St Germain: «Ho voglia di tornare al blues e al jazz per ripartire»
La sua micidiale miscela di house music con il tocco francese e le citazioni jazz blues lo rese popolarissimo nel 2000 con l’album Tourist, che oggi lui celebra con Tourist 20th Anniversary Travel Versions
È nel segno della globalità che Ludovic Navarre, ovvero St Germain, ha deciso di festeggiare i vent’anni del suo capolavoro Tourist, chiamando a raccolta, per remixare le storiche tracce, storici DJ provenienti da diverse parti del Pianeta, dall’Africa all’Isola della Riunione, come: AtJazz, Nightmares On Wax, JoVonn, Ron Trent, Black Motion, Osunlade. Il risultato, godibilissimo.
St Germain arrivò all’originale Tourist grazie a un crescendo di mirabili EP incisi per la F Communication, che sapevano inquadrare nelle rigide cornici della techno e della house alcune stupende sfumature di blues, jazz e dub. Le tracce poi furono riunite nel 1999 nell’album Ludovic Navarre AKA St Germain. From Detroit to St Germain. Passato alla storica Blue Note, il nostro ripagò subito tanta fiducia con il campionamento di una grande di quella scuderia, Marlena Shaw in Rose Rouge, gustoso anticipo di Tourist, che poi vendette 4 milioni di copie.
Abbiamo deciso di parlare con lui partendo proprio da quel periodo magico nella Ville Lumière alla fine degli anni ’90.
Comincerei con una domanda generale: tornando a quel magico periodo musicale che ha avuto Parigi alla fine del secolo scorso, quali sono i tuoi ricordi?
Trovai in quel grande periodo, attorno a me, tanta creatività ed energia. Direi anche un’incredibile voglia di “felicità”. Ci si poteva divertire grazie alla techno, la house, ma anche con il rap o il trip hop. E in particolare la scena house in Francia era abbastanza underground, con pochi club a Parigi che suonavano questa musica. Il Rex Club era davvero favoloso… seguivo il mio amico DJ Deep per ascoltare i suoi DJ set, fino alla chiusura!
E secondo te quali sono state le ragioni per cui etichette come la “tua” F Com e artisti come Dimitri From Paris, Air e Daft Punk sono stati in grado di creare musica apprezzata in tutto il pianeta? Ragioni socio-culturali, immagino, oltre al talento.
Direi che molto semplicemente scoprimmo un nuovo stile di musica da club proveniente da Detroit e Chicago e ne fummo musicalmente ispirati. Ognuno riuscì a trovare il proprio stile. Io volevo integrare però il blues e il jazz nel mio lavoro e avevo il desiderio di coinvolgere dei musicisti, non solo usare delle macchine. Anche se queste ci rendevano molto produttivi, potevamo lavorare in home studio con i computer e in completa libertà artistica, non avere sulla testa la spada di Damocle dei budget per le produzioni. Ti racconto una curiosità. Lo slogan usato dalla F com “We give a French touch to house” aveva colpito una bella parte dei giornalisti inglesi che apprezzarono questo “stile francese” al momento del mio primo album, Boulevard, e ci appiccicarono subito quella celeberrima definizione, “French touch”.
Per Tourist tutte le tracce furono scritte, prodotte e mixate da te. Che ricordi hai di quell’intenso lavoro? Avevi tutto chiaro nella tua testa, o anche dei dubbi durante la fase di produzione?
La prima difficoltà fu quella di fare una selezione coerente di brani per l’album. Ma in generale uso sempre lo stesso approccio lavorativo e so cosa voglio quando i musicisti arrivano uno ad uno in studio. Anche se questo mi impedisce di fare ricerche ulteriori per cercare miglioramenti, nuove idee. Però mai ho dei dubbi! E poi era talmente entusiasta la reazione dei musicisti e anche degli amici intimi: mi confortò nel mio lavoro.
E ti aspettavi quel meraviglioso successo che ha avuto?
Sinceramente è una domanda abbastanza difficile… Avevo già avuto un’esperienza con il mio primo album Boulevard nel 1995, vendette abbastanza bene in tutto il mondo nonostante la F Com fosse a tutti gli effetti una piccola etichetta. Ma non mi aspettavo tanto per Tourist ma alla fine, sai, ebbi la possibilità di incontrare le persone giuste al momento giusto. Penso al capo di EMI, incidendo di conseguenza per la Blue Note, e poi al mio agente Alias, che riuscì a fissare più di 300 date che contribuirono notevolmente al successo di Tourist. Penso che gli strumenti acustici nelle mie produzioni portarono qualcosa di nuovo nel contesto e quello fu il periodo perfetto per fare quel tipo di scelta.
A proposito, grazie al tour hai viaggiato in tutto il mondo. Puoi raccontarci un episodio divertente e inaspettato di quei giorni?
Divertente, il mio primo disco d’oro, che ritirai in Belgio e che dimenticai su una panchina di fronte a un hotel! Incredibilmente la mia casa discografica lo ritrovò e me lo spedì per posta… ci penso ancora su, ogni tanto! Inaspettato, gli show in Nuova Zelanda. E pensare che Tourist all’epoca era già diventato sette volte disco d’oro.
Con l’edizione che celebra l’anniversario di Tourist viaggi di nuovo intorno al Pianeta. Hai avuto nuove idee per progetti futuri mentre facevi questo album?
Per questa edizione dell’anniversario, ho selezionato amici produttori/remixer come Ron Trent, Nightmares On Wax, Jovonn, Terry Laird… chiedendo a ognuno di scegliere la propria canzone preferita e di rielaborarla lasciando liberare la propria creatività, senza mie indicazioni. Io ho fatto una nuova versione di So Flute, ispirandomi allo stile Amapiano (uno stile di musica house emerso in Sud Africa nel 2012, ndr). Ma riascoltare l’album originale per le Tourist Travel Versions mi ha fatto apprezzare quella prima produzione e penso di tornare in questo amalgama musicale con blues, jazz, soul, latin… Sto solo iniziando!
Direi che quell’amalgama potrebbe ancora funzionare. In fin dei conti il blues o il soul non finiranno mai di piacere!
Sai, il blues e il jazz sono le mie musiche preferite da molto tempo. Apprezzo Lightin’ Hopkins, John Lee Hooker… Volevo incorporare questi suoni e voci unici sin dai miei esordi e poi penso che la musica africana sia la “madre” del blues. Ho sperimentato qualcosa con strumenti e voci dal Mali con musica elettronica con il mio album nel 2015. Ma alla fine rimango attratto da quella scuola di artisti afroamericani, avendo una vasta conoscenza di soul, funk, jazz, blues… Consapevole che avrei ancora molte cose da scoprire!
Però il tuo ultimo album risale al 2015. Come vedi la scena della musica elettronica attuale? Ti stimola in qualche modo?
Ad esser sincero, il mio ultimo coup de foudre musicale è stato con la house stile Amapiano di cui ti parlavo prima. Sinceramente non seguo la scena della musica elettronica, tranne le produzioni di amici come Ron Trent e AtJazz per esempio. In fin dei conti non vado più in discoteca, son troppo vecchio! (Ride, ndr)
Ma anche se tu non vai più in un club condividerai il fatto che l’attuale situazione pandemica abbia frenato la creatività di DJ/produttori che hanno bisogno di “testare” le loro tracce in un club per sentirne l’efficacia?
Storicamente, sin dai tempi della scena house di Chicago, i DJ finivano di produrre una traccia e già la sera stessa la “testavano” nei club…. Oggi puoi provare una canzone su piattaforme, ottenere feedback del pubblico con commenti, ma niente è meglio della prova “su pista”, nei club. Oggi i DJ sono molto scontenti di non poter esprimersi, di non condividere la loro musica e di non rendere felici le persone!