Interviste

Naska, alla scoperta del nuovo volto del pop punk italiano. L’intervista

Dietro weekend alcolici e musica punk troviamo il cantante e twitcher, che ci ha raccontato il suo primo album, presentato anche nel metaverso

Autore Andrea Torresi
  • Il23 Marzo 2022
Naska, alla scoperta del nuovo volto del pop punk italiano. L’intervista

Diego Naska, foto Ufficio Stampa

L’esordio di Naska, Rebel, fuori dal 4 marzo per Thamsanqa e distribuito da The Orchard, è un album in controtendenza. Diego Caterbetti (questo il suo vero nome, ndr) vuole riportare ai ragazzi la stessa sensazione che provava lui ascoltando i Blink 182 su MTV, parlando loro con quella stessa carica che l’ha fatto appassionare al genere. Che sia attraverso le canzoni, Twitch o il metaverso, l’importante è rimanere fedeli a se stessi.

Diego Naska ci ha presentato il suo “fare schifo” durante la nostra intervista. Ma dietro weekend alcolici e musica punk, c’è un ragazzo che mette cuore e testa in tutto ciò che fa.

L’intervista a Naska

Rebel è fuori da una ventina di giorni. Come ti sembra sia andato?

Sopra le aspettative. Lo dico perché è un genere “vecchio” quello che faccio, ovviamente rimodernizzato, seguendo le tendenze del momento.

Questo aspetto ti metteva ansia?

In realtà, non molta. Quando ero piccolo guardavo MTV, c’erano artisti che fanno quello che faccio io adesso, e pensavo fossero una bomba. I ragazzi di oggi non conoscono molto il genere, alla fine non c’è più l’MTV di turno che passa questo tipo di musica. Ci sono i social e Spotify a spingere la roba nuova.

Ascolto ancora le stesse cose sinceramente (ride, ndr): Blink 182, Sum 41 e Green Day. Ma anche chi rifà il genere, come Machine Gun Kelly e Yungblud. Altre cose, come la trap, non mi interessano.

Quindi andrai al concerto di Machine Gun Kelly a Milano?

In realtà ho preso i biglietti per andare a vedere con mio padre i Rolling Stones. Poi andrò a vedere i Green Day a Firenze e i Red Hot Chili Peppers. Non vedo l’ora, anche perché non sono mai stato ad un concerto. La vita a Milano è piuttosto cara e vivendo da solo tra affitto, bollette, e spese per le serate, 60/80 euro per un concerto prima non li avevo. Adesso cercherò di recuperare il più possibile.

Hai detto che non trovi interessante la trap. Perché?

Sono sempre stato abituato ad ascoltare una musica diversa. C’è stato un periodo in cui facevo anche rap, ma nelle cuffiette avevo sempre i Nirvana e i Guns’n’Roses. Credo sia una questione di sonorità e di testi, perché il flexing e le robe da galletti non mi sono mai piaciute, nella vita reale come nella musica. Sai che c****o me ne frega se flexi? Che cosa ti dovrei dire, bravo? (ride, ndr.)

Che sensazioni hai provato quando hai visto la tua faccia sui cartelloni in giro per Milano?

Mi sono commosso, anche perché mi hanno fatto uno scherzo. Il mio manager mi ha detto “andiamo a fare colazione al bar” e mi ha chiesto di mettermi in posa per fare una foto. Poi è venuto fuori che era un video e quando mi sono girato ho visto il mio cartellone. Me l’hanno proprio fatta!

Dalla produzione dell’album al metaverso Nemesis

Entrando nel vivo di Rebel, hai cominciato a lavorarci già in quarantena. Qual è stato il processo creativo?

Io non ero abituato a lavorare in studio con altre persone. Usavo i type beat e poi andavo dal produttore a dirgli “Questo è il provino, fai tu, non metto parola perché non sono buono” (ride, ndr). È stato bello lavorare con Andrea Bonomo e Renzo Stone, ne sanno del genere e sono dei musicisti incredibili. Alcuni brani, come Fare schifo e 7 su 7, li abbiamo scritti insieme, mentre altri li avevo già fatti, ma magari abbiamo rivisto delle cose. L’unica traccia rimasta uguale è Polly.

Perché?

È stata la canzone più difficile e l’ultima che abbiamo chiuso perché mi sono fissato con la produzione, essendo non solo la mia preferita ma anche la prima che ho scritto.

L’album parte con Fare Schifo (con me), che è un manifesto di ciò in cui credi, e soprattutto ciò in cui non credi. Quanto è importante per te l’onestà?

Molto importante, non ho mai detto p******te. Poi avendo anche il canale Twitch, le persone vedono qual è il mio stile di vita, non posso inventarmi niente: non ho macchine, orologi e soldi nascosti.

Ecco, a proposito di twitch, com’è per te essere artista e streamer?

Fare lo streamer è come fare una storia su Instagram, solo che è lunga 3 ore. Le stories sono nate per avvicinare le persone a chi seguono, e io faccio lo stesso. Poi con Twitch, i fan si sentono decisamente molto vicini, possono fare domande e ricevere le risposte in tempo reale. Li avvicino alla mia musica e permetto loro anche di capire meglio i testi, vedendo come vivo tutti i giorni.

Parlando invece di Punkabbestia, qual è stato un tuo momento molto “punk”?

Tutti i weekend sono così. Io lavoro dalla domenica al giovedì con la mia routine, la musica, il lavoro, twitch. Poi il venerdì e il sabato stacco la testa e il computer, seguo la mia dieta ferrea di gin tonic, e faccio il punkabbestia. Per me è il giusto equilibrio per mantenere la sanità mentale, se sto sempre al computer mi rovino. Tutti abbiamo due giorni di pausa, io li uso così.

E durante la quarantena come hai fatto?

L’ho presa come un momento in cui lavorare. Ho pensato “non ho le mie valvole di sfogo, ne approfitto”. Ho iniziato a scrivere, a preparare l’album. Avevo una lavagna enorme sulla quale avevo già pianificato tutto, durante quel periodo. Infatti poi me la sono “sciallata”.

Quindi non ti occupi solo dei testi, ma hai totale controllo creativo?

Quest’album è uscito insieme al management, ma io sono abituato a fare tutto da solo, perché prima ero indipendente. E quando sei indipendente se vuoi fare le cose bene, devi fare così. Disegnavo le copertine al grafico e poi gli dicevo «fammela fatta bene», poi seguivo il lavoro di master, caricavo i pezzi in autonomia, seguivo tutto io. Quindi ho lavorato così anche per Rebel, come se fossi indipendente. Imanager poi hanno messo il fiocchetto al progetto.

Mamma non mi parla, non ditelo ai miei: viene naturale chiederti quale sia il rapporto con la tua famiglia.

Beh, io lo racconto in maniera divertente e leggera, ma in realtà è una tematica abbastanza tosta. Mia madre non mi ha davvero parlato per mesi ad un certo punto. Vedeva le stories su Instagram in cui mi facevo le cannette sul balcone durante la quarantena e quindi ho cercato di spiegarmi. In quel periodo lavoravo tutti i giorni 8 ore al giorno, facendo la vita da pendolare, quindi le ho detto “se vedi che alle 7 mi bevo una birretta, capiscimi”. Ci è voluto un po’ ma ha capito. E comunque ho imparato a chiedere ai miei amici di cancellare le storie e le foto in cui ci sono io, a fine serata (ride, ndr).

E invece quello con tua sorella, la mamma di Rebel?

Mia sorella ha un paio d’anni in meno di me, ed è una vera punk. Frangetta, tatuaggi, outfit nero. È rimasta incinta e ha deciso di tenere la bimba, e a 20 anni non è facile. Io, da fratello grande, mi sono sentito in dovere di starle vicino. La famiglia è lontana, ma questo ha reso il rapporto con loro molto più forte. Rebel è la mia dedica a lei.

Restando su temi intimi, parli molto di relazioni, non sempre finite bene. Sei diventato più bravo a capire quando un rapporto rischia di essere un “amore tossico”?

Mai finite bene (ride, ndr). Sono diventato bravo a capire che non posso avere relazioni, ora come ora. Poi iniziando a fare date, muovendosi tanto, avere una storia… meglio di no. Però ho imparato dalle vecchie storie, e senza quelle non avrei potuto scrivere brani come Horror e Vaffanculo Per Sempre.

Com’è stata l’esperienza con Nemesis, con un tuo metaverso personale?

L’estetica di Rebel è molto legata al mondo dei college americani, a film come American Pie. Essendo una saga di qualche anno fa, come la musica che faccio, l’opportunità di lavorare con Nemesis era quella di creare un mondo immersivo che facesse capire il mio immaginario. Abbiamo messo in palio la mia skin, rispondendo ad un quiz musicale, e poi c’è stato il concerto.

È stata un’esperienza strana?

Un po’ si, vedi questo pupazzo che ti assomiglia, e la gente che segue come se fosse un concerto vero e proprio. In quel momento si poteva fare solo così, adesso che invece riaprono “le gabbie” abbiamo finalmente delle date.

Parlando di college e American Pie, non posso non chiederti quale sia il tuo preferito.

Sono indeciso tra il terzo, Il Matrimonio, e Beta House. Mi piacciono tutti ma sicuramente dall’ultimo ho preso molta più inspirazione per tutto il concept di Rebel.

Ascolta Rebel, il primo album di Naska

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