Interviste

Rickie Lee Jones: «Lotto contro gli stereotipi e guardo al futuro con ottimismo»

In occasione dell’uscita di “Pieces of Treasures” abbiamo incontrato l’artista per farci raccontare i suoi tesori riportati alla luce

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il3 Maggio 2023
Rickie Lee Jones: «Lotto contro gli stereotipi e guardo al futuro con ottimismo»

Rickie Lee Jones, foto di Astor Morgan

È incredibile come, a 40 anni di distanza, le prime, memorabili performance di Rickie Lee Jones siano ancora attuali. La 24enne in baschetto rosso che canta Chuck E’s in Love al  Saturday Night Live, o l’interprete vibrante dei fogli d’album dell’EP Girl at Her Volcano, piccolo corollario alla prima stagione di popolarità della cantautrice americana. In mezzo c’erano stati l’album d’esordio omonimo, vincitore di Grammy. Una burrascosa relazione con Tom Waits. Il grande successo di vendite dell’album Pirates, come il precedente prodotto da Russ Titelman.

La poetica urban di quei dischi ritrae la Los Angeles degli anni ’80, alcolica, disincantata, fumosa e provocatoria, con l’incisività di un film di Curtis Hanson. Con il nuovo album, il quindicesimo di una lunga carriera all’insegna di coraggio e coerenza, ritorna da un lato l’immaginario degli esordi. Dall’altro la prosa dell’autobiografia senza censure Last Chance Texaco, ad oggi purtroppo inedita in Italia, trova un suo corrispettivo musicale.

I Pieces of Treasures sono canzoni del repertorio americano antecedente agli anni ’60, frammenti di tesori riportati alla luce, come dice il titolo. Ma sono anche i tasselli di una biografia artistica e umana, che in queste interpretazioni si mette a nudo con grande intensità.

Rickie Lee Jones - Pieces of Treasures - intervista - foto di Astor Morgan
Rickie Lee Jones (foto di Astor Morgan)

Ascolta Pieces of Treasures

L’intervista a Rickie Lee Jones

Rickie, la prima domanda riguarda il carattere narrativo delle interpretazioni. Ogni canzone sembra portata all’ascoltatore come se gli stessi confidando qualcosa. È davvero così?

Sì. Tutto è iniziato studiando September Song di Kurt Weil. Mi sono resa conto che in quel testo c’era qualcosa di così intenso e vero per me, che io stessa non avrei saputo trovare le parole per una sintesi altrettanto precisa. Con queste parole prese in prestito mi rivolgo a degli altri esseri umani e chiedo indirettamente loro di confrontarsi con la mia voce e con ciò che esprime.

Si può affermare che ci sia anche una componente sensuale nelle parti vocali?

L’ho colta anche io risentendomi, in particolare ad album concluso. Non è una cosa legato ai meccanismi della seduzione, ma a quelli dell’intimità con l’immagine mentale che avevo di ogni autore. Quest’ultima mi ha dato un piacere intenso che ho trasferito nelle esecuzioni.

C’è un nesso fra queste interpretazioni e quelle di Girl at Her Volcano?

Invecchiando cambia molto il rapporto che un interprete ha con il lato più drammatico di una canzone. Quando sei giovane ti immedesimi nel dolore e rimani lì a crogiolarti, mentre invecchiando senti di avere meno tempo per tutta questa autoindulgenza.

Però c’è molta crudezza nel tuo modo di affrontare la realtà. La tua autobiografia, che mi sembra propedeutica all’album, ha delle pagine molto dirette.

In entrambi i casi si è trattato di scavare nella memoria personale. Forse anche per questo non ho studiato canzoni che non conoscessi già. Per la maggior parte sono pezzi che hanno un immaginario impegnativo. Grazie ad essi ho potuto fare affiorare il dolore e la paura ed esorcizzarli. In questo disco non c’è tristezza. Ci sono la leggerezza, la libertà e l’amore di una persona matura che guarda avanti e pensa che il peggio sia passato.

In che misura ritieni che l’età possa ostacolare la carriera di un musicista?

Personalmente ho avuto la fortuna di mantenere una buona parte del pubblico che mi ha scoperta agli inizi e che è cresciuto con me, facendo anche da zoccolo duro per un ricambio generazionale, ma non è facile. Soprattutto se sei una donna. Siamo ancora soggette a discriminazioni che ci vogliono eternamente giovani e belle e poi siamo molto competitive fra di noi.

Come mai la copertina del disco ritrae uno scatto di te a inizio carriera?

È un’allusione esplicita al mio percorso. Dalla ragazza di allora alla donna di oggi.

Rickie Lee Jones - Pieces of Treasures - intervista - foto di Vivian Wang - 1
Rickie Lee Jones con il produttore Russ Titelman (foto di Vivian Wang)

Cosa ti ha portato a chiamare il produttore dei tuoi primi dischi, Russ Titelman?

Volevo affrontare brani dell’American Songbook tradizionale, niente che andasse oltre gli anni ’50 per intenderci e, tra quelle che conosco, la persona più adatta per il genere era lui. C’è una sintonia fra il mio e il suo modo di approcciare questo repertorio. Ed è un amico. Appena ci siamo rivisti ho capito di aver fatto la scelta giusta e che eravamo entrambi pronti a lavorare di nuovo insieme.

I tuoi inizi carriera sono molto legati a Los Angeles, attualmente vivi a New Orleans, ma il disco è stato registrato a New York. C’è un’influenza newyorchese nel disco?

Sì, è stata una vera e propria esperienza newyorchese, fatta con dei giovani musicisti che vivevano molto intensamente la città durante i giorni delle session. Tra l’altro è stato interessante giocare di contrasto con il ritmo di New York e approfondire la dinamica fra i tempi rapidi della città e quelli delle esecuzioni che invece dovevano essere larghe, così da lasciare spazio al racconto vocale.

Ti accompagna un ensemble di musicisti jazz. Avete inciso tutto dal vivo in simultanea o le parti vocali appartengono a momenti separati delle session?

È stato fatto tutto live e in presa diretta. Le registrazioni sono state veloci, ma per la preparazione e lo studio degli arrangiamenti ci siamo presi il tempo necessario.

Stai programmando un tour?

Faremo soprattutto festival di jazz.

Speriamo di vederti anche in Italia.

Me lo auguro anch’io, dipende dai promoter.

Questo è il tuo quindicesimo album. Qual è l’aspetto della tua carriera al quale sei più legata?

Al fatto che, come donna, ho avuto a che fare con tanti stereotipi e stigmi, ma sono ancora qui e a 68 anni posso fare la musica che amo, guardare al futuro con ottimismo e, spero, anche dare un messaggio positivo alle ragazze, ma anche ai ragazzi, che stanno adesso lottando per il proprio.

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PAOLOOO