Interviste

«Non sono pronto per arrendermi»: Matt Simons oltre “We Can Do Better”

Forte della sua hit “We Can Do Better”, Matt Simons arriverà fra poco in Italia: il 21 ottobre alla Santeria Toscana 31 di Milano e il 22 al Monk di Roma

Autore Federico Durante
  • Il16 Ottobre 2019
«Non sono pronto per arrendermi»: Matt Simons oltre “We Can Do Better”

Nel nostro paese è conosciuto soprattutto per la hit We Can Do Better e per il fatto di avere aperto il concerto di Ed Sheeran al Firenze Rocks («il pubblico più grande per il quale abbia mai suonato», racconta). Ma Matt Simons, proveniente direttamente dalla West Coast americana, è un cantautore a tutto tondo e un fine conoscitore della materia musicale. Lo dimostra il suo ultimo album After the Landslide (PIAS / Self), uscito a primavera, in cui dà prova di una scrittura pop in linea con le tendenze di oggi ma mai banale. In tour proprio in queste settimane, ha trovato il tempo per rispondere alle nostre domande anche in vista delle due tappe previste fra poco in Italia: il 21 ottobre alla Santeria Toscana 31 di Milano e il 22 al Monk di Roma.



In Italia hai recentemente aperto il concerto di Ed Sheeran al Firenze Rocks. Qual è stato il tuo approccio a un pubblico così grande? E cosa trovi d’ispirazione in Ed come songwriter e performer?

Il Firenze Rocks è stato un’esperienza davvero incredibile. Penso ci fosse qualcosa come 65mila persone, il pubblico più grande per il quale abbia mai suonato. Non avevo mai neanche fatto dal vivo We Can Do Better in Italia prima di allora e mi ha stupito come la gente ne conoscesse il testo. Una giornata di grande ispirazione. Per quanto riguarda Ed, ciò che ha costruito come potenza di “one-man singer/songwriter” è davvero impressionante. Il suo mix di stili e la sua abilità nella scrittura sono innegabili. È stato figo vederlo dirigere la folla da solo, hit dopo hit. Sono un suo fan.

Sei un polistrumentista ma hai cominciato con il sassofono: ci puoi dire qualcosa di più sulla tua formazione musicale? Pensi che una buona conoscenza della teoria musicale renda più facile il songwriting?

Per quanto mi riguarda, trovo senz’altro che l’educazione musicale che ho avuto al conservatorio mi aiuti nel songwriting. Il jazz è una forma musicale così complessa che, studiandolo, non ho solo guadagnato una conoscenza musicale più varia e ricca ma ho anche sviluppato un regime di esercizio e un’etica lavorativa che sono anche più importanti. Il fatto di farcela nell’industria musicale non succede da sé: ci vogliono un sacco di disciplina e duro lavoro. Penso che, resistendo per qualche anno con un intenso studio, io abbia molti più strumenti a disposizione nella mia cassetta per raggiungere l’obiettivo.

So che di solito cominci a scrivere le canzoni al pianoforte: perché proprio quello strumento accende la tua creatività?

Gli accordi e l’armonia semplicemente hanno senso per me su un pianoforte. Visivamente, hai tutto sotto gli occhi ed è più semplice vedere come gli accordi e le armonizzazioni si leghino insieme, un po’ come in un puzzle. Oltretutto mi è sempre parso di riuscire ad essere più emozionale scrivendo musica al piano.

After the Landslide contiene molte canzoni emozionali ma la più intensa è probabilmente Amy’s Song: ci racconti la storia di quel pezzo?

Certamente. È stato ispirato dall’esperienza della co-autrice Amy Kuney (Ames), cresciuta in una devota comunità religiosa senza ricevere l’affetto e l’accettazione che meritava per via del suo orientamento sessuale. All’epoca frequentava una donna mormona la cui famiglia l’avrebbe letteralmente ripudiata se avesse saputo della loro relazione. Nel 2019 è semplicemente assurdo che tutto ciò esista ancora in America (e in qualsiasi altro luogo), così abbiamo voluto scriverne, provando a raccontare quella storia. So che per Amy era davvero importante che i giovani sentissero questo brano perché è la canzone che lei stessa avrebbe voluto sentire quando era teenager e alle prese con il desiderio di essere se stessa e, al tempo stesso, con la perdita della comunità a cui aveva voluto bene e con cui era cresciuta.

Hai detto che l’album parla della crisi dei 25 anni. Se ti va di dircelo, com’è stata la tua? E come l’hai superata?

Sostanzialmente si trattò di un paio di anni nichilisti e negativi a New York. Non sapevo se volessi davvero continuare con la carriera musicale ma non avevo neanche idee alternative. Fortunatamente, sono riuscito a venirne fuori e ora mi sento molto meglio.

Vieni dalla West Coast degli Stati Uniti ma hai trovato il successo in Europa. Dal tuo punto di vista, ci sono differenze fra le abitudini di ascolto degli europei e quelle degli americani?

Non so se le abitudini di ascolto degli europei siano diverse da quelle degli americani ma ho proprio l’impressione che l’industria musicale in Europa sia più incline a valorizzare i nuovi artisti. Mi piace molto essere parte della scena in Europa e spero possa continuare nei prossimi anni.

Hai detto: “L’obiettivo è: in che modo puoi toccare la maggior parte di vite altrui con una sola canzone?”. Qual è la tua personale risposta alla domanda?

Beh, al momento la cosa più vicina a quell’obiettivo che abbia fatto è Catch & Release. Quella canzone dà l’impressione di avere una vita propria ed è stata capace di toccare il maggior numero di persone. La cosa bella della musica è che continuo a battermi e a cercare di fare qualcosa che risuoni ancora di più con la sensibilità altrui. Non sono ancora pronto per arrendermi.

Ascolta After the Landslide di Matt Simons in streaming

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