelle persone perfette per fare delle conversazioni sulla musica e, mentre parlavamo, mi sono accorto che aveva una borsa gigantesca piena di strumenti da certi violoncelli elettrificati a violini classici o a sei corde. Un esempio perfetto della sinergia trovata tra noi e Davide lo puoi capire ascoltando We Got to Move. Tutto nasce da un certo sound del violino che fa una scala cromatica che richiama il genere Bhangra e poi diventa un brano elettronico scuro e percussivo. Un fantastico “viaggio” sonoro.

Vorrei sapere che reazione ha avuto quando Bobby Gillespie ha ascoltato This Is What It Is (To Be Free), che sembra un outtake di Screamadelica!

Quando stavamo preparando il disco avevamo una manciata di tracce secondo noi perfette per Bobby, così gli abbiamo chiesto se ci voleva mettere le mani e la voce. Un paio di queste avevano un sound che richiamava certe cose di Tom Waits dei tempi di Swordfishtrombones. Bobby ci ha rimandato indietro tre canzoni complete di liriche e melodie, perfettamente allineate con il mood dei brani che gli avevamo proposto.

Tu conoscevi Bobby Gillsespie o James Murphy prima di coinvolgerli nel progetto?

Bobby da tempo. Molti degli artisti di oggi li ho incontrati nei backstage di alcuni festival. Di recente, mentre ero in tour con John Grant, ho conosciuto James Murphy, penso fosse in Scozia… ah, qui ho conosciuto anche per la prima volta Flea e Chad Smith… che risate! James è un autentico gentleman. Alla fine abbiamo deciso di intitolare l’album con il brano che abbiamo fatto con lui. Los Angeles è perfetta per descrivere tutto il disco.

La cosa cool di Train with No Station è che non sembra che ci sia The Edge con il suo guitar sound caratteristico con gli U2.

The Edge ha suonato tante cose sperimentali fuori dalla sua band. In Train with No Station ha arpeggiato una chitarra acustica con le corde di nylon, in modo quasi percussivo e ma allo stesso tempo delicato. Ha modellato il suono come un autentico maestro, senza mettersi troppo in mostra.

Budgie tra passato e futuro

Ma c’è la possibilità di vedervi dal vivo? Il timore, quando ci sono questi progetti, è che non ci sia un seguito su un palco.

Ne abbiamo parlato per intere giornate e abbiamo anche girato tantissime immagini a supporto del progetto che potremmo usare in uno show. Ma la cosa che più mi conforta è che ogni canzone è stata concepita e realizzata con l’ottica di poterla eseguire dal vivo. Noi abbiamo suonato in studio come se fossimo in un concerto. Vorrei che un giorno quell’energia venisse sprigionata davvero su un palco, poi per i cantanti non ci sono problemi… Potremmo fare come una volta si comportava la Motown.

Posso chiederti un ricordo dei Big in Japan la tua primissima band? Fu un progetto lampo nella tua carriera musicale, ma in quel collettivo ci sono stati artisti pazzeschi. Dai futuri KLF a Holly Johnson, senza contare la meravigliosa Jane Casey dei Pink Industry, un collettivo di Liverpool davvero seminale.

Non ci crederai, ma di recente ho incontrato nel backstage, dopo un concerto degli Echo And The Bunnymen, proprio Holly Johnson e Ian Broudie, altro elemento fondamentale di quel collettivo. Dopo un concerto di John Grant ho rivisto Holly Johnson che in quell’occasione mi ha fatto vedere una foto dove c’eravamo noi due con Ian Broudie, Julian Cope e alla voce Peter Burns, prima che cantasse nei Dead Or Alive. Holly è venuto da me dicendomi: “Sai che ho intenzione di riformare i Big in Japan?”. Sembrava molto serio. E pensare che nel 1977 abbiamo trascorso ore all’Eric di Liverpool, quello squallido seminterrato che puzzava di birra stantia, in fuga dal freddo. Andavamo laggiù ogni giorno, abbiamo suonato così tante volte in quelle condizioni… E sai che ti dico? Rifarei ancora tutto di nuovo se potessi riportare indietro l’orologio.

Ascolta Los Angeles

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