Chris Robinson (The Black Crowes): «Quella volta che fui preso a calci da un poliziotto sovietico…»
La band guidata dai fratelli Robinson ha appena pubblicato una speciale riedizione del mitico album d’esordio Shake Your Money Maker. Abbiamo scambiato due chiacchiere con un gioviale Chris
Shake Your Money Maker dei Black Crowes nel 1990 fu un successo da 5 milioni di copie vendute, contenente diverse hit fra cui una strepitosa cover di Hard to Handle di Otis Redding. Seguendo l’onda lunga del successo planetario dei Guns N’Roses, la band guidata dai rissosi fratelli Robinson di Atlanta riproponeva in zona Cesarini (un anno dopo il loro esordio il movimento grunge avrebbe spazzato via tutto) una musica e uno stile di vita ultra-citazionisti del periodo d’oro: Rolling Stones, Faces, Aerosmith. Funzionò.
Dopo vicende alterne negli ultimi anni dovute a dissapori personali, Chris (voce) e Rich (chitarra) hanno ripreso in mano le redini del progetto musicale che li aveva consacrati presso il pubblico rock quando erano poco più che ragazzini. Nell’attesa di un tour mondiale che prevederebbe anche una tappa a Milano il 6 novembre (il condizionale è d’obbligo), i Black Crowes pubblicano ora una riedizione speciale dell’album d’esordio in occasione del trentennale, che esce ora anche in versione fisica. Shake Your Money Maker – 30th Anniversary (American Recordings / Universal Music) comprende diversi inediti, fra cui il singolo Charming Mess, ed è disponibile anche in vinile 180gr e nella Super Deluxe Edition con 4 LP contenenti versioni alternative, demo e un intero live (Atlanta, 1990).
Ci siamo lasciati andare al ricordo dei bei tempi che furono in compagnia di un gioviale Chris Robinson: ecco un estratto dell’intervista che trovate sul numero di marzo di Billboard Italia.
Ai tempi del vostro esordio la scena rock era dominata da generi come l’hair metal, rispetto al quale voi eravate piuttosto diversi. Quale fu la vostra reazione a ciò?
Noi venivamo da un background punk e indie rock, i dischi e le band che amavamo avevano quell’attitudine. I Guns N’Roses avevano reso il rock and roll di nuovo figo, entusiasmante, stiloso. Rispetto ai gruppi hair metal, avevamo un maggiore interesse per la roots music e per noi il songwriting era più importante del look. Essendo noi del sud degli Stati Uniti, avevamo molte influenze provenienti dalla black music, evidenti soprattutto nel mio modo di cantare. Anche molti gruppi degli anni ’70 avevano quel tipo di influenze: Faces, Rolling Stones, Free, Aerosmith, AC/DC… Poi noi eravamo di Atlanta, non di New York o di posti con una grossa industria dell’intrattenimento, quindi eravamo anche più liberi di fare ciò che volevamo.
Parlando di black music, come descriveresti la vostra passione per il blues a quei tempi?
Era profonda. Una delle cose che ci interessavano di più era la pura essenza del rock and roll. Nostro padre era un cantante folk, quindi conosceva bene la roots music: blues, bluegrass, funk, country, jazz, R&B… I Rolling Stones furono un’enorme ispirazione per noi. Come avevano fatto loro nei primi anni ’60, anche noi ascoltavamo Chuck Berry, Little Walter, Bo Diddley. Ed essendo del sud, eravamo anche vicini alla “fonte” di tutto ciò, solo qualche decennio più tardi. Ma è così ancora oggi, del resto: è proprio un fatto culturale.
Hard to Handle fu un grande successo. A chi venne in mente l’idea di fare quella cover?
Fu una mia idea. Il motivo per cui mi piace il pezzo è ovviamente quello stacco di sola voce nel ritornello. Quasi nessuno ne aveva fatto una cover. Ne ho in mente giusto una dei Grateful Dead con Pigpen prima della sua morte (Ron McKernan, fondatore della band scomparso prematuramente nel 1973, ndr), ma in pochi la conoscono, e nemmeno io la conoscevo all’epoca. La cosa bella di ciò è che eravamo giovani, in un gruppo rock, e quel pezzo era stato fatto da una magnifica band R&B con il miglior cantante di tutti i tempi! Per cui abbiamo cercato di farne una versione rock and roll, e George Drakoulias (produttore, ndr) ci spinse a farla in stile Walk This Way. Fu un’ottima idea.
Quando suonaste al Monsters of Rock del 1991 il concerto di Mosca fu enorme, peraltro proprio prima della fine dell’Unione Sovietica. Cosa ricordi di quell’esperienza?
Ricordo che era tutto molto squallido, grigio, freddo, deprimente. Gli AC/DC ci vollero con loro e fu fantastico, Malcolm e Angus furono di grande supporto per noi. Ma nessun russo conosceva la nostra musica e finii anche per essere preso a calci da un poliziotto quel giorno… (ride, ndr) Per cui non fu una bellissima esperienza, almeno per me.