Interviste

Nina Zilli: «Viva il girl power! (Quello di Nina Simone)» – Intervista

Abbiamo raggiunto Nina Zilli nel bel mezzo del suo Ti Amo Mi Uccidi Tour, la tournée che – dopo la sua partecipazione all’ultimo Sanremo con “Senza Appartenere” – la sta portando in giro per il nostro Paese

Autore Giovanni Ferrari
  • Il15 Luglio 2018
Nina Zilli: «Viva il girl power! (Quello di Nina Simone)» – Intervista

Nina Zilli - foto di Luca Brunetti

Un buon antidoto al terrore della monotonia? Farsi una bella chiacchierata con Nina Zilli. Cantante, musicista, conduttrice televisiva e radiofonica e pure disegnatrice. Insomma: Nina non vuole proprio saperne della noia, non vuole rinchiudersi in uno spazio asfissiante e troppo pieno di etichette. Lo si capisce mentre racconta come intende il suo lavoro di artista: versatile, sempre differente e soprattutto libero. L’abbiamo raggiunta nel bel mezzo del suo Ti Amo Mi Uccidi Tour, la tournée che – dopo la sua partecipazione all’ultimo Sanremo con Senza Appartenere – la sta portando in giro per il nostro Paese (ma non solo).

Nina Zilli - foto di Luca Brunetti
Nina Zilli (foto di Luca Brunetti)

Hai lavorato sul tuo ultimo disco Modern Art tra Milano e la Giamaica. Come mai questa scelta? Com’è andata?

L’ho scritto in Giamaica perché di solito – dato che canto quello che vivo – quando finisco un ciclo lavorativo (che può essere un tour, un disco, la registrazione di un programma e così via) ho bisogno di un po’ di vacanza per riprendermi. Prima di scrivere devo vivere. Già non è garantito che uno scriva cose belle, se poi non vive più non ha proprio niente da dire (ride, ndr). La Giamaica è sempre stata un rifugio musicale d’ispirazione per me, fin da piccola. Io arrivo da più di dieci anni di gavetta solo di reggae (anche perché la mia gavetta totale è stata di diciassette anni, che non è poco). Per questo motivo la musica in levare e la musica black sono i miei più grandi amori. Sono andata un po’ in Giamaica a svernare e, tra i canti degli uccellini e delle ranocchie caraibiche, ho scritto un po’ di canzoni.

E poi sei tornata a Milano.

Esatto. Sono tornata a Milano e ho messo i vestiti alle canzoni: ne ho scritto gli arrangiamenti. Questo è un disco travagliato. Ha fatto un paio di volte qua e là per l’oceano. Una volta finito tutto a Milano, l’ho mandato da Michele Canova a Los Angeles. Lo definisco un album urbano e tropicale. Il risultato è un disco molto moderno nei suoni (infatti il titolo significa proprio questo). Quest’estate è sempre più tropicale a livello di suoni e mi trovo bene con questo disco: a livello mondiale sembra che i tropici stiano conquistando tutto il mondo.

Mi sembra di aver capito che il tema principale del disco è l’amore universale. È così?

Sì. Si parla poco di amore di coppia e tanto di amore universale. Secondo me c’è bisogno di tornare a guardarsi negli occhi invece che fissare di continuo lo schermo di un telefonino. E, sia chiaro, questo è un “cazziatone” che faccio anche a me stessa. Siamo tutti un po’ dipendenti da queste appendici esterne del nostro corpo. E in un mondo che va così veloce (ma che ha ancora tanti problemi, come se fossimo nell’Ottocento) l’umanità – l’essere umano – deve avere ancora un valore. È la cultura dello spirito piuttosto che il capitalismo.

Nel tuo nuovo singolo Ti Amo Mi Uccidi continui a parlare d’amore, ma forse in maniera differente…

Questo forse è l’unico pezzo d’amore (che alla fine è di “non amore”). È una canzone super leggera, è un’onda tropicale. Se uno leggesse solo le parole, non penserebbe a una canzone molto divertente. Mi piace molto il contrasto che ci può essere tra musica e parole. Così come poteva essere per 50mila: il beat e l’andamento del pezzo sono molto allegri, ma se poi ascolti le parole non è proprio così. Nel nuovo singolo questo contrasto si vede anche nel video.

Come è stato girare quel videoclip? Sembra che tu ti sia divertita molto.

Rompere una macchina a mazzate fa bene allo spirito, lo consiglio a tutti (ride, ndr). Ovviamente quella macchina l’abbiamo comprata apposta per distruggerla, quindi magari non consiglio di andare in giro a dare mazzate alle macchine degli altri, ecco. A parte gli scherzi, questo è un video nel quale c’è una chiave molto ironica per poter parlare di un bastardo. Ma se ci pensi è bello quando uno metabolizza le cose brutte e sofferte e riesce a esorcizzarle in modo positivo, ridendoci sopra.

Nel brano che hai portato a Sanremo, Senza Appartenere, invece hai trattato il tema della violenza. Credi che sia utile parlarne?

Io da sempre sostengo il girl power. Quello vero. Per intenderci: quello di Nina Simone, non quello delle Spice Girls. Ci tengo molto a precisarlo. Il mio primo disco l’ho dedicato a tutte le femmine del mondo. A Sanremo ho portato Senza Appartenere proprio per il discorso che facevamo prima. Siamo tanto avanti ma in questa modernità ci sono cose che non vanno avanti: continuano a esserci le guerre, la gente povera è sempre più povera, la gente ricca è sempre più ricca. Continua a esserci uno squilibrio economico, i dati sul femminicidio sono spaventosi. Il mio è un disco in cui non si parla di sole, cuore e amore. Non perché l’amore non valga, ci mancherebbe. Anzi: l’amore è ciò che sposta tutte le cose del mondo. Ma scrivendo di quello che vedo, penso che le mie magagne d’amore siano diventate forse secondarie a tutte le brutture che abbiamo vissuto in questi anni.

Che cosa ti fa soffrire di questa situazione?

Ci sono tante cose che non vanno. Dagli attentati terroristici alla guerra in Siria, lasciando stare il caso Weinstein. Molti hanno pensato che questa mia canzone fosse in qualche modo collegata a questa cosa. Non è così. Il caso Weinstein è in qualche modo un riflesso della situazione generale. Io sono sinceramente più preoccupata per le donne “normali”. Per quelle che fanno le cameriere in un bar e che, per esempio, si vedono molestate dal datore di lavoro. Poi, ci mancherebbe, ben venga che anche chi fa altri lavori con più esposizione denunci queste cose, però c’è spesso dietro un giro d’interessi. Io fortunatamente non ho vissuto nulla di tutto questo sulla mia pelle. Sono stata veramente molto fortunata. Ho sempre incontrato delle persone serissime. A partire dal mio primo manager Franco Tuzio, che è stato un mito, e arrivando al mio attuale manager Fabrizio Giannini. Insomma: per quello che mi riguarda, sono sempre stata circondata da persone veramente professionali.

Nina Zilli - foto di Luca Brunetti
Nina Zilli (foto di Luca Brunetti)

La musica ha dimostrato tante volte che può fare qualcosa per queste tematiche. Ho in mente la tua partecipazione ad Amiche in Arena con Loredana Bertè.

Assolutamente sì. In quell’occasione abbiamo raccolto 150mila euro solo con il concerto. Ma se pensi a John Lennon e alla forza di una canzone come Imagine, capisci che la musica aveva un potere clamoroso. Ha sempre spostato le masse. La musica è stata potentissima nella storia. Un tempo si censuravano le canzoni e quindi ci si inventavano allegorie e storie finte che nascondevano il vero contenuto del brano. Pensa a Vecchio Frack di Modugno che è stata censurata.

E poi? Cosa è successo?

Oggi siamo più liberi e fondamentalmente potremmo dire tutto, ma invece rimaniamo in superficie. Un tempo si aveva meno libertà e quindi la si sognava di più. La si voleva veramente. Allora la superficie non piaceva per nulla. Si scavava per andare al fondo delle cose e quindi si lottava di più. Oggi siamo tutti più concentrati sul nostro orticello. La musica ha perso tantissimo potere che aveva.

Come sta andando il tour?

È iniziato a Istanbul con un super sold out che ci ha decisamente caricato. Non me l’aspettavo. Io ho fatto una vita intera a non aspettarmi affetto nemmeno dalle mie canzoni. Quando vado all’estero parto sempre un po’ preoccupata, torno con la mente ai miei primi live, e penso: «Oh mio Dio, che succede? Mi tireranno i pomodori? Si divertiranno?». E invece è andata benissimo. Il pubblico di Istanbul aspettava questo concerto da tanto tempo. Tutti avevano grandi aspettative e io avevo tantissima paura. Ma grazie a Dio, quando c’è paura e si riesce a metabolizzare, ci si fa coraggio e si va. Cantavano tutte le canzoni.

Sei stata ospite della data-evento di Fedez e J-Ax a San Siro. Come è andata?

Sono scesa dal palco e ho detto: «Ok, ho già fatto?». È stata una botta di adrenalina istantanea. Ho iniziato a cantare e avevo già finito. Non ti so dire bene come sia stato. È stata una cosa meravigliosa. Sembrava di essere in una galassia, completamente contornata da braccialetti e telefonini luminosi. Ora capisco davvero quanto possono gasarsi i giocatori del Milan o dell’Inter quando fanno goal in quello stadio!

Qual è il tuo rapporto con la TV? Pensi che sia un luogo dove riesci a esprimerti al cento per cento?

Sì, mi sento molto a mio agio. Dato che non devo cantare, mi sembra davvero di essere in gita. La prendo con molta allegria. Non essendo il mio lavoro, lo vivo come qualcosa di sereno, penso di non avere nulla da perdere. Se faccio o dico male una cosa, penso sempre: «Ma mica è il mio lavoro!» (ride, ndr). Finora è andata benissimo. Dal programma con Panariello a quello con Ranieri. Dagli Hip Hop Awards con MTV ai TRL Awards, arrivando fino a Italia’s Got Talent. In quest’ultimo programma mi sento ancora più rilassata perché sono seduta e mi sento come se fossi sul divano di casa. Come essere in gita con due compagni di classe cretini (Claudio Bisio e Frank Matano, ndr) con una prof (Luciana Littizzetto) che tentava di darci un tono. Vedo la TV come una grande scatola con i poteri magici: per me entrarci dentro è sempre divertente.

Nina Zilli - foto di Luca Brunetti
Nina Zilli (foto di Luca Brunetti)

Come vedi il cambiamento del panorama musicale in Italia? Che cosa ne pensi dell’ondata trap?

Posso dirlo? Evviva! Nel mio disco Modern Art c’è anche un pezzo trap, Il Punto in Cui Tornare. Non aspettarti Sfera Ebbasta: c’è una base trap ma anche un canto super soul. È uno dei miei pezzi preferiti di questo disco. L’ho voluto mettere anche perché avevo già fatto Forever Young per il film di Fausto Brizzi, riarrangiandola in versione trap. Era il 2015.

Hai anticipato i tempi!

Eh sì. È una storia d’amore molto lunga. Questa musica arriva da ciò che io personalmente amo di più. Non potevo non venire travolta da questo mix di trip hop e R&B. Quando è uscita la trap sono abbastanza impazzita, diciamo. Credo che Sfera e Ghali, ad esempio, siano super definiti dallo stile al modo di vestire, ma anche dal modo di scrivere. Entrambi hanno un linguaggio specifico. Credo che questo sia un passo avanti nella musica italiana. Questa cosa la può fare solo un vero artista: non può che piacermi tantissimo. È un passo avanti per la musica. Diciamocelo: il pop inteso esclusivamente come brano con la chitarra acustica ha un po’ “rotto le palme” (ride, ndr). Tutte le grandi rivoluzioni della musica non le hanno fatte i cinquantenni, ma i ventenni. Guarda la storia: dal punk al reggae, passando per il rock and roll. Chuck Berry aveva diciotto anni quando ha iniziato a fare il rock and roll.

Ho letto che disegni molto. È una passione che porti avanti ancora oggi?

Per ogni disco faccio un quaderno dei testi e mentre i musicisti fanno le prove io scrivo per ogni canzone il testo e ci abbino un disegno. Per questo ultimo disco l’ho fatto meglio. Così ho fatto direttamente la foto con il mio iPhone (a volte la tecnologia aiuta, vedi?), che è finita direttamente nel booklet. Il mio quadernino era tutto in bianco e nero, ma con la grafica gli ho inserito parti digitali a colori. Insomma: è venuta fuori una cosa molto stilosa. Sto facendo un libro di illustrazioni che uscirà il prossimo anno. Lo sto facendo per davvero. Anche in questo caso non sono nel mio mondo, ma mi piace rischiare.

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