Hip Hop

2Rari: «In Italia confondiamo l’essere real con l’essere dei G»

I due gemelli di casa Thaurus ci raccontano il loro EP di debutto, dalla provincia fatta di routine all’amore per la musica

Autore Benedetta Minoliti
  • Il24 Giugno 2022
2Rari: «In Italia confondiamo l’essere real con l’essere dei G»

2Rari, foto ufficio stampa

«Se ami una cosa nella vita gli dedichi tutto». Questo è uno dei concetti rimarcati più volte dai 2Rari, nome d’arte di Lorenzo e Tommaso Ferrari, che oggi pubblicano il loro EP di debutto, 2 or Die.

Gemelli identici, giovani promesse di Thaurus, hanno dato alla luce un progetto, prodotto da Night Skinny, dove la provincia, ignorante e ripetitiva, e l’amore per la musica la fanno da protagoniste. Oltre i featuring, da Ernia a Ketama126, fino a Rasty Kilo e Anice, il disco vuole raccontare uno spaccato di vita, nitido e che guarda al futuro.

Ecco cosa ci hanno raccontato i 2Rari durante la nostra intervista, dall’EP alla soglia dell’attenzione “sempre più bassa”, fino a chi confonde “l’essere reali con l’essere dei G”.

L’intervista ai 2Rari

Com’è lavorare insieme? Il fare musica in due è nato in maniera naturale?

Visto da fuori può sembrare strano, ma anche prima di fare rap suonavamo insieme, batteria e basso. È sempre stato naturale condividere la musica, come qualsiasi altra cosa nella nostra vita. Abbiamo praticamente fatto quasi tutto insieme, normale ma non scontato, perché conosciamo tanti gemelli che invece non fanno molto in coppia.

Voi due lavorate anche in fabbrica. Anche qui, siete insieme?

All’inizio sì, poi abbiamo deciso di dividerci, è strano, ma ti devo dire che l’unico luogo in cui ci hanno sempre diviso è la scuola. C’è forse un po’ l’idea che i gemelli siano più difficili da gestire.

Dalla fabbrica alla provincia, una delle grandi protagonista di 2 or Die. Com’è l’approccio effettivo con un mondo più chiuso, rispetto a quello di una grande città?

In provincia, soprattutto quando fai qualcosa di grosso, la gente pensa che hai già sfondato. È un modo di vedere le cose ignorante, quello di credere che se riesci a fare determinate cose sei già a posto per la vita, no? Quando una persona di provincia esce dalla vita ordinaria e fatta di routine, le persone hanno una percezione completamente distorta, e impazziscono. Non è che in provincia non nascano talenti, ma c’è tanta chiusura e quindi difficilmente si aprono delle porte.

Ecco, come avete detto la routine non aiuta.

Esatto, è come essere in una città dentro le mura: appena qualcuno riesce ad uscire, la gente va fuori di testa, dando per scontato tante cose. Questa situazione la viviamo con un po’ di sofferenza, perché gli artisti vivono sempre male la superficialità.

È centralissimo il tema della provincia in Un fratello. Nel track by track avete scritto: “Bisogna rappare di quello che si conosce”.

In Italia confondiamo l’essere real con l’essere dei G. Vediamo tanti ragazzini dire “lui è real” di qualcuno che canta di droga e di prigione, usando questo termine in modo sbagliato. Noi abbiamo sempre avuto a cuore il tema dell’essere veri. Uno può fare rap anche se è pieno di soldi, però non può dirmi che a casa non ha da mangiare.

Invece mi ha colpito Da bambini, un brano molto personale che è arrivato in un periodo dove non eravate molto ispirati.

È tra i primi brani che abbiamo realizzato per l’EP. Eravamo stati in vacanza in Puglia, avevamo avuto un lutto durante la pandemia. Sai benissimo che non c’era la possibilità di salutare i propri cari per l’ultima volta, quindi il non poter vedere la persona a cui tenevamo per l’ultima volta è stato pesante. La vacanza ci ha aiutato a risanarci dall’umore di quel periodo. Il dolore va metabolizzato, e Da bambini ci ha proprio aiutato a metabolizzare quello che ci è successo.

Tutto il progetto è prodotto da Night Skinny, che avete conosciuto grazie a Red Bull. Cosa vi ha colpito maggiormente di lui?

Siamo rimasti meravigliati, passami il termine, dalla professionalità che porta in studio. Ha una cultura rap incredibile ed è sempre molto focus su quello che fa. La consapevolezza su di lui l’avevamo già, ma c’è stato un upgrade lavorandoci insieme, senza di lui questo EP non ci sarebbe. Abbiamo apprezzato tanto anche come ci ha diretti a livello di scrittura, aiutandoci a semplificarla e tirandoci fuori delle cose che non sapevamo di avere. Ci ha detto una cosa importante: la soglia dell’attenzione dei ragazzi che ascoltano rap non è altissima.

Vi faccio una provocazione: una scarsa soglia dell’attenzione può essere legata alla saturazione del mercato musicale?

Sì, assolutamente. Il problema nel nostro Paese è proprio questo, ne parlavamo anche con Ciro (Buccolieri, uno dei tre fondatori di Thaurus, ndr.): negli anni 2000 c’era la moda di andare a Uomini & Donne o fare i calciatori, mentre adesso tutti vogliono fare musica. È difficile farcela adesso, perché i nuovi artisti spuntano come funghi. Soprattutto, non puoi voler fare questo lavoro perché vuoi i soldi e le collane. Riuscirà ad emergere solo chi lo fa perché non ha altro e fa della musica la sua unica fede.

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