M.E.R.L.O.T. presenta “Denti”: «Scrivo per trasformare sensazioni orribili in qualcosa di bello»
Il cantautore di origini lucane e di stanza a Bologna ha da poco pubblicato il suo nuovo singolo. Lo abbiamo intervistato
M.E.R.L.O.T. è una delle nuove leve del cantautorato italiano su cui ha deciso di scommettere una major come Universal Music Italia, tramite l’etichetta Virgin Records. Il cantautore di origini lucane (ma di stanza a Bologna da qualche anno) è entrato nel roster della label dopo essersi fatto notare con i numeri importanti macinati in streaming dal singolo Ventitrè del 2019. Dopo l’esperienza di AmaSanremo, che per lui non si è tradotta in una partecipazione al Festival, M.E.R.L.O.T. ha pubblicato il suo nuovo singolo Denti, racconto di una storia d’amore terminata accompagnato dal contrasto tra il dolore per la fine della relazione e il sorriso che prende spazio ripensando alle emozioni provate. Nell’attesa di un progetto discografico sulla lunga distanza, abbiamo scambiato qualche battuta con lui sul brano e sul suo percorso artistico.
Hai detto: “Denti per me è quella tristezza che ti strappa un sorriso, è il passato che più è bello e più fa male”. È doloroso andare a “scoperchiare” questo tipo di sentimenti per tradurli in canzoni?
Diciamo che scrivo per quello: per trasformare quella sensazione orribile in qualcosa di bello. Quindi direi non tanto.
Come nascono i tuoi brani? Pensi che ci sia uno schema ricorrente nella tua modalità di scrittura?
Prendo la chitarra in mano pochissime volte. A volte non la prendo proprio per settimane, però quelle poche volte in cui la prendo vuol dire che molto probabilmente in quei 10 minuti uscirà una canzone. Diciamo che è un processo così naturale che non riesco a pensare a uno schema nella scrittura di un pezzo.
Ormai da quattro anni vivi stabilmente a Bologna, città dalla grandissima tradizione musicale. Che stimoli hai trovato, per la tua musica, nell’ambiente bolognese?
Bologna mi trasmette tantissimi stimoli, soprattutto perché ero abituato a non averne proprio nel mio piccolo paese, quindi è stata una specie di esplosione.
Stai continuando i tuoi studi in ingegneria ambientale?
Sì, sto continuando a studiare ma con tanti rallentamenti. La vivo discretamente bene perché penso che dovevo per forza salire sul famoso treno “che passa una volta sola”. Il mio sogno è fare musica, non diventare ingegnere, quindi diciamo che preferisco laurearmi un po’ più tardi ma almeno averci provato.
Cosa ti ha fatto capire che la musica poteva diventare la tua professione? C’è stato un momento preciso?
Direi quando ho scoperto che la mia musica la ascoltano migliaia di ragazzi nelle cuffiette mentre vanno a scuola, proprio come facevo io e faccio tutt’ora. In quel momento ho capito che forse potevo davvero funzionare. La strada è lunga ma sticazzi, sogniamo! Se devo individuare il momento preciso, dico quando Spotify ha messo la mia faccia sulla playlist che io divoravo tutti i giorni.
Il tuo nome d’arte ha un significato particolare?
In realtà no, quando dovevo pubblicare la mia prima canzone avevo bisogno di un nome, l’occhio mi cadde sui vini su una mia mensola, o Bigi o Merlot. Fine.
Com’è avvenuto il tuo passaggio a una major?
Diciamo che dopo aver pubblicato Ventitrè i miei numeri si sono alzati, molte realtà si sono interessate al mio progetto. In quel momento ho capito che era meglio affidarsi ad una realtà più grande per avere le risorse per poter fare le cose più seriamente, anche perché prima potevo permettermi solo di registrare chiuso nel mio armadio con un microfono da 30 euro.
In un’intervista hai detto: “Bisogna essere più semplici possibile. Chi è che, quando pensa ai problemi, utilizza un italiano forbito?”. Quali sono per te, per esempio fra gli artisti italiani, dei “maestri” di semplicità?
Gazzelle: sono stato folgorato da lui. Ho ascoltato Quella Te quando era il suo unico brano su Spotify e aveva solo 10mila streaming. Lì ho capito troppe cose.
A quando un album o un EP?
Presto!