Resto, perché sono un cantautore: intervista a Niccolò Agliardi
Sono tanti i motivi per cui è conosciuto, ma Niccolò Agliardi è prima di tutto un cantautore. Per ribadirlo pubblica la sua antologia “Resto”, che contiene venticinque brani (di cui tre inediti)
Tanti lo conoscono perché ha scritto canzoni per artisti come Laura Pausini, Eros Ramazzotti ed Elisa. Altri per il suo ruolo di compositore dei brani della serie TV Braccialetti Rossi. Altri ancora l’hanno scoperto grazie al suo romanzo Ti Devo un Ritorno o al suo recente programma TV Dimmidite. Ma Niccolò Agliardi è prima di tutto un cantautore. Per ribadirlo (a se stesso e agli altri), pubblica la sua antologia Resto (Edizioni Curci / Artist First), che contiene venticinque brani (di cui tre inediti) e che è suddivisa in due parti: Ora e Ancora.
Com’è nato il progetto Resto?
Volevo farlo da tre anni. Io sono un cantautore. Mi piace molto mantenere questa sigla. È bellissimo fare radio, TV e libri, ma in questo momento della mia vita tutto dipende dal fatto che sono un cantautore. L’ho voluto per molti anni ed è stata la mia fortuna. È stato il motore propulsivo che mi ha permesso di fare anche tanto altro. Così ho cercato di prendere tutto ciò che non mi piaceva (a livello di arrangiamenti) della mia vecchia produzione e di nobilitarlo a quello che per me è il presente.
A proposito… Com’è questo tuo presente?
È un tempo meraviglioso. E lo dico con tutti gli scongiuri del mondo. È per questo che ho deciso di omaggiare questo spazio di tempo. Soprattutto nel primo disco, c’è il tema della mia famiglia presente, che è una famiglia molto colorata. Anche la mia famiglia primaria è così. Questo è un disco che parla del rimettersi in gioco con degli affetti.
E tu l’hai fatto?
Sì. Ho sempre avuto come famiglia gli amici. Oggi ho un figlio affidato: è una parte di famiglia importante che ha condizionato tutto. È tutto complicatissimo e bellissimo. È sempre successo che le mie canzoni più fortunate uscissero in concomitanza con dei momenti stropicciati. Così oggi mi sono preso il lusso di far uscire canzoni per nulla dettate da momenti di questo tipo. È un presente radioso, questo.
Però hai fatto qualche intervento sui testi di alcuni brani.
Sì, ho fatto piccoli cambiamenti di testi, ma poca roba. Sai cosa? Io non sono mai stato un grande cantante. Prima cercavo di scimmiottare qualcosa. Poi, abbassando di mezzo tono la struttura armonica e melodica delle canzoni, non mi sono più vergognato della mia voce e delle mie imprecisioni. Non ho una voce “alla Al Bano”: la mia è la voce di chi deve raccontare delle storie. Vorrei che con questo disco chi prima mi vedeva radical chic ora mi riscoprisse pop. E viceversa.
Perché Resto? Cosa si guadagna a restare?
Bisogna restare quando si hanno degli ottimi motivi. Per me l’ottimo motivo di rimanere qui è quello di poter continuare a raccontare storie. Resto è un testo che mi ha proposto il mio ufficio stampa Riccardo Vitanza: mi sono fidato. Lui non mi ha mai lasciato da solo. Questo disco è fatto di persone che non mi hanno mai lasciato da solo. Sono fierissimo di avere una famiglia stabile. Non sono per niente un gitano in questo senso: sono piuttosto monogamo.
In Resto ci sono tre inediti. Due di questi sono stati prodotti da Corrado Rustici. Com’è andata?
Corrado è stato uno dei primi nomi che abbiamo chiamato. Sono stato in America da lui. Corrado ha un modo di lavorare molto veloce e molto snello e quindi ne ho approfittato per fare un viaggio bellissimo insieme a due miei amici, dalla California del sud fino al Messico. Lui ha capito subito il bisogno di cambiare suoni. Così ho voluto inserire queste due canzoni che hanno suoni obiettivamente diversi rispetto a quelli del disco. La mia voce dopo un po’ mi annoia: avevo bisogno di fare in modo che si appoggiasse su un materasso comodo come questo disco. Cado su un divano sdrucito, ma perfetto per me.
Hai raccontato che il lavoro di rivoluzione e di restauro che hai fatto sui brani è lo stesso che stai facendo sulla tua vita. Cosa intendi?
Sono diventato padre da zero a cento. In Romagna si dice: «Poche pugnette!». Bisogna darsi da fare. E impegnarsi a non dare spiegazioni quando non serve darle. Per me significa svegliarsi la mattina con un caffè in più perché la giornata è tosta. Ma io avevo bisogno di diventare grande. Ne avevo bisogno per tante cose. Mi piace molto quello che vivo, però devo essere veloce perché mi piace dedicarmi a tante cose.
Parliamo della tua esperienza in TV con il tuo programma Dimmidite. Come è stato lavorare su questo progetto?
Molto divertente. Nella realizzazione dei brani spesso sono da solo. Nella realizzazione di un prodotto televisivo, invece, è impossibile. Ed è bellissimo anche perché ho imparato a chiedere aiuto. Sono felice di aver raccontato storie altrui, prendendo distanza dal mio ego: è una malattia a cui in questo momento mi sottraggo volentieri.
Continui a scrivere per alcuni artisti italiani. È cambiato il modo con cui vivi questo tuo essere autore per altri?
No, semplicemente ora mi do dei tempi. Prima facevo l’autore in maniera un po’ naïf. Quando avevo voglia. Oggi, invece, ho un’agenda. Io mai (mai!) scriverò una canzone “perché devo scriverla”: crollerebbero l’onore e il valore che io ancora riconosco alla canzone. Però non posso più alzarmi dal letto e aspettare l’ispirazione.
Hai sempre scritto di assenza e dolore. Come si è evoluta la tua visione su queste due tematiche?
Ho capito che a quarantaquattro anni si può essere interessanti anche senza dolore. Fino a poco tempo fa, questa cosa mi sembrava impossibile. È vero che il dolore fa scrivere cose belle ma, nell’economia di una vita, se si può evitare è anche meglio. Per quanto riguarda l’assenza, penso che sia una parte fondamentale – così come il dolore – per la comprensione di se stessi. Quando si è con tanta gente e quando non si sente l’assenza, si è occupati a vivere delle presenze. E va bene così. Però, come diceva De André, l’assenza ti insegna a farti compagnia. È nella solitudine che impari a farti compagnia.
In una tua canzone parli della paura «che nasce puttana e diventa coscienza». Questo è un periodo storico di grande paura. Come può avvenire il passaggio alla coscienza?
Studiando. Informandoci. Sapendo cosa è stato prima e cercando di capire come si fanno le cose avendo paura (che, poi, è un modo bellissimo per non averne più). Se si leggessero più libri, anche le navi che arrivano non farebbero così tanta paura.
Cosa c’è nel futuro di Niccolò Agliardi?
Vorrei fare il film del mio romanzo e realizzarne una bella colonna sonora. Il futuro è troppo avanti per me. Ma sai cosa? Mi piacerebbe pure fare il tennista.