Hip Hop

La cameretta alla base della “CHIMICA” dei DARRN

Abbiamo incontrato i Darrn, trio di produttori romani, che mischia cantautorato pop, hip hop ed elettronica. Come una formula perfetta

Autore Benedetta Minoliti
  • Il10 Dicembre 2019
La cameretta alla base della “CHIMICA” dei DARRN

Roberto Graziano Moro

«So I started a revolution from my bed» cantano gli Oasis in Don’t Look Back in Anger. E così hanno fatto anche i DARRN: far partire la loro rivoluzione da un letto, o meglio, da una camera da letto allestita a studio di registrazione. Così è nato CHIMICA, il loro primo EP uscito venerdì 6 dicembre.

Ovviamente l’intento non è quello di paragonare gli Oasis ai DARRN ma di comprendere il ruolo della famosa “cameretta”. Qui i tre ragazzi (i produttori Cristian e Dennis e Dario, voce del progetto), poco più che ventenni, si ritrovano non solo alle prese con la vita di tutti i giorni, ma anche e soprattutto con la loro musica. Nella camera-studio passano le notti e i momenti liberi.

Se lo sarebbero aspettati che caricando qualche traccia online sarebbero stati notati? No, ma è quello che è successo. Una sorta di telefono senza fili li porta a Venerus e poi a Frenetik. Quest’ultimo li propone ad Asian Fake perché vengano inseriti nel roster. A questa storia si aggiunge poi un altro importante tassello: Gemitaiz che ha collaborato al loro singolo RANDOM.

Dopo aver pubblicato ABRA, brano in collaborazione con Venerus, i DARRN hanno pubblicato venerdì 6 dicembre il loro EP CHIMICA.

Noi di Billboard Italia li abbiamo intervistati e ci siamo fatti raccontare qualcosa di più sul loro nuovo EP e sulle loro collaborazioni.

Il vostro EP, CHIMICA, è uscito venerdì 6 dicembre. Quattro tracce che comunicano tra loro e che hanno come file rouge i rapporti, sia quello con sé stessi che quelli con gli altri. Ma cosa significa per voi “chimica”?

«È una chimica e io non la comprendo» è la frase con cui si apre TOBIKO ed è dal concetto di flussi ormonali come base dei rapporti umani che parte la nostra visione dell’EP. Le tracce parlano tutte di una chimica relazionale che non sempre è bilanciata, anzi molto spesso è incongruente. Per CHIMICA intendiamo qualcosa che può congiungere – ed è fisicamente creata dal rilascio di serotonina e dopamina – ma può anche dividere, quando queste sostanze mancano. CHIMICA è la difficoltà nel trovare un equilibrio perfetto tra due persone, un bilanciamento tra razionale e irrazionale. La chimica a cui facciamo riferimento è l’essenza delle nostre personalità, che si scontrano continuamente e possono creare nuova materia o scegliere se vagare da sole in cerca di una soluzione alternativa.

Il singolo che ha anticipato l’EP è ABRA con Venerus. Com’è nata la vostra collaborazione?

Con Ven ci sentiamo da quando è uscita YODEL, lo abbiamo conosciuto così. È lui che ci ha spinto a Frenetik ed Asian Fake. Noi abbiamo ascoltato i suoi pezzi e siamo impazziti, non pensavamo che in Italia ci fosse qualcuno che facesse musica in quel modo, proprio come piaceva a noi. C’era da un po’ l’idea di fare qualcosa insieme, ma per questioni di tempo e di lontananza non siamo mai riusciti a beccarci. Nessuno di noi poi è abituato a lavorare a distanza, ma con Ven era diverso, c’era già un legame artistico. Mentre stava in tour gli abbiamo inviato un po’ di musica su cui stavamo lavorando e lui ha scelto di scrivere proprio su quella che pensavamo legasse al meglio il nostro mondo con il suo. Quando ci è arrivata la strofa abbiamo capito che ABRA era pronta.

In CHIMICA è presente un altro featuring, RANDOM con Gemitaiz. La vostra collaborazione con lui merita di essere raccontata da voi…

Con Davide ci siamo beccati la prima volta nel backstage del MI AMI festival ed è stata veramente la prima esperienza con un artista di questo calibro. Ci ha trattato davvero come amici, è una persona che ti mette completamente a tuo agio. Un mese dopo è venuto nella stanza in cui facciamo musica, senza alcuna paranoia, anzi facendoci capire quanto non gli interessassero i mezzi o lo studio mega costoso, ma solo la naturalezza della fase di composizione e del processo creativo. Poi ha sempre le idee chiarissime su cosa vuole musicalmente e come ottenerlo. È stata una ficata lavorare insieme.



Siete tutti romani. Quali ispirazioni vi ha dato la Capitale? Pensate che vivere a Roma abbia avuto un ruolo chiave per il vostro processo creativo?

Assolutamente. Roma è una città in cui se fai un lavoro creativo devi veramente crederci con tutto te stesso e allo stesso tempo la sua sedentarietà ti può trascinare con sé. Tutte queste dinamiche però ci hanno spinto a dare il massimo nelle fasi di composizione. È come se il non voler accettare la condizione caotica e insieme statica della città ci aiutasse a liberare il nostro ego artistico. Roma crea in noi la voglia di cambiamento, o comunque ci obbliga a trovare una soluzione da soli.

STANZA A SINISTRA chiude il vostro EP. L’ho percepito come un brano nel quale “tirate le somme”: dopo aver parlato di relazioni, chimica, arrivate ad una conclusione. Insomma, chiudete un cerchio. Mi raccontate qualcosa di questa canzone?

STANZA A SINISTRA per noi rappresenta il cuore, ma è comunque una dimensione che ognuno può intendere come vuole. Può essere un luogo reale o mentale in cui si custodisce un ricordo e si torna ogni tanto a visitare per poter rivivere il passato o capire il presente. Il ricordo si attiva nella testa ogni volta che visualizziamo il filo che ci connette a qualcuno, che serve a condividere la nostra memoria. Poi ognuno di noi tre gli ha dato un significato diverso. Uno ad esempio lo ha inteso come un brano dedicato ad una persona che non c’è più, con cui si cerca ancora di avere un legame in qualche modo.

Siete poco più che ventenni. Potreste essere tre ragazzi “normali”, solo che in camera invece di avere libri e poster avete uno studio di registrazione. Come vi siete avvicinati al mondo della musica?

Qualche libro e poster lo abbiamo dai (ridono, ndr). Ognuno di noi ha avuto un percorso più o meno lungo in scuole di musica, ma è una cosa che non ci ha mai fatto sentire soddisfatti. Ci siamo sempre sentiti limitati a dover suonare con certi standard imposti e non ci hanno mai fornito un approccio compositivo che fosse personale. E tutto questo prima ancora di conoscerci. Quindi ci siamo incontrati proprio nella voglia comune di trovare nuove forme di relazione con la musica, che fossero più intime e che potessimo fare nostre. Le possibilità che si hanno oggi con un computer e un controller midi poi sono assurde, e se c’è un consiglio che possiamo dare è questo: non sentitevi mai ostacolati dai costi di synth analogici e strumenti.


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Cantautorato, elettronica, pop d’avanguardia. Dite che volete tralasciare le definizioni di genere. Perché? Pensate che “incasellarvi” all’interno di un genere ben definito possa limitarvi?

Sì, è una cosa che non riusciamo a fare nemmeno sugli artisti che ci piacciono, forse perché ad ogni album cambiano completamente. Sentendo CHIMICA inoltre non riusciamo a cogliere un filo conduttore sonoro, più che altro è emotivo. Ci piace racchiudere tutto sotto l’etichetta di musica contemporanea.

Al di là del lavoro sui suoni e i testi, c’è un grande lavoro anche dal punto di vista estetico. Con chi avete lavorato per realizzare la cover dell’EP?

Come per MUSICA DA CAMERA, ci siamo affidati a Giacomo Carmagnola, che per l’artwork di CHIMICA ha ripreso la sua glitch art, come anche per ABRA. Di design e typing invece si è occupato Michele Nannini, un amico del ’98 nonché graphic designer, new entry in Asian Fake.

Avete già pensato ad una dimensione live di CHIMICA?

Per ora abbiamo aperto i live di Venerus ai Magazzini Generali (grazie ancora Vinny) e a Torino all’Hiroshima, portando i nuovi pezzi per vedere la reazione del pubblico. Ora stiamo pensando a come rendere al meglio lo show di CHIMICA e a mescolarlo con le vecchie tracce. Vogliamo rendere tutto il più intimo possibile.

Ascolta qui CHIMICA dei DARRN

 


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