Interviste

Verbo amare, prima persona singolare: intervista a Dua Lipa

Dua Lipa si porta a casa due meritati Brit Awards: British Breaktrough Act e British Female Solo Artist. Ecco un estratto della cover story di febbraio dedicata alla giovane star determinata a riscrivere le regole del pop

Autore Federico Durante
  • Il22 Febbraio 2018
Verbo amare, prima persona singolare: intervista a Dua Lipa

Il più affascinante manifesto del pop non viene dalla musica stessa ma dalla commistione fra letteratura e cinema. In Alta Fedeltà – una delle commedie sentimentali meno banali a cavallo del cambio di millennio, tratta dal romanzo di Nick Hornby – lo sfigato e tenebroso protagonista Rob Gordon (John Cusack) apre il film con un monologo memorabile: “Che cos’è nata prima, la musica o la sofferenza? Ai bambini si tolgono le armi giocattolo, non gli si fanno vedere certi film per paura che possano sviluppare la cultura della violenza. Però nessuno evita che ascoltino centinaia, anzi migliaia di canzoni che parlano di abbandoni, di gelosie, di tradimenti, di penose tragedie del cuore. Io ascoltavo la pop music perché ero un infelice. O ero infelice perché ascoltavo la pop music?”. Fra i nuovi talenti esplosi negli ultimi due anni, Dua Lipa è l’artista che meglio interpreta la dimensione oscura e struggente del pop con tutto il caleidoscopio di emozioni che ci si può aspettare dai suoi 22 anni e da una storia personale fatta di sacrifici e determinazione. Il suo destino è scritto nel suo nome: Dua, in albanese l’infinito e la prima persona singolare del verbo “amare”.

«L’amore è importante – mi dice con un candore spiazzante e con un fiero accento londinese – È una parte della vita ed è fondamentale condividerlo. Così anche le persone intorno a te si sentono amate. E questa è una cosa meravigliosa». Il suo album d’esordio omonimo, quel Dua Lipa uscito a giugno 2017, ha un pregio incommensurabile per un’artista pop. Non d’amore in termini astratti o preconcetti si parla, bensì di specifiche fasi sentimentali, di pieghe concrete delle relazioni, nella preziosa ottica di un girl empowerment che la eleva a naturale punto di riferimento per le coetanee di mezzo mondo: così troviamo l’amore totale in Genesis e Lost in Your Light, la potenza dell’attrazione reciproca in Hotter Than Hell, il rimorso autocritico in Be the One, la sfacciataggine che rifiuta il compromesso in IDGAF e Blow Your Mind (Mwah), la sensazione di crepuscolo di un rapporto in No Goodbyes, il senso della distanza nella splendida Homesick (che la vede duettare con un interprete d’eccezione, Chris Martin). Nella sua hit New Rules, con quell’enumerazione delle “regole” da osservare con i ragazzi che non vogliono fare sul serio, c’è persino un’involontaria eco dei Clash di Know Your Rights: contesti certo diversi, ma stessa volontà di trasmettere un messaggio chiaro e soprattutto utile.

Le numerose variazioni sul tema delle relazioni proiettano l’arte di Dua Lipa – è lei stessa autrice o co-autrice di quasi tutti i suoi brani, come ci tiene spesso a precisare con orgoglio – in uno spazio emotivo sfaccettato, problematico, irrisolto ma attraversato sempre con la schiena dritta. È in virtù di questa tensione malinconica dell’ego, piuttosto inusuale in ambito pop, che la Nostra ama definire la sua musica come “dark pop” o anche “dance-crying”: «Credo che sia un po’ di tutto – dice a proposito dell’album d’esordio, certificato Disco d’Oro nel Regno Unito – Direi che questo album è un disco pop ma è variegato. Lo descriverei come “dark pop” perché penso che i testi abbiano un significato un po’ più cupo». Una cifra stilistica che peraltro ben si addice alla sua qualità vocale, dal timbro così caldo e sensuale e dalla spiccata predilezione per un registro non acuto (è famoso l’aneddoto che la vede scartata dal coro delle elementari perché incapace di raggiungere le note più alte – una “imperfezione” che sarà la sua fortuna). Il canto di Dua è complesso e versatile, tanto melodico quanto ritmico: si ascoltino per esempio le sofisticate scansioni ritmiche dei ritornelli di Genesis e IDGAF e i versi praticamente rap in quello di Blow Your Mind (Mwah).

Ma da dove arriva questa ragazza determinata a lasciare il segno sull’evoluzione della musica pop di questi anni? Dua Lipa nasce il 22 agosto 1995 a Londra da genitori kosovari di etnia albanese originari di Pristina. Erano gli anni ’90 e di lì a poco il suicidio della Jugoslavia avrebbe fatto spirare il vento della guerra anche sulla piccola regione autonoma del Kosovo. A Londra Dua passa gli anni dell’infanzia e, in seguito alla pacificazione e alla dichiarazione d’indipendenza kosovara, la famiglia si trasferisce di nuovo in patria. È già a Pristina che intorno ai 14 anni Dua comincia a pubblicare su YouTube cover delle sue cantanti preferite: su tutte, Pink, Christina Aguilera e Nelly Furtado (le faccio notare che ora sono sue colleghe e, alla domanda se vedremo mai un featuring con una di loro, si illumina: «Oddio, mi piacerebbe tantissimo! Sarebbe fantastico avere la possibilità di collaborare con quelle artiste»). La ragazza ha deciso: vuole tentare la carriera musicale. A 15 anni torna da sola a Londra, dove frequenta nei fine settimana la Sylvia Young Theatre School (la stessa da cui fu espulsa Amy Winehouse per mancanza d’impegno) e poco dopo inizia a mantenersi facendo la modella e la cameriera. La sua dedizione è presto premiata: la sua musica giunge alle orecchie di Ben Mawson, il manager di Lana Del Rey, e nel 2015 firma il contratto discografico con la Warner.

Dua Lipa
Dua Lipa

La passione di Dua nasce e si sviluppa in un contesto familiare altamente musicofilo. In casa Lipa si ascoltano i grandi del rock di ogni epoca come Bowie, Sting, Radiohead: «Ai miei genitori piaceva molto la musica britannica e crescendo ho ascoltato ogni tipo di musica – ricorda Dua – Non c’era un singolo genere che non ascoltassi, perlomeno ci provavo. Ma mi piace il rock britannico e credo che questo aiuti molto perché ce n’è parecchio, oltre alle mie influenze pop, in buona parte della mia musica». Soprattutto è da papà Dukagjin – a sua volta musicista e cantante con un discreto seguito in Kosovo, spesso citato da Dua fra le sue principali influenze musicali – che la ragazza eredita l’amore per la musica e la determinazione necessaria a farne una vera e propria carriera: «Credo che essere stata circondata dalla musica sin dalla più tenera età sia senz’altro il motivo per cui faccio quello che faccio. Penso di avere imparato da mio padre la maniera di lavorare: lui ha sempre lavorato davvero sodo». Col padre ha persino duettato nel trionfale concerto che l’ha portata ad esibirsi nel 2016 (il suo album ancora non era uscito) nella sua “seconda” città, Pristina, davanti a un pubblico di oltre 15mila persone in uno dei live più grandi che la piccola capitale del Kosovo avesse mai visto. «Il pubblico lì è davvero caloroso – ricorda a proposito del concerto – Sono andata ad agosto 2016 e c’erano tantissime persone. Un sacco di gente si è entusiasmata e il loro supporto significa davvero tanto per me».

Nei mesi che la portano alla pubblicazione dell’album d’esordio, Dua Lipa mette a segno tre collaborazioni di notevole spessore con altrettanti numeri uno di varia provenienza musicale: la troviamo insieme a Sean Paul nel singolo No Lie, con Martin Garrix (primo posto nel 2016 e nel 2017 nella Top 100 di DJ Magazine) in Scared to Be Lonely, mentre realizza con il già citato frontman dei Coldplay, Chris Martin, la dolce ballad Homesick che andrà poi a chiudere il suo disco. Hip hop, dance, pop acustico: con versatilità Dua nuota a stile libero da un linguaggio musicale all’altro con la stessa disinvoltura di un cambio d’abito, sempre iconica e sempre riconoscibile. «Amo sperimentare e lavorare con artisti che fanno musica che non necessariamente farei io – precisa – Per cui è entusiasmante collaborare con altre persone in quel modo e vedere cosa puoi mettere in campo. La musica elettronica non mi è proprio nuova. Ovviamente conosco quello che Martin ha fatto prima e che è andato in radio ma ero anche familiare con cose un po’ più underground». Con una consapevolezza del proprio stile probabilmente mutuata dall’esperienza come modella, che a onor del vero non ricorda con piacere, per Dua la voce è anche potenza visiva: per lei la cosa più importante, come spiega in un’intervista al New York Times, è la riconoscibilità di un’immagine sonora che faccia subito venire in mente il suo nome a chi l’ascolta.

Il 2017 è il suo anno: esce il suo primo disco ed è soprattutto un singolo, New Rules, che la proietta su scala planetaria. Il videoclip del brano, pubblicato a luglio, macina 2.3 milioni di visualizzazioni nelle prime 24 ore e si attesta oggi oltre quota 900 milioni. Non solo: il successo del brano la porta all’attenzione del mondo dell’alta moda. Da giovane talento pop a nuova icona di stile, la sintesi di voce e immagine è compiuta. La vuole per esempio la maison fiorentina Patrizia Pepe per la sua campagna “Bang Bang” in cui Dua Lipa reinterpreta il classico di Cher per le strade di New York.

La ragazza deve molto del suo successo al mondo social. Le piattaforme su cui è maggiormente attiva sono Twitter, 1.4 milioni di follower, e Instagram, oltre 6 milioni, che ama gestire anche personalmente. Non sorprende: in quanto artista “nativa social” e “social-obsessed” Dua esibisce una spontaneità nelle forme di comunicazione 2.0 tutta schietta e affine a quella dei suoi coetanei di tutto il mondo. Tuttavia la sua fortuna è legata proprio a YouTube, che ha accompagnato ogni passo della sua avventura artistica dalle prime cover “da cameretta” alle hit globali. «Direi che la mia vita è cambiata parecchio – commenta ricordando quei primissimi video – Sai, fra i tantissimi viaggi e concerti non ho mai davvero passato due giorni nello stesso posto: mi succedono così tante cose… Ma mi ritengo molto fortunata ad aver pubblicato il mio album. Ci sono un sacco di cose entusiasmanti». Gli esordi – se così si possono chiamare – di Dua Lipa la accomunano tanto ad altre popstar (anche Charlie Puth e Justin Bieber, per esempio, sono stati “scovati” proprio su YouTube) quanto alle migliaia di giovani ragazze e ragazzi che ogni giorno riempiono le piattaforme di video sharing con cover, medley, riarrangiamenti dei brani dei loro idoli. Quasi sempre per un sacrosanto, vitalistico bisogno espressivo di comunicare con i propri simili. E per una bella chiusura del cerchio, oggi sono proprio le canzoni di Dua ad essere reinterpretate dai giovanissimi nei loro video online: «Li ho visti! E sono davvero onorata che questi ragazzi e ragazze facciano le cover delle mie canzoni. È una cosa molto creativa da parte loro e apprezzo molto il loro supporto».

Dua Lipa
Dua Lipa

Cantante, trendsetter e qualche volta autrice: è quest’ultimo un lato poco esplorato delle sue sfaccettature creative che però le ha permesso di collaborare anche con artisti nostrani. Porta infatti la sua firma il singolo Used to You (uscito anche come Potrei Abituarmi) di Annalisa, terzo estratto dall’album Se Avessi un Cuore del 2016. «Penso che sia davvero divertente scrivere canzoni – commenta a proposito dell’esperienza con Annalisa – A volte quando scrivo un pezzo che mi piace molto non penso di farlo per me: è in questa maniera che sono in grado di scrivere per altri artisti! Ed è davvero fantastico quando sentono di potersi immedesimare in un brano, apprezzarlo, amarlo fino a farlo proprio. Credo che Annalisa abbia capito questo e ha poi tradotto l’intera canzone in italiano. Mi sento fortunata».

Il 2017 è stato il suo anno di svolta: un punto d’arrivo per la ragazza che postava le cover di Pink, una solida base su cui costruire una carriera per l’artista internazionale. L’anno scorso è stata l’artista donna più ascoltata su Spotify nel Regno Unito, ha girato il mondo con oltre 80 concerti ed è stata inserita dal Time fra i “Next Generation Leaders” per il suo impegno sociale dai diritti delle donne alle fondazioni benefiche in Kosovo. «Credo che la distanza sia la chiave di tutto – riflette – Penso che si debba sempre lavorare sodo per raggiungere i propri obiettivi e per fare musica. Io non mi sono mai tirata indietro. Il viaggio di ognuno di noi è così unico e diverso dagli altri… Ho capito che le cose stavano prendendo la giusta direzione quando semplicemente ho visto che andavo avanti per la mia strada a scrivere canzoni in studio di registrazione». Per il 2018 le premesse sono molto buone: tantissime nuove date in giro per Nord America, Oceania ed Europa e un pienone di nomination ai Brit Awards. Al prestigioso appuntamento del 21 febbraio infatti Dua si presenta in ben cinque categorie: Album of the Year, British Single (per New Rules), British Artist Video (sempre New Rules), British Breakthrough e British Female – non era mai successo che una donna ne ricevesse tante. Se le chiedete cosa farebbe se non avesse mai iniziato una carriera musicale la risposta è netta: «Ci starei ancora provando e starei ancora lavorando per raggiungere quell’obiettivo».


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