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De La Soul: «Questa cosa che chiamiamo hip hop non ha avuto un nome fino ai tardi anni ‘80»

34 anni fa usciva uno degli album fondamentali dell’hip hop: “3 Feet High and Rising” adesso è finalmente disponibile in streaming. Un risultato che purtroppo Trugoy Da Dove, una delle voci della band, non ha potuto festeggiare. Abbiamo parlato di questo e del patrimonio artistico dei De La Soul con i restanti componenti

Autore Billboard IT
  • Il4 Marzo 2023
De La Soul: «Questa cosa che chiamiamo hip hop non ha avuto un nome fino ai tardi anni ‘80»

I De La Soul: da sinistra a destra, Maseo, Trugoy, Posdnuos (fonte: ufficio stampa)

Avrebbe dovuto essere una festa, la celebrazione di un traguardo. Non è stato facile far sbarcare la discografia dei De La Soul sulle piattaforme digitali. Ci sono voluti anni di battaglie legali, ci si è dovuti barcamenare tra diritti di autore, contratti e mille complicazioni dovute al massiccio – e quanto mai sapiente – uso dei campioni musicali usati dalla band per fare musica utilizzando la musica, creare qualcosa di nuovo da qualcosa che era già stato creato.

Ma è dura festeggiare con una ferita aperta e profonda come quella lasciata dalla scomparsa di Trugoy Da Dove, una delle voci della band. Dave ci ha lasciati a nemmeno un mese dall’evento tanto atteso. Ma se festeggiare è impossibile, sicuramente è necessario celebrare. Perché il patrimonio artistico dei De La Soul va oltre l’idea sterile di eredità. Profuma ancora di rivoluzione, invita a guardare avanti, pur a 34 anni dall’uscita del loro primo disco.

È in quest’ottica che la chiacchierata con Pos e Mase, gli altri due membri dei De La Soul, avuta poco prima che Trugoy se ne andasse improvvisamente, diventa importante. Non come legacy, ma come chiave di lettura ad un approccio originale, e quindi puramente artistico.

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De La Soul (fonte: ufficio stampa)

Q&A con Pos e Mase

La discografia dei De La Soul è ora disponibile sulle piattaforme. Uno degli ingredienti fondamentali di questo successo è che siate riusciti a rimanere uniti per tutti questi anni. A 34 anni dal primo disco, qual è il vostro segreto?

Pos: Non credo che ci sia un segreto. Come capita tra fratelli, noi non sempre adiamo d’accordo. Possiamo non concordare su dodici cose ma ce ne sarà sempre una tredicesima. Siamo una famiglia e lavoriamo con l’intento di dirci in faccia quello che non va.

Non abbiamo mai avuto l’intenzione di fare le cose individualmente, per i fatti nostri. Mase può avere problemi con me, ma alla fine se fossi in difficoltà sarebbe al mio fianco. Siamo proprio cresciuti essendo amici e volendoci bene. E questa cosa è stata messa alla prova durante tutta la nostra carriera. È stato amore, ma non c’è chissà quale segreto.

Mase: Il punto è che siamo amici con un forte senso di fratellanza. Tu hai fratelli? Quindi saprai bene che ci sono momenti in cui andate d’accordo e momenti in cui invece no, ma alla fine siete una famiglia. E non c’è niente che non faresti per la tua famiglia, che ami incondizionatamente.

Allo stesso tempo, per quanto riguarda il business, il nostro punto di forza è sempre stato essere un gruppo. Pos l’ha detto, abbiamo deviato dal percorso molte volte, ma sono solo le prove che la vita ti mette davanti. Attraversi questi percorsi per vedere come ne esci dall’altro lato. Nulla di buono accade senza qualche tipo di avversità. E non sai mai quando la difficoltà arriverà, sai solo che quando arriva devi mettere la faccia in tutto ciò che ami e in cui credi, e sperare che tutto si risolva per il meglio.

All’inizio abbiamo approcciato l’hip hop arrivando da un quartiere. Non ha avuto molto a che fare con la radio, la televisione o cose del genere. Quello che stava succedendo nelle nostre comunità era una cosa che non aveva ancora neanche un nome. Sai, i b-boy erano b-boy, i DJ erano DJ, gli MC erano MC, i writer erano writer.

Questa cosa che oggi chiamiamo hip hop non ha avuto un nome fino ai tardi anni ’80. Era qualcosa di molto entusiasmante per i ragazzini che sono cresciuti in quel posto e in quel periodo. Ognuno di noi, cresciuti in quella generazione, non solo noi del gruppo, l’ha approcciato in qualche maniera. Qualcuno lo ha portato avanti e ne ha fatto un lavoro, che sia diventato un grande artista di graffiti e faccia NFT, o che sia diventato un famoso ballerino come Crazy Legs che oggi ha una scuola e insegna ai ragazzi la breakdance. Non sapevamo dove sarebbe andata a finire, ma sapevamo di voler farne parte.

Le piattaforme hanno anche cambiato il modo in cui ascoltiamo la musica. Voi siete tempre stati dei buoni ascoltatori: lo si capisce chiaramente dalla vostra musica, dalle produzioni, avete sempre pescato campioni ovunque. Cosa ascoltate oggi?

Pos: Io ascolto tutto. Per me personalmente il passaggio allo streaming ha rallentato parecchio il digging. Da quando lo si può fare digitalmente, mi sento come se potessi cadere in una tana del coniglio, con così tanta musica diversa, così tante culture, così tanti generi differenti.

Posso incappare nell’ascolto del nuovo album di SZA, e dal nulla mi appare: “Se ti piace SZA, ascolta quest’artista che non hai mai sentito prima”. Ed ecco che si apre un’altra voragine che parte da questo nuovo disco, e scopri che questo artista ha già cinque dischi alle spalle. È una mole infinita di musica.

Quello che trovo difficile è rimanere connesso all’artista come quando ero più giovane. Se allora ti piaceva D’Angelo, ne conoscevi la musica, sapevi cosa stava facendo, partivi da un grande disco per scoprire l’artista. Oggi c’è così tanta musica che posso quasi dimenticare un artista che ha fatto un disco clamoroso, che ho ascoltato solo tre settimane fa. C’è semplicemente troppa musica per me.

Mase: Sicuramente c’è un afflusso enorme, perché ognuno è in grado di tirare fuori musica direttamente da casa sua. Puoi mixare un disco stasera e farlo domani. Ma non devi mai smettere di imparare, non importa quanto tu sia vecchio. E mi ritrovo ancora a scoprire musica del nostro passato.

Sono ancora un DJ, collezionare dischi farà sempre parte di me. Per me è ancora interessante uscire e trovare un disco così oscuro che non lo trovi neanche sulle piattaforme. Sono anche un fan delle variazioni delle canzoni nei diversi mix.

Come DJ è una sensazione incredibile quando entri in un locale e suoni qualcosa di oscuro, o magari qualcosa che la gente conosce ma non in quella versione, e non nel modo in cui riesco a manipolarla io. È sempre una bellissima sensazione sentire la ricompensa del pubblico quando gli fai ascoltare qualcosa di pazzesco.

Essere un DJ ed arrivare dal rap è importante, perché fin dalle sue origini questo genere attinge da altri percorsi musicali. E nel fare rap la conoscenza della musica credo sia una componente fondamentale.

Mase: Sono d’accordo. Una grossa parte del rap arriva dalla cultura dei DJ. Punto. È partito tutto dai DJ, e dai collage di diversi stili di musica, l’hip hop ha incorporato le variazioni di generi diversi. Grandmaster Caz non avrebbe potuto dirlo meglio: “Non abbiamo inventato niente, abbiamo reinventato tutto”.

Pos: Già. Se all’inizio i DJ si sono rifatti ai grandi ritmi giamaicani, poi è arrivato Afrika Bambataa che ha detto: “No, io porterò queste nuove waves, con il punk rock su grossi beat africani”. Poi qualcuno ci ha mixato la salsa… è come un impasto di musica incredibile. Ed è per questo che l’hip hop rimane fresco. Puoi avere da un lato i Run DMC che fanno il disco rock con gli Aerosmith e dall’altro Lil Nas X che ci mette quel suono cowboy che mischia l’hip hop con la musica country. L’hip hop è come un fluido che può prendere qualsiasi forma.

Articolo di Matteo Villaci

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