Interviste

Night Skinny, Master of the future

Nei suoi dischi ha sempre intercettato i talenti più promettenti del momento ancora prima che esplodessero, dalla generazione del 2016 alla nuova wave del 2023. Ma Night Skinny non ha ancora smesso di predire il futuro del rap italiano, come ci ha raccontato in questa intervista

Autore Greta Valicenti
  • Il25 Novembre 2023
Night Skinny, Master of the future

Night Skinny, foto di Massimiliano Lorenzin

Facendo coesistere sul beat veterani, middle child e nuove stelle pronte a brillare, negli ultimi dieci anni nessuno come Night Skinny ha scattato delle istantanee così nitide e accurate del rap italiano. Dieci anni, sì, perché la carriera di Luca Pace, molisano classe 1983, non è iniziata nel 2019 con Mattoni, un disco certamente importante per il genere, che ha consacrato il nome di Skinny e che ha segnato a tutti gli effetti un punto di svolta nel prodotto producer album in Italia, nonostante nel nostro Paese ci fossero già illustri esempi come Novecinquanta di Fritz Da Cat, 60 hz di DJ Shocca, Original Flavour di DJ Fede e Thori & Rocce di Shablo e Don Joe, solo per citarne alcuni. 

Night Skinny, foto di Massimiliano Lorenzin

Per capire qual è stata la prima volta che Night Skinny ha predetto il futuro del rap italiano bisogna infatti tornare indietro al 2014, anno in cui uscì Zero Kills, un disco che a nomi già affermati nel panorama come Marracash, Salmo, Noyz Narcos, Ghemon Luchè e Colle der fomento affiancava dei giovanissimi e promettenti Achille Lauro, Johnny Marsiglia e Nitro. E, insomma, non si può certo dire che non ci avesse visto lungo già allora. Lo stesso accadde poi con Pezzi (2017), il sopracitato Mattoni e il più recente Botox (2022), tre album in cui Night Skinny non ha avuto paura di osare e di scommettere, uscendone vincitore perché non c’è margine di fallimento quando hai chiara la visione. 

Come ha fatto il Players Club ‘23, la crudissima posse track con cui ha dato la benedizione definitiva a Kid Yugi, Nerissima Serpe, Artie 5ive, Tony Boy – i protagonisti della nostra cover story -, Digital Astro, Low-Red e Papa V, e che presto diventerà anche un libro fotografico di cui ci ha dato uno spoiler e che, fidatevi, farà scendere una lacrima a tutti i nostalgici della wave del 2016. E se c’è un passato da rivivere, un futuro è ancora tutto da scrivere. E Night Skinny ha già impugnato la penna…

L’intervista a Night Skinny

In Italia il producer album è un qualcosa che c’è sempre stato, ma è come se Mattoni fosse stato una sorta di turning point. Qual è stata secondo te la forza di quel disco? 
Io stesso prima di Mattoni avevo fatto altri dischi che però nonostante fossero dei culti per gli appassionati non sono andati così bene perché il mercato era molto arido. Ad esempio Spotify non era ancora arrivato. La forza di Mattoni secondo me è che è riuscito a beneficiare di quel ricambio generazionale che c’è stato tra il 2016 e il 2017. 

La particolarità dei tuoi album è che sono sempre transgenerazionali. Sono un po’ delle istantanee del passato, del presente e del futuro del rap italiano, e spesso queste annate si incrociano nelle posse track che sono presenti alla fine di ogni tuo progetto. 
Assolutamente, mi piace tantissimo mixare le nuove leve con i veterani di questo gioco. Punto molto sui giovani ma artisti come Guè, Luchè, Marracash, Noyz Narcos e Jake La Furia non potranno mai mancare nei miei dischi. Per quanto riguarda le posse track sono una cosa radicata nella cultura hip hop e per me rappresentano una sorta di manifesto. Produrle è sempre molto stimolante perché è difficile riunire tanti artisti sulla stessa traccia. Diciamo che sono diventate una mia cifra stilistica ed è una tradizione che ho intenzione di portare avanti. 

Qual è la combo inedita che ti ha stupito di più?
Questa è un’ottima domanda, anche perché tra mille dischi sta diventando sempre più difficile trovare delle collaborazioni che siano totalmente inedite. Ci sono tantissimi pezzi a cui sono affezionato, ad esempio Stay Away che negli anni è diventato un vero e proprio inno… A livello di combo che mi ha stupito ti direi Marciapiede con Tony Effe, Rkomi e Ernia. 

Mattoni era un disco prettamente rap, in Botox invece hai attinto anche dal mondo pop. Com’è lavorare con artisti che arrivano da questo universo?
Per me è una sfida. Ho cercato di aprirmi di più mantenendo comunque il mio sound, il pezzo con Elisa l’ho definito una dondata, con quell’outro con l’autotune. 

Dopo Botox invece sei tornato al rap puro anche grazie a questa nuova generazione che si è affacciata sulla scena. Che stimoli ti hanno dato questi ragazzi? 
C’è molta unione tra di loro, mi piace un sacco il fatto che si supportino molto a vicenda, hanno un po’ quella vibe Wu Tang. Magari qualcuno deve ancora spiccare il volo, qualcuno l’ha già fatto e qualcun altro verrà capito di più in futuro, ma quello che mi colpisce è che stanno cercando di salire tutti insieme. Mi sono innamorato di questo movimento, quando li ho conosciuti ho pensato subito fossero incredibili. Con Tony Boy faccio delle sessioni assurde, fuori da ogni radar. Con Yugi abbiamo fatto Quarto di bue in tre giorni, Artie è un fenomeno. E tutti hanno alle spalle un bagaglio culturale super rap. 

Infatti Noyz Narcos ha detto di Kid Yugi che è «un emergente che non sembra un emergente. Lui fa il rap alla nostra maniera, parla un linguaggio molto simile al nostro».
Assolutamente, e allo stesso tempo ha una componente molto emo-deep. Lui è molto ruvido ma poi ha anche una penna molto sensibile e toccante. E poi si vede che è uno che ha studiato, fa un citazionismo incredibile. Mi piace molto anche quell’attaccamento alla sua zona, che è una cosa molto hip hop. 

L’intervista completa a Night Skinny è sul nuovo numero di Billboard Italia, prenotabile qui.

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