Cat Power: «Le canzoni ci appartengono, il nostro compito è tramandarle»
La cantautrice americana ha pubblicato Covers, terzo atto di una serie di rielaborazioni di grandi canzoni di ieri e di oggi (fra cui la sua stessa Hate, qui diventata Unhate)
Covers fa parte di una trilogia che Cat Power ha incentrato sulla rielaborazione di canzoni contemporanee e del passato. A primo acchito sembrerebbe una di quelle classiche operazioni per riempire una casella discografica, soprattutto in un periodo storico incerto come quello che stiamo vivendo. Invece Chan Marshall non si smentisce: tesse un album capace di ridar nuova vita a brani meravigliosi come A Pair of Brown Eyes dei Pogues o toccanti come I’ll Bee Seeing You di Billie Holiday, che dedica al compianto amico e produttore francese Philippe Zdar.
In questo processo, dove la voce di Cat Power è sempre una lama emotiva, ripropone anche la sua Hate, diventata qui Unhate. Chan Marshall ci risponde da casa, dove i cani fanno sottofondo alla chiacchierata che ci ha concesso. Ecco un estratto dell’intervista che leggerete integralmente sul numero di febbraio di Billboard Italia.
Immagino sia stato difficile scegliere brani che per te possono essere così importanti sul profilo emotivo. E la tracklist è piuttosto variegata.
È molto più profondo di quanto possa sembrare in un primo momento: creiamo sempre legami intimi con le canzoni e scegliere di ricrearle è una responsabilità. Per la selezione non mi sono imposta schemi o regole. Il risultato è una raccolta di canzoni che conoscono tutti, altre meno note. Le canzoni ci appartengono, il nostro compito è tramandarle. Ovviamente, come dicevi, è stato un processo emotivo importante.
A proposito di questo, ci sono brani come I’ll Be Seeing You di Billie Holiday che hanno un significato particolare.
Certo. È una canzone che anche mia nonna amava profondamente, quindi cantarla è stato come riportare a galla il mio amore per lei. Però, quando succedono queste cose, viene da chiedermi: «Che cazzo è la musica?». Voglio dire: conosciamo gli strumenti e il cantato, ma cos’è? Qualcosa di poetico, bizzarro, naturale, spontaneo… Forse, più di qualsiasi altra cosa, è un collegamento tra le persone, una rete di suoni che favorisce tutto questo.
In un certo senso, non esiste nemmeno la musica. Non è un qualcosa di tangibile.
Esatto, è un qualcosa di magico che ci appartiene. Spesso lo diamo per scontato, ma quando ci fermiamo a pensare che una cosa che non esiste ci può rendere così vulnerabili, può stimolare reazioni inconsce, alimentare i ricordi, proiettarci nel futuro… wow!
Può anche fungere da terapia: immagino che per cantare alcune canzoni sia stato così.
Lo è sia quando canto le mie canzoni sia quando canto brani altrui. Più in generale, la musica è un dono e dovremmo trattarla come tale a ogni livello.
Prima parlavi di un brano del passato che ti tiene legata a tua nonna, ma ascoltando il disco emerge l’immagine di una donna che ascolta e frulla qualsiasi genere.
A dire il vero, non ascolto più tanta musica come quando ero più giovane. Prima amavo il piacere della scoperta e la difficoltà stessa di scoprire qualcosa. Non era tutto a portata di click e ogni artista, album o canzone diventavano conquiste. Questo ti lascia un segno, ovviamente. Credo che con MTV e l’idea di proporre una selezione di tot brani sia cominciato a venir meno il bisogno di scoprire, di faticare per imbattersi nella novità.
Pur essendo piuttosto semplice la copertina dell’album, ci sono due elementi come il passaporto e la matita che in questo periodo storico mi sembrano un simbolo di libertà fisica e mentale.
Sì, siamo figli del periodo storico in cui viviamo e certamente in questi ultimi due anni il passaporto è diventato molto più di un documento. Allo stesso tempo, l’idea è ancora legata al fatto che la musica ci appartiene. Infatti, i due elementi sono custoditi nella tasca di una camicia di jeans, la mia camicia! Quindi volevo trasmettere anche un senso di “personale” sin dalla copertina.
Che ruolo ha avuto la musica in tutto questo?
Ha tradotto tutto ciò, non necessariamente la musica scritta durante il lockdown, ovviamente. Ma la musica ci ha tradotto la nostra condizione e le nostre aspettative.
Articolo di Fernando Rennis