Interviste

«Non abbiamo armi per difenderci dalle emozioni»: intervista a Ermal Meta

Ermal Meta ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo in coppia con Fabrizio Moro, presentando il brano “Non Mi Avete Fatto Niente”. È solo l’ultimo passo di un percorso in compagnia della musica che Ermal ha intrapreso fin da bambino

Autore Francesca Binfarè
  • Il22 Maggio 2018
«Non abbiamo armi per difenderci dalle emozioni»: intervista a Ermal Meta

Ermal Meta

Ermal Meta ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo in coppia con Fabrizio Moro, presentando il brano Non Mi Avete Fatto Niente. È solo l’ultimo passo di un percorso in compagnia della musica che Ermal ha intrapreso fin da bambino: il primo incontro con le note classiche grazie alla madre violinista, la passione per il pianoforte e via via per altri strumenti, la scoperta di Michael Jackson, la nascita della prima band – esperienze che lo hanno portato a nutrirsi da sempre di musica e ad affrontare quella gavetta che un tempo era la scelta obbligata di ogni aspirante musicista. Gradino dopo gradino Ermal Meta è riuscito ad affermarsi, prima come autore di hit per altri interpreti, poi come cantautore di primo piano. Il prossimo passo sarà a maggio l’Eurovision Song Contest, dove Ermal e Fabrizio parteciperanno con il brano sanremese («Certo che canteremo in italiano»).

Fatta questa premessa, come ti presenteresti a chi ti ha scoperto durante l’ultimo Sanremo?

Credo sia difficile definire con poco un musicista. Direi che sono molto attento a quello che accade intorno a me, che traggo ispirazione dalle vite degli altri oltre che dalla mia. Sono molto scrupoloso con le parole e con i suoni.

Il tuo nuovo album, pubblicato durante il Festival e certificato Disco d’Oro per le vendite, racconta la contemporaneità e i sentimenti, l’amore, la fiducia, le cadute e le risalite. Il suo titolo è sempre stato Non Abbiamo Armi?

Sì, da quando l’ho concepito. Sapevo e so dove andare perché sono guidato da un senso di unione dei dischi. Non tendo a mettere insieme le canzoni più belle perché verrebbe un’accozzaglia. Ad esempio, Dall’Alba al Tramonto, scritta due anni fa, non l’ho inserita nell’album precedente (Vietato Morire, ndr) perché non ci stava bene. Ho un altro disco pronto, non registrato ma scritto, di brani che dovevano restare fuori dagli album fatti finora.



Il significato del titolo Non Abbiamo Armi qual è?

Siamo senza difese, non ne abbiamo bisogno perché per quanto cerchiamo di trincerarci dietro degli scudi non riusciamo comunque a diventare impermeabili alle emozioni. Non possiamo liberarci di quello che proviamo perché sono i sentimenti che ci definiscono.

Spesso hai detto che i libri che leggi fanno nascere canzoni. L’impressione però è che questo disco sia un po’ più intimo degli altri, quasi un tuo diario. Confermi?

Sì, è così: ci sono molti aspetti personali ma anche il vissuto di altre persone.

In Amore Alcolico canti “il tempo è solamente una bugia”, ma già con La Fame di Camilla (band di cui era il cantante, ndr) dicevi che “il tempo è un inganno”. Non sembri aver cambiato idea.

No, perché la misura del tempo è una convenzione: secondi, millenni… quello che resta è il ricordo delle cose, cioè l’emozione che ci hanno lasciato. La musica fa proprio questo: ricordiamo le canzoni che ci fanno ridere o piangere. Noi viviamo, non cataloghiamo attimi. Io sono un pessimo catalogatore.

Telefoni a Venditti e scrivi Caro Antonello.

Io ascolto e lui parla, anche a lungo. Adoro persone come Antonello, o come Enrico Ruggeri, che di cose da raccontare ne hanno tantissime. In qualche modo cerco anche io di raccontare qualcosa, non per emularli ma per somigliare loro. Ho una grande stima nei confronti di chi ha cavalcato per tanti anni un’onda così difficile come quella della musica.



Quindi, Caro Antonello?

Gli stavo parlando di un periodo mio personale un po’ così, mi ha detto di scrivergli una lettera. Non so se pensasse a una canzone, fatto sta che il suo pensiero mi ha trafitto come un raggio di sole, per parafrasare una poesia importante (recita Ed È Subito Sera, ndr). Ero in auto, mi sono fermato e ho scritto subito il testo del brano.

Venditti l’ha ascoltato?

Per primo. L’ho chiamato: “Maestro, ti ho preso alla lettera. Ho scritto una canzone”. Mi ha chiesto di fargliela sentire e poi mi ha detto “Bella, bravo”.

Il cuore di cane che citi in questo testo c’entra con l’omonimo libro di Bulgakov?

Non c’entra. Quando ho scritto la canzone vivevo un momento di confusione emotiva e quindi ho chiesto ad Antonello: “Hai per caso visto il mio cuore da qualche parte? Perché non so più dove cazzo si trovi”.

In Dall’Alba al Tramonto ripeti: “Solo se ti fidi di me”. Quindi tu ti fidi degli altri…

Io mi fido sempre degli altri. Quando conosco qualcuno non mi metto in guardia, preferisco dare fiducia perché nonostante tutto credo nella bontà e nella generosità delle persone. Se poi qualcuno mi frega, amen.

Ogni tanto compare qualche tuo post sui social in cui dici che hai scritto una nuova canzone il giorno di Natale. Quante ne hai composte il 25 dicembre?

Tante. Non so cosa mi succeda, però sono abbastanza legato al fatto di fare qualcosa di diverso rispetto a tutto il mondo in un determinato momento. E poi per tre anni di fila mi sono trovato a dicembre a fare un disco, quindi non pensavo a pranzi e cene ma alla musica.

Le parole stellepianeti, gravitare sono uno dei tuoi tratti distintivi. Le ricerchi volutamente, pur nella spontaneità con cui scrivi le canzoni?

Sgorgano abbastanza semplicemente. Ho sempre pensato in maniera piuttosto fantasiosa a come i corpi celesti lontani possano influenzare la vita sulla terra, perché tutto è connesso. Questo mi porta a credere che ci sia qualcosa di più, che vada al di là della nostra comprensione.

Non c’entra quindi la tua passione per l’astronomia?

L’ho studiata abbastanza, mi hanno sempre affascinato i quasar, le stelle, la gravitazione universale… lo sai quant’è la pressione all’interno di un buco nero?

No… (Ermal ride, ndr)

Si ritiene che l’universo possa avere due probabili finali: nel primo vincerebbe la forza centripeta, che scatenerebbe un cataclisma che sarò felice di non vedere, nel secondo l’espansione portata all’infinito trasformerebbe l’universo in un cimitero di corpi freddi (conclude con voce teatrale, ndr).

Hai detto che la nascita di una canzone è come l’esplosione di una piccola galassia.

È quello che accade: ti esplodono negli occhi e nelle orecchie dei suoni che in quel momento non vedi eppure li senti, ed è una cosa pazzesca.



Il Vento della Vita mi ha ricordato Per Dirti Ciao di Tiziano Ferro.

Tiziano è uno dei più grandi artisti che abbiamo in Italia, mi piacerebbe molto collaborare con lui. Detto questo, la musica è già stata fatta tutta. Quando scrivo una canzone cerco di darle la forma migliore, senza preoccuparmi che possa far pensare a qualcos’altro. Ascolti gli Oasis e ti sembra di sentirci alcune cose dei Beatles, ma questo è un filtro d’ascolto personale.

Sei famoso per il tuo sorriso, perché qualche anno fa non sorridevi mai?

Perché vivevo la musica come una cosa molto seria – dentro però gongolavo. Avevo il sospetto di apparire serioso, quindi un giorno ho digitato su Google “La Fame di Camilla immagini”: non è uscita neanche una foto in cui sorridessi. Ho detto cavoli, che strano. Questa cosa è in netta contrapposizione con il modo in cui sono fatto. Gli amici mi chiedono sempre di raccontare barzellette. Facevo tornei di barzellette, e spesso li vincevo anche. Ho una capacità incredibile di ricordarmele, le barzellette.

Tornando alle foto…

Ho deciso di mostrare che mi piace divertirmi, mi piace far ridere gli altri, mi piace farli stare bene non solo con la musica.

Ti piace anche parlare con gli sconosciuti, però dopo la vittoria di Sanremo sarà un po’ difficile che le persone non ti riconoscano.

Dipende da chi incontri ma, comunque, se hai voglia di parlare con la gente lo fai. L’altro giorno al supermercato mi hanno detto “Ma sei il cantante, come mai qua?”. Ho risposto che anche i cantanti si nutrono e fanno la spesa. Io vivo con gli altri, a me piace parlare con le persone, conoscere le loro storie.

Parentesi: chi ce l’ha il premio di Sanremo?

Per adesso ce l’ho io anche se in realtà l’avevo perso giocando a pari e dispari con Fabrizio. Alla fine mi ha detto di prenderlo perché lui ha già quello di Sanremo Giovani. Ne stiamo facendo fare una copia.

A proposito di storie, il romanzo che ti sarebbe piaciuto scrivere l’hai messo in cantiere?

Ad avere il tempo! L’idea c’è sempre, però in questo momento sono molto legato alla forma espressiva musicale. Quando mi prenderò una pausa, perché prima o poi dovrà avvenire, allora magari mi metterò a scrivere. Ma c’è tempo.

Sei arrivato al primo posto della classifica degli album, facendo scendere in seconda posizione Rockstar di Sfera Ebbasta.

Per una settimana. Sfera, come tutta la trap, in questo momento rappresenta una tendenza. È ovvio che sono contento di essere stato primo in classifica, ma quello che conta di più sono le persone e la loro partecipazione ai concerti. Questo mi riempie il cuore.

La prima data del tuo nuovo tour sarà il 28 aprile al Forum di Assago. Esplosione di galassie anche qui?

Non vedo l’ora perché sarà una grande festa. Non ci avevo pensato: il Forum (che è sold out) mi sembrava una cosa abbastanza lontana. Il fatto di suonare in un tempio della musica pieno di gente mi dà una carica e una felicità incredibili. Ci saranno sicuramente delle sorprese che però non voglio svelare. Stiamo preparando cose belle per tutto il tour.



Con La Fame di Camilla avevi già suonato al Forum.

Aprendo un concerto dei Negrita, persone speciali e musicisti straordinari. Fu una botta di emozioni, ma il pubblico non era lì per noi. Stavolta è diverso.

La tua prima band si chiamava Shiva?

Sì, come lo sai? Era nata tra i banchi di scuola.

Quanti nomi di band ti sei trovato a ideare?

Solo La Fame di Camilla. L’idea per il nome Shiva era venuta a Roberto, chitarrista del gruppo nonché mio migliore amico, tuttora un fratello per me. Gli Ameba 4 esistevano già quando io ci sono entrato; il cantante, Fabio, era talentuosissimo.

A quando risale la tua parentesi come backliner, il tecnico che gestisce e sistema gli strumenti?

A diversi anni fa. È stata un’esperienza importantissima, mi ha fatto conoscere tutti gli aspetti tecnici di un concerto. Tendenzialmente io stavo dietro al batterista perché ero piuttosto bravo a occuparmi delle batterie. Guardando il pubblico ne vedevo le reazioni, ho imparato moltissimo anche così.

In questo che è il tuo momento, hai paura di qualcosa?

No, perché sta andando tutto bene. Quello che faccio dipende in gran parte da me: se scrivo canzoni ispirate che hanno dentro un valore, sono sicuro che la gente se ne accorge. E quando succede è una cosa molto bella, che non ti abbandona mai.

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