Interviste

Colapesce: la geografia dell’infedeltà – Leggi l’intervista

Abbiamo incontrato Lorenzo Urciullo, meglio noto come Colapesce, poche ore prima dell’uscita di “Infedele”, la sua ultima fatica pubblicata per 42 Records

Autore Eleonora Lischetti
  • Il18 Gennaio 2018
Colapesce: la geografia dell’infedeltà – Leggi l’intervista

Abbiamo incontrato Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo, poche ore prima dell’uscita di Infedele, la sua ultima fatica pubblicata per 42 Records / Believe. L’artista siciliano ha deciso di presentare il nuovo disco in anteprima nella Sala B degli studi Rai di Roma e all’auditorium di Radio Popolare a Milano con un ascolto collettivo riservato ai fan più fedeli – e fortunati – che sono riusciti ad accaparrarsi un biglietto. La mezz’ora di durata del disco è stata un piccolo ritorno al passato: nessun artista sul palco, nessun cellulare in mano, nessuna story su Instagram. Solo orecchie e musica.

Come mai hai deciso di fare questo ascolto collettivo?

Mi interessava la reazione del pubblico. Una volta, negli anni Sessanta, si faceva con i discografici, che organizzavano con i giornalisti l’ascolto in anteprima. Adesso ci sono le uscite digitali alla mezzanotte del venerdì: è tutto più smaterializzato rispetto a prima. Mi sembrava interessante creare un’attesa, facendo sentire il disco in anteprima a delle persone, a dei curiosi. Non agli addetti ai lavori, ai giornalisti. Un regalo esclusivo per i fedelissimi, ecco.

Il titolo del disco è Infedele: a chi? a cosa?

“Infedele” è quasi una parola polisemica: ha diverse sfaccettature. Infedele a me stesso, infedele per sottolineare ancora una volta il fatto di non appartenere a nessuna parrocchia. Odio essere in qualche modo racchiuso nelle definizioni: indie, cantautore. Un po’ il senso è questo, un po’ anche legato vicende personali. Ma anche per l’aspetto religioso, in generale, che è piuttosto attuale come tipologia di argomento.

Un tema, quello religioso, che comunque ritorna spesso.

Certo, già dalla copertina. O con il brano Maometto a Milano o con Vasco Da Gama. C’è una geografia dell’infedeltà all’interno del disco.

La copertina è stata ideata da e con Alfredo Maddaluno.

Io e Alfredo siamo amici, è il mio batterista già da Egomostro. Il concept di tutto era racchiuso in tre parole: Sicilia, ricorrenza, 1992. In Sicilia negli anni Novanta le ricorrenze erano festeggiate con dei dettami estetici ben definiti: il risotto, lo champagne, le pennette alla vodka… [ride]. O fondamentale era il cocktail di gamberi, col Fragolino, che spero sia uscito fuori produzione! L’estetica della copertina è molto chiara, così come le copertine dei singoli. Su quella di Ti Attraverso c’è una foto di mio fratello che tiene… come si dice in italiano il “panaro”?

Il cestino!

Brava, il cestino di vimini per i confetti. E sotto delle vongole, altro classico.

Infedele è anche un disco decisamente distante dalla tua produzione precedente. Sei stato infedele anche in questo?

Sicuramente sì, perché ho osato ancora di più. È il mio disco più pop, ma allo stesso tempo anche il mio disco più sperimentale. Ha delle canzoni con una struttura pop chiarissima. Ma in altre canzone sembra quasi free-jazz o elettronica spinta. È abbastanza estremo.

Un disco diverso anche per la produzione. Oltre a Mario Conte sei stato affiancato anche da Jacopo Incani, Iosonouncane.

Con Mario ci lavoro da parecchio tempo, avevamo prodotto assieme Egomostro. Io e Jacopo, a parte l’amicizia che ci lega, abbiamo tantissime cose comune: siamo tutte e due isolani – io siciliano, lui sardo – nati entrambi in zone di mare, pur essendo distanti geograficamente. E questa cosa secondo me ci ha permesso di lavorare in una sintonia quasi magica. I sardi hanno delle caratteristiche in antitesi con quelle del siciliano: il sardo è molto concreto, testardo, posato. Invece il siciliano, in questo caso io, è un essere etereo, trasognante, quasi impalpabile. Questa dicotomia ha creato un equilibrio strano ma interessante. Gli opposti in questo caso si attraggono! E poi anche Mario viene dal mare: è napoletano! Insomma è stato un disco molto marino.

Infatti il tema del mare ritorna spesso: immagino sia un elemento imprescindibile per un isolano.

Il mare è un’ispirazione da sempre perché ci sono nato e cresciuto a contatto. In ogni disco, anche involontariamente, senza pensarci, spesso vado a finire in metafore marine o comunque parlo del mare. Vedi Vasco Da Gama ad esempio: è un brano che parla di uno dei più grandi geni della navigazione. Anche in questo caso è un pretesto, una metafora per dire altro.

Foto di Elena Fortunati

Infedele è un disco che dura mezz’ora: less is more?

Sì, anche perché ho sempre fatto dischi lunghi. Anche per Infedele infatti avevo scritto venti pezzi: adesso sono otto. Ho praticamente decimato la produzione! Ma non perché siano pezzi brutti, tutt’altro. Però mi sembrava che il discorso si chiudesse bene in mezz’ora. In quella durata ci sono due anni di lavoro: è un disco molto denso. Un po’ come i dischi degli anni Settanta-Ottanta. Se pensi a La Voce del Padrone sono sette pezzi. Lo stesso per i dischi di Battisti.

Totale, il secondo singolo uscito, doveva essere una canzone destinata a Luca Carboni. Ma poi ti sei affezionato e l’ha tenuta per te. Come ti trovi a scrivere per i cosiddetti big della musica?

Lavoro anche con la Sony come autore, lo faccio da poco. Mi è capitato solo una volta che un brano abbia avuto grande successo: era L’Estate di John Wayne, interpretata da Raphael Gualazzi. È strano, una volta l’ho sentita in un karaoke e ho detto: beh, ha funzionato! Il lavoro che faccio come autore è totalmente diverso da quello che faccio per me. Quando scrivi per gli altri comunque ti devi mettere nei loro panni. A volte so anche a chi viene destinata la canzone: lì c’è proprio un processo di immedesimazione psicologica. Se scrivo per una donna devo ribaltare il mio punto di vista. Questa cosa per me è molto interessante.

E per Colapesce invece?

Su Colapesce faccio un lavoro di ricerca diversa, sia testuale che musicale, se vuoi anche più ostica, nel senso che non devo fare necessariamente i conti con il pop: mi piace avere questa doppia faccia. Quando scrivo per me sono molto preciso, pignolo: una canzone passa attraverso vari processi, mi devono convincere una serie di cose e finché non sono perfette vengono riscritte e ripensate. Come autore scrivo delle canzoni con dei canoni ben precisi, mentre per Colapesce sono totalmente libero.

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