Interviste

Dark pop, dark humour, good vibes: intervista a Billie Eilish

L’anno scorso è uscito l’EP d’esordio di Billie Eilish, “Don’t Smile at Me”: al suo interno, nove tracce di ispirazione dark pop con un sound piacevolmente minimalista e un songwriting cupo, ora cinico ora furbescamente sadico, che è la sua cifra stilistica più sorprendente

Autore Federico Durante
  • Il15 Aprile 2018
Dark pop, dark humour, good vibes: intervista a Billie Eilish

Alle due di pomeriggio c’è già un manipolo di ragazzine (età media 14 anni) sedute ordinatamente sul marciapiede fuori dal locale del concerto per assicurarsi di essere in prima fila al live: teli da mare, thermos, carte, quasi una scena d’altri tempi. Billie Eilish arriva nel backstage del Dude Club di Milano con una tutona da rapper e la sua chioma argentea e, nonostante i suoi 16 anni compiuti da poco, come tutti gli artisti diventati grandi in fretta dimostra subito di avere le idee chiare e una grande lucidità di pensiero. L’anno scorso è uscito il suo EP d’esordio, Don’t Smile at Me: al suo interno, nove tracce di ispirazione dark pop con un sound piacevolmente minimalista e un songwriting cupo, ora cinico ora furbescamente sadico, che è la sua cifra stilistica più sorprendente.

Billie Eilish (foto di Cameron Postforoosh)

Vieni spesso citata come un fresco, nuovo talento pop. Ma cos’è la pop music per te?

Il concetto di “generi musicali” – pop, hip hop, alternative e così via – non mi piace molto: penso che la buona musica sia buona e basta, a prescindere dal genere. Ti può piacere la pop music ma anche qualsiasi altro genere di musica. Una buona canzone sarà sempre buona: non penso che la gente abbia bisogno di etichettarla.

Quando ho sentito la tua musica la prima volta ho pensato subito a una versione più giovane e minimalista di Lana Del Rey. Sono completamente fuori strada o c’è qualcosa di suo nel tuo stile?

Oddio, moltissimo! Sono cresciuta con lei. Tutto l’album Born to Die è stato la mia infanzia. Per me è davvero una dea. Come ho detto prima, lei non è riconducibile a un solo genere ma è un po’ di tutto e ha molte influenze diverse. E lo puoi sentire quando ascolti la sua musica.

La tua musica viene spesso definita “dark pop”. Ti identifichi in questa espressione?

Direi di sì. Il modo in cui scrivo è cupo e oscuro. È semplicemente quello che succede nel mio cervello. Non sono proprio una persona allegra – non lo sono mai stata. È anche una cosa abbastanza figa: gran parte del pop è talmente allegra ed energica, parla dell’andare alla grande e amare se stessi… No ragazzi, io detesto me stessa.

Infatti c’è spesso un forte dark humour nelle tue canzoni. Perché quest’attitudine è il tuo naturale mezzo per esprimere te stessa?

Buona parte di ciò mi è stato ispirato dal rap. Quel tipo di songwriting è spesso molto intelligente e profondo. Alcuni molto bravi in questo sono geni come Tyler the Creator, Childish Gambino, Aminé – persone che parlano di cose vere. È una cosa che rispetto molto e provo a scrivere canzoni che dicano le cose forte e chiaro.

Lavori sempre a stretto contatto con tuo fratello Finneas. Come gestite il processo creativo?

Spesso è difficile – ma è così con chiunque tu lavori. Mio fratello è il mio migliore amico e questo rende le cose più semplici: possiamo essere sinceri e dirci quello che proviamo. Oltretutto ci conosciamo molto bene, quindi non dobbiamo “indovinare” quello che ci piace. È una cosa tipo: “Io ti conosco e tu conosci me. Creiamo dell’arte in questo modo”.

Oltre a cantare sei una ballerina. La danza ha influenzato in qualche modo il tuo stile musicale e il tuo songwriting?

Sì, completamente. Penso che se non puoi ballare su una canzone non sia una vera canzone. Devi essere in grado di muoverti in qualche maniera! Io sono cresciuta come ballerina e nella danza ho anche trovato un sacco di musica che ascolto tuttora. Ho scoperto un sacco di canzoni magari un anno prima che diventassero famose. La mia prima canzone è stata Ocean Eyes e quel pezzo è pensato per la danza. Davvero non sarei niente senza la danza.

La tua carriera musicale è cominciata su internet, in particolare su SoundCloud. Che potenziale vedi nel mondo digitale per i giovani artisti?

Internet è una cosa anche terrificante ma è anche la ragione per cui ho raggiunto i miei obiettivi. La cosa strana è che ci sono la notorietà su internet e la notorietà nella realtà – alcune persone hanno entrambe – ma quella su internet è difficile da capire mentre succede. Devi comportarti di conseguenza ed evitare di fare cose che possono rovinare la tua carriera. Perché non la puoi toccare con mano, non la puoi vedere: è lì, nel tuo telefono o nel tuo computer. È abbastanza spaventoso: potrebbe essere tutto finto, ma è così reale. SoundCloud è perfetto. Trovo lì tutta la nuova musica. È ciò che mi ha portato fin qui e non devi pagare niente: chiunque può caricare e ascoltare qualsiasi cosa. Chi ha talento magari non ha le risorse per condividere la sua arte, ma SoundCloud lo permette.

Vieni da una famiglia artistica: entrambi i tuoi genitori sono attori. Cos’hai imparato da loro da un punto di vista professionale?

Loro sono cresciuti da attori e si sono conosciuti in quanto attori. Molte persone penseranno che siano stati i miei genitori a mettermi nel mondo della musica perché già facevano parte dell’industria dello spettacolo. Non è affatto così. Avevano abbastanza esperienza per non fare cose stupide, come il fidarsi di tutti: devi prenderti tempo per conoscere le persone e per fidarti di te stesso prima che degli altri – e questo l’ho imparato da loro. Ma per il resto non mi hanno mai detto cosa dovessi fare.

Copycat è stata remixata dai Sofi Tukker. Cosa ti piace di loro?

Sono sempre loro stessi, che piaccia o no agli altri. Li ho visti per caso al South by Southwest l’anno scorso, non sapevo neanche chi fossero ma suonavo nel locale accanto al loro. I loro spettacoli sono davvero energici e interessanti. Non era importante che mi piacesse o meno la loro musica – e mi piace – ma come intrattenimento era fantastico.

La tua canzone &burn vede la collaborazione di Vince Staples – e quello è peraltro l’unico bagliore di hip hop nel tuo EP. Ci racconti com’è nato quel featuring?

La canzone è essenzialmente la stessa del mio altro brano Watch. Quest’ultima è stata scritta una settimana dopo l’uscita di Ocean Eyes. Non volevo pubblicare Watch perché era “vecchia” e ne ero stanca. Sai quelle volte che ascolti una cosa così tante volte che alla fine non ti dice più niente? Così ho pensato: “Cosa possiamo fare per reinventarla?”. Abbiamo ricominciato da capo registrando questa voce quasi robotica con uno stile trap e ne ero contentissima. Allora avevamo due diverse versioni della stessa canzone e dovevamo capire cosa farne, perché erano entrambe buone. Volevamo aggiungere qualcosa su &burn – e il rap per me è il numero 1. E se devi immaginare qualcuno chi potrebbe essere se non Vince Staples? Ho pensato: “Ovviamente non accetterà mai, è un artista troppo grande”. E invece no! Mi ha mandato una strofa e ci siamo incontrati in studio di registrazione. Lui è davvero un genio.

Ascolta Don’t Smile at Me di Billie Eilish in streaming

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