Dalla strada alle classifiche: con “Nove chiamate” Medy ha spiccato il volo. L’intervista
Con il suo EP d’esordio, il rapper italo marocchino nato e cresciuto nella periferia di Bologna mette in rima il riscatto di un passato difficile e nella nostra intervista si racconta per la prima volta
Se il nome di Medy ancora non vi suona familiare (ma sarà così ancora per poco), vi diciamo solo una parola: Tête. L’artista italo-marocchino classe 2001, nato e cresciuto nella periferia di Bologna, è infatti la voce – insieme a VillaBanks e al producer AVA – di una delle hit può suonate dell’estate, e il 13 gennaio ha pubblicato il suo primo EP, Nove chiamate. Le sette tracce mostrano un lato inedito di Medy, non più quello scanzonato e da latin ghetto lover, ma quello introspettivo di un ragazzo che in pochi anni ne ha già viste troppe. La latitanza, il carcere, la comunità. Medy però non ostenta il suo passato difficile, non lo innalza a modello di street credibility, ma al contrario esprime una genuina volontà di cambiamento e redenzione per gli errori commessi. «Ho capito che la musica è quello che davvero dovevo fare per uscire dalla strada», come ci ha raccontato in questa intervista, in cui si è aperto per la prima volta in assoluto.
E quando, per esperienze vissute, la tua vita a 21 anni è più simile a quella di un uomo adulto che a quella di un ragazzo poco più che adolescente, con un passato rubato dalla strada che ti ha preso a cazzotti e un presente ancora tutto da scrivere, il futuro è un qualcosa da non programmare, ma da vivere cogliendo ogni attimo. «Non voglio farmi nessuna aspettativa. ogni volta che me ne sono fatte ci sono rimasto male, quando invece non mi aspettavo nulla ho sorriso». Una cosa però è certa: con Nove chiamate, Medy – come le colombe raffigurate nell’artwork – ha finalmente spiccato il volo dalla strada alle classifiche.
Medy, come ti senti per questa uscita?
Bene, anche se non ti nascondo che avevo tanta ansia prima di pubblicare questo progetto. Però grazie al team che c’è dietro e la calma che mi trasmette sono riuscito ad essere più tranquillo e sono molto felice del risultato. Musicalmente non mi sono mai fatto troppe aspettative ma dopo un po’ che scrivevo ho capito che la musica è quello che davvero dovevo fare e che poteva farmi uscire dalla strada.
Che riscontri hai avuto da parte dei tuoi fan su Nove chiamate?
I fan mi hanno scritto messaggi bellissimi che non mi sarei mai aspettato. Ho capito che la gente ha proprio voglia di ascoltare la mia musica, che non è una cosa così scontata per me.
Prima dell’EP è uscito un cortometraggio, Nove chiamate – il film. Me lo racconti?
Nasce perché a me è sempre piaciuto recitare. Mi sono sempre ispirato alla scena francese, tipo i PNL che hanno sempre fatto cortometraggi. Non ti nascondo che è stato faticoso ma mi è piaciuto molto farlo.
Sei nato e cresciuto a Bologna che è una città con una grande tradizione hip hop, tu sei molto giovane e non l’hai vissuta in prima persona, ma nella tua arte questa cosa ha una risonanza o senti più l’influenza estera?
La musica italiana mi piace tanto ma se devo scegliere preferisco ascoltare musica francese. Il mio idolo è Maes, un artista francese che mi piace veramente tanto per come si esprime sia nei suoi testi più crudi, sia in quelli più profondi.
Soffocare parla di una storia d’amore finita ma che lascia comunque uno spiraglio di speranza. Scrivere d’amore è una cosa che ti viene naturale o lo trovi difficile?
Soffocare è l’ultima canzone che ho scritto per l’EP, è nata mentre ero in studio con Andry (The Hitmaker, ndr.). È il testo più maturo che abbia scritto perché non parla della solita relazione tra ragazzini, ma di qualcosa di più profondo, di un male che poi ti fa stare bene.
28 Palline invece è una vera e propria lettera a cuore aperto ai tuoi fan, e mi ha colpito in particolare quando dici “Anche se so che le sbarre le ho ancora dentro”. L’esperienza che hai vissuto è una ferita che non si è ancora cicatrizzata? Con questo EP credi di averla un po’ esorcizzata?
28 Palline è la traccia più criminale che abbia mai scritto, anche se dalla base triste potrebbe sembrare che non sia così. Io non ho mai fatto un tatuaggio e non lo farò mai, ma se mi dovessi chiedere qual è la frase che mi tatuerei ti direi “Ho fatto due spicci, non i milioni / Mia madre puliva la merda per terra / Mentre io ero in carcere con i peggiori”. Io dentro stavo male già di mio, e vedere mia madre fuori così mi faceva stare peggio. Qui è come se non avessi scritto nemmeno delle rime, ma dei pensieri come se fosse un flusso di coscienza.
Vivi ancora a Bologna?
Sì, vivo a Bologna con mia mamma ma sto cercando a Milano. So però che anche se mi trasferirò a Milano vorrò sempre tornare a Bologna.
Nell’EP ci sono collaborazioni con Capo Plaza, VillaBanks e Nabi. Come sono nate?
Con Villa ormai c’è un rapporto di amicizia, ci sentiamo tutti i giorni. Nabi l’ho voluto nel disco perché è un ragazzo del mio gruppo, Flexing, ed è fortissimo. Consiglio a tutti di ascoltare i suoi pezzi. Con Plaza invece è stata proprio una roba di rispetto. Nella foto con lui che ho postato su Instagram io avevo 14 anni e andavo in discoteca a rubare le collane a fare le tarantelle, lui invece era nel periodo di Allenamento 4, quindi era mega in hype. Qualche anno dopo ci siamo ritrovati in studio insieme, è stata una cosa assurda.
E invece per quanto riguarda le produzioni?
Ho lavorato principalmente con Timongothekeys che è un ragazzo giovane fortissimo. Poi è come se capisse al volo in che mood sono. Con Andry invece ci siamo conosciuti poco prima che uscisse il progetto e con lui è nata Soffocare.
Che cosa ti auguri per il futuro?
Ora voglio chiudere più canzoni possibili. Io non sono uno che si fa tante aspettative, anche l’EP non era stato programmato, sono stati i miei fan a chiedermelo. Poi ogni volta che mi sono fatto aspettative ci sono rimasto male, quando invece non mi aspettavo nulla ho sorriso.