Interviste

Il ritorno dei dEUS con “How to Replace It”: «L’attitudine è non ripeterci mai»

Una conversazione con Stéphane Misseghers, batterista della band dal 2004, il cui tocco è una componente essenziale dell’attuale suono dEUS, una delle migliori band indie rock europee sin dagli anni ’90

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il15 Febbraio 2023
Il ritorno dei dEUS con “How to Replace It”: «L’attitudine è non ripeterci mai»

I dEUS a Bologna (foto di Joris Casaer)

Il 17 febbraio è la data ufficiale di pubblicazione del nuovo album dei dEUS, How To Replace It. La loro è una presenza peculiare nel panorama internazionale indipendente. Ci sono da sempre, da quando dischi come come Worst Case Scenario, In a Bar Under the Sea e The Ideal Crash dettarono le coordinate di un nuovo suono, diverso anche dallo stesso post rock. Si trattava di prendere le chitarre abrasive di Pixies e Sonic Youth e renderle qualcosa di astratto ed europeo, con un occhio anche al Rock In Opposition belga e francese dei due decenni precedenti.

Dopo i primi tre album, Tom Barman e soci si sono tirati fuori dalla mischia e da allora non hanno mai perso l’abitudine di scomparire e riapparire. Come dal nulla. Il nuovo disco è l’ottavo in più di trent’anni di carriera, a undici di distanza dal precedente. Un ritorno ispirato e curato nei minimi particolari.

Intanto, in attesa di rivederli finalmente dal vivo in Italia, a Milano (Magazzini Generali) il 29 marzo, ci siamo fatti una breve conversazione con Stéphane Misseghers, batterista della band dal 2004, il cui tocco è una componente essenziale dell’attuale suono dEUS.

La prima domanda è banale, ma certamente i fan vorranno sapere. Come mai tanta attesa per la nuova musica dei dEUS?

Sicuramente gli anni del Covid hanno prolungato i tempi, poi i componenti della band hanno anche affrontato vicissitudini personali. La ragione però è soprattutto creativa. Nel DNA dei dEUS c’è l’attitudine a non ripetersi mai. E Tom Barnam è un severo cane da guardia. Forse se avessimo cercato una sorta di compilation delle formule che nel tempo hanno funzionato di più avremmo fatto uscire molti più dischi, ma non è ciò che ci interessa.

Quando avete ricominciato a lavorare insieme?

Nel 2019, durante il tour celebrativo dei 20 anni di The Ideal Crash. Siamo rimasti in tour cinque mesi e l’impulso a scrivere nuova musica è nato allora. Le sollecitazioni emotive scaturite dai momenti particolari cui ti ho accennato si sono tradotte in brani, ma non è stato un lavoro continuativo. Non siamo più giovani, ammettiamolo, dunque l’ispirazione va attesa, assecondata, non forzata. E poi bisogna sempre mettere insieme cinque teste.

C’è qualche pezzo per cui avete litigato?

Le Blues Polaire. All’inizio non mi piaceva, mi sembrava quasi Gainsbourg e inoltre quella di cantare in francese era una cosa che avevamo già fatto. Ma appena abbiamo iniziato a lavorarci mi sono dovuto ricredere.

È anche uno dei miei pezzi preferiti. Ma in che senso dicevi che Tom è un cane da guardia?

Perché non è mai contento, è ossessionato dall’idea di ricreare su disco il nucleo d’ispirazione più autentico di un pezzo. Avremo buttato via almeno quattro dischi completi.

Di canzoni però ne sono rimaste parecchie. Dodici pezzi, spesso di lunga durata. Un vero e proprio fiume di musica in piena. Era vostra intenzione suonare così epici?

Parlerei di ricchezza più che di epicità. Posso essere d’accordo con questo termine se ti riferisci a Le Blues Polaire, ma in quel caso il tema della bipolarità necessitava di uno sviluppo narrativo. In generale, però, quando abbiamo iniziato a lavorare alle session volevamo un tipo di ricchezza differente da quella di un Keep You Close.

dEUS (foto di Joris Casaer)
A un primo ascolto però mi sembra quello il disco che maggiormente può ricordare il nuovo album…

In realtà non abbiamo mai fatto due dischi realmente simili fra loro. Questa volta l’idea di base era che ogni singola nota m significasse qualcosa e che gli arrangiamenti, anche quelli orchestrali non si sviluppassero in larghezza, ma verticalmente.

Mi spieghi meglio?

È una idea nata da Tom, che è stata poi uno dei dogmi durante la realizzazione dei pezzi. Certo, di fronte a una frase come «in questo disco dobbiamo suonare verticali» ti viene da chiederti che diamine voglia significare, ma poi, lavorando, un concetto così astratto ha preso forma ed è diventato un metodo di lavoro. Si è trattato di fare meno, di calibrare ogni intervento, insomma di lasciare spazio alla profondità.

È un concetto che riguarda anche le liriche?

A mio modesto parere Tom scrive testi molto forti. Per questo album è stato fatto un lavoro meticoloso in sede di arrangiamento, per fare in modo che parole e musica convergessero in un insieme efficace. Non necessariamente un passaggio emotivo necessita di un pieno musicale, anzi spesso a valorizzare un testo importante può essere piuttosto una base essenziale…

A livello percussivo mi sembra che ci sia tanto lavoro nel creare le fondamenta di questa verticalità. A volte le percussioni sembrano dialogare con gli strumenti e la voce.

Ti riferisci a qualche canzone in particolare?

Mi riferivo un po’ a tutto l’album, ma come esempi citerei Must Have Been New,che è in ¾, con percussioni molto “scoperte”, Dream Is a Giver, che inizia solo voce, batteria ed elettronica, e Simple Pleasures, un pezzo ricco di groove.

Direi che i pezzi che hai citato possono già essere indicativi. Suonare in ¾ è difficile, perché devi mantenere il feeling di un tempo ternario, senza però diventare troppo jazz. Non sono in virtuoso, né mi interesserebbe esserlo. La batteria, in una musica come la nostra, deve collocarsi nei vuoti creati dagli altri strumenti e dare impulso ai loro interventi. È proprio il dialogo di cui parlavi, che in questo disco mi pare più riuscito che in qualsiasi altro.

Qual è il tuo album dei dEUS preferito tra quelli i cui non suoni?

In a Bar Under the Sea. È un album di transizione verso la fase matura e contiene già molte delle cose che sarebbero arrivate dopo. È come una promessa imperfetta e proprio per questo mi piace moltissimo.

Avete già pensato alla scaletta del tour?

Abbiamo solo iniziato a lavorarci, per cui è ancora tutto da decidere, ma il dogma è sempre lo stesso. Non ripeterci.

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