Chitarre, funkyness e autoironia: arriva in Italia Cory Wong
Cory Wong – fra le altre cose chitarrista dei Vulfpeck – arriverà in Italia a metà novembre. Non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di parlare con lui in vista dei live
In Italia e nel mondo è conosciuto soprattutto per i divertissement funky dei Vulfpeck (fecero notizia per l’album “silente” Sleepify, che fruttò loro 20mila dollari di revenues). Ma il vulcanico Cory Wong, chitarrista dalla pennata fulminea, è catalizzatore di una quantità di progetti in continua evoluzione. Fra i tanti impegni e collaborazioni, Cory riesce anche a trovare il tempo per l’attività solista. Risale a quest’estate l’ultimo album a suo nome, Motivational Music for the Syncopated Soul, ed è in giro in queste settimane con un tour che lo porterà anche nel nostro paese. Il 13 novembre sarà a Bologna, il 14 a Roma (in occasione del Roma Jazz Festival) e il 15 a Milano. In attesa del live, non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di parlare con lui del suo mondo di chitarre, funkyness e autoironia.
Sei riuscito a costruirti un’ottima reputazione come chitarrista ritmico e a mettere quell’elemento al centro delle produzioni su cui lavori. Quando hai capito che quello sarebbe diventato il tuo marchio di fabbrica?
Non molti anni fa. Non è che abbia deliberatamente stabilito che avrei suonato in questo modo: semplicemente calzava a pennello. Andavo alle sessioni di registrazione e ai live e le persone cominciavano a dire che avevo un sound unico, e il pubblico reagiva molto bene alle cose che facevo in quello stile. Così ho solo deciso di portarlo avanti!
E quali sono alcuni “eroi dimenticati” della chitarra ritmica, per te?
Dave Williams e Paul Jackson Jr: delle leggende.
Com’è noto, segui molti diversi progetti musicali contemporaneamente. Come funziona la tua settimana “media”?
(Ride, ndr) Sì, lavoro su molte cose diverse. Le mie settimane cambiano a seconda che io sia in tour, che registri, scriva musica o che mi rilassi. È un po’ un calendario “a progetto”. In genere preparo tutto per il mio prossimo progetto mentre pianifico quello ancora successivo e magari mi faccio un’idea per quelli a venire. È un ciclo.
Mi pare che tutti i progetti a cui partecipi abbiano una componente visiva e grafica molto curata. Come viene gestito quell’aspetto? Proponi tu stesso delle idee?
Penso che ciascuno debba avere un proprio sound caratteristico, ma al tempo stesso è importante che gli artisti abbiano anche un elemento visivo riconoscibile. Qualcosa che inviti l’ascoltatore/spettatore nel mondo di ciò che viene espresso.
C’è anche una componente molto scherzosa e autoironica nel modo in cui fai musica. Pensi che abbia contribuito a rafforzare il legame con il tuo pubblico?
Cerco di non prendermi troppo sul serio quando suono. Mi diverto molto e l’obiettivo dei miei concerti e dei miei album è cercare di aiutare gli altri a divertirsi a loro volta e portare loro un po’ di gioia quando sono allo show. Non mi importa più di tanto che lascino il locale dicendo: “Wow, quel tipo era pazzesco con la chitarra”. Voglio invece che se ne vadano dicendo: “Wow, è stata una figata!”. Si tratta solo di questo.
Che tipo di concerto vedremo qui in Italia? Com’è strutturata la scaletta?
Ci sono molti materiali diversi a cui attingo. Ormai ho fatto molti album ed è divertente pescare pezzi di epoche e progetti diversi, ma anche ripensarli per il contesto live. Abbiamo un sacco di cose molto arrangiate e intricate, ma lascio molto spazio all’improvvisazione e all’esplorazione sull’onda del momento.
Ci descrivi brevemente la strumentazione che usi sul palco?
Il mio setup non è troppo complicato. Suono una Stratocaster collegata a un compressore, a un overdrive e a una piccola pedaliera multi-effetto che mi aiuta a ottenere un ampio spettro di toni, infine tutto va dentro un amplificatore a valvole. Non sono troppo pretenzioso sui singoli elementi di strumentazione. Ci sono certe cose che mi piacciono molto, ma alla fine il risultato sarà sempre il mio stile. È divertente capire come scoprire il mio sound su un equipaggiamento diverso.
La tua tecnica con la mano destra è davvero notevole. Come l’hai sviluppata?
Ho fatto tanta pratica col metronomo…
Il tuo ultimo singolo è Today I’m Gonna Get Myself a Real Job, dove canti anche. Cosa ha ispirato il testo? E perché scrivere una canzone nello stile di James Taylor?
A un certo punto, chiunque svolga un lavoro creativo pensa che forse dovrebbe trovarsi un lavoro “vero”. Penso che a volte le persone sentano una vocina che gli dica di considerare di cercare un lavoro con orari da ufficio. Quel tipo di occupazioni possono andare benissimo, ma non sono per tutti! Alcuni sentono una vocazione per le arti in senso professionale. Quella canzone parla della lotta interiore associata all’essere un artista con occasionali momenti di sconforto.
Hai detto che il Blue Album degli Weezer potrebbe essere il tuo disco preferito di sempre, cosa che molti tuoi ascoltatori non sospetterebbero. Perché è così speciale per te?
Nostalgia. Da ragazzino ho ascoltato quell’album una marea di volte. Ha ottime canzoni, ottimi suoni, ottime melodie, e ogni pezzo ha un assolo di chitarra! È un album davvero divertente.
È sempre figo vedere quella versione dal vivo di Dean Town dei Vulfpeck in cui il pubblico canta tutta la linea di basso. Chiaramente c’è ancora una nicchia di pubblico innamorata di simili formule musicali “vecchia maniera”. Qual è la loro attualità oggi, secondo te?
(Ride, ndr) Sì! È sempre divertente quando sentiamo il pubblico cantare sulle linee di basso o sugli intermezzi strumentali. È una cosa che all’inizio ci sorprendeva, ma alla fine è diventata normale. Io cerco di mantenere una mentalità aperta sulle possibilità del music business e della pop culture. È davvero bello essere parte di una comunità di musicisti che fa il tipo di musica che facciamo noi, oltre ad avere una simile fanbase di appassionati!