Gianni Morandi: «Resto al passo coi tempi grazie ad Anna, che è malata di rap»
Fra il nuovo singolo L’allegria, le evoluzioni delle dinamiche di fruizione musicale e la voglia innata di restare sempre al passo coi tempi, una conversazione a 360 gradi con l’inossidabile cantante. Ecco un estratto dell’intervista che trovate sul numero di luglio-agosto
«Rovazzi! Scusate, c’è Rovazzi, fatemelo salutare». Gianni Morandi è nel bel mezzo del tour de force promozionale per il suo ultimo singolo L’allegria: ci risponde al telefono in viva voce ma, poco prima di partire con la nostra intervista, incrocia il vecchio amico con cui aveva interpretato un altro tormentone di qualche anno fa, Volare.
Ed è davvero uno spasso ascoltare a distanza questa rimpatriata. «Fratello! Come stai?»; «Bene, ho sentito il tuo nuovo pezzo, ma gli hai fatto cantare solo tre righe a Eros!»; «Ma… Sei al telefono con qualcun altro?», «Sì, sì, devo fare un’intervista con… Billboard», «Ma come?!? Dai, ci vediamo all’Arena di Verona il 31 agosto!». Nel giro di un paio di minuti salutiamo Fabio Rovazzi e ci ricomponiamo per riprendere ufficialmente la nostra chiacchierata con Gianni Morandi.
Nonostante il titolo e il ritornello, L’allegria non è il tipico tormentone estivo. Concordi?
È meno facile di altri, sì. È difficile che incontri qualcuno per strada che canta una strofa come “Lo sguardo perso nello specchio sopra il lavandino, un ragno che mi guarda negli occhi dal comodino”… Come cazzo fa? Ma tutti cantano il ritornello, soprattutto il coro: “Lalla-lalla-lalla-lalla-L’allegria-uh-uh!”.
Tu quanto hai impiegato a imparare il testo e a cantarlo?
È una canzone molto diversa da quanto ho fatto fino a oggi, ha un arrangiamento forte e intenso, non è stato facile cantare su una base del genere. Mi è arrivata il sabato e l’abbiamo registrata il lunedì mattina. Ho fatto fatica, penso a quello scioglilingua lì in mezzo – “mi ci vuole quello che ci vuole quello che ci vuole” – ma Jovanotti è uno che incoraggia, è bello farsi guidare dalla sua esuberanza. Lorenzo dice che io canto le vocali e le allungo, da cantante. Lui invece è uno che canta le consonanti, mi ha dato la giusta chiave di lettura del pezzo.
Sul primo video che accompagna l’uscita del pezzo ci sono immagini d’epoca di te che balli il twist, a distanza di oltre 50 anni sono perfette: possiamo definire L’allegria un ultra-twist?
Sì, anche perché ha lo stesso beat di Andavo a 100 all’ora! Ma quando Rick Rubin ha lavorato sul pezzo mica lo sapeva che l’avrei cantata io. Quando Lorenzo gliel’ha fatta sentire ha chiesto: “Ma chi è questo?”. E Lorenzo gli ha risposto: “Prendilo come un Johnny Cash italiano”.
Uno dei grandi successi di quest’estate è Mille di Orietta Berti con Achille Lauro e Fedez. Che effetto ti fa, dopo 60 anni, ritrovarti in classifica e alla radio con lei? Ne avrete fatti di Cantagiro e Un disco per l’estate insieme…
Cantagiro, Un disco per l’estate, Canzonissima… Li abbiamo fatti tutti! Io e Orietta ci conosciamo da più di 50 anni ormai, abbiamo anche cantato insieme qualche volta. L’anno prossimo potremmo fare un tormentone io e lei, e poi magari il tour dei palasport. No, scherzo! Ma è un po’ strano vedere comparire nei featuring certi nomi storici, mi viene in mente per esempio Loredana Bertè, ma ci sarà anche qualcun altro che al momento mi sfugge. (Infatti, il giorno dopo quest’intervista è uscito Toy Boy, il pezzo di Colapesce e Dimartino insieme a un’altra colonna portante della musica italiana: Ornella Vanoni, ndr)
Nella tua lunga carriera hai partecipato anche all’Eurovision. Hai seguito l’exploit dei Måneskin quest’anno?
Una cosa straordinaria! Forse era dai tempi di Nel Blu Dipinto di Blu di Modugno (Eurovision 1958, ndr) che un disco uscito dall’Italia non entrava in classifica ovunque: Inghilterra, Stati Uniti, tutto il mondo…
Avresti mai pensato che nel ventunesimo secolo l’Eurovision avrebbe ricevuto tutta questa attenzione?
No! Io ho partecipato nel 1970 con Occhi di Ragazza, c’era anche Julio Iglesias, ma vinse una cantante irlandese, Dana, che poi non ho più sentito neanche nominare. E, sinceramente, non ricordo neanche gli artisti dell’anno scorso!
Uno su mille ce la fa: tra i giovani artisti riesci a individuare chi sono gli eredi di Gianni Morandi e Orietta Berti, i cantanti che continueremo ad ascoltare anche tra cinquant’anni?
Vedo tanti cantautori indie, tanti rapper, tanti trapper e tanti cantanti più classici veramente bravi. A me piace molto Salmo, sono andato anche a un suo concerto e sono rimasto a bocca aperta. Poi c’è Ultimo che canta ancora in modo tradizionale, oppure tra i più giovani c’è Sangiovanni…
Tra indie, rap ed eroi dei talent, sembra tu riesca a stare dietro a tutto quello che esce: come fai?
Anche grazie a mia moglie Anna, che è malata di rap. Li conosce tutti: Rkomi, Capo Plaza, Carl Brave e Franco126, Charlie Charles… Forse perché glieli fa ascoltare nostro figlio Pietro (rapper noto con il nome d’arte Tredici Pietro, ndr). Poi conosco anche gli americani, tipo Drake, che mi piace… Non posso fare a meno di stare al passo coi tempi, devo!
Nel 2021, come negli anni ’60, la musica va avanti prevalentemente singolo dopo singolo. Un tempo erano i 45 giri, oggi i pezzi in streaming: formato a parte, quali differenze maggiori vedi tra le due epoche?
Una volta c’era il piacere di tenere in mano il disco, guardare la copertina, la foto… Oggi invece tutto il mondo è in un telefonino e questo ha cambiato il nostro modo d’essere. Ma lo schema è lo stesso: con la canzone devi arrivare a trasmettere un’emozione. Quando ho iniziato a cantare io c’erano solo una trasmissione radio e un canale televisivo, ma con un disco potevi vendere centinaia di migliaia di copie.
Ora un pezzo può diventare famosissimo nel giro di due giorni… Ma si può anche bruciare tutto molto in fretta. Bisogna lavorare, crescere, sperimentare. Io ho imparato da tutte le persone con cui ho collaborato: considerate che ho avuto la fortuna di partire con Ennio Morricone e Luis Bacalov, due premi Oscar. Il mio è stato un percorso molto particolare, con tanti treni presi di corsa: per me era un gioco, poi sono diventato un professionista. Ma quando ho cominciato non potevo certo immaginare di arrivare fin qui.
Articolo di Michele Bisceglia