Ernia, ascendente Emme I: «Nel game vinci con la cultura, non la collana»
Abbiamo intervistato Ernia per l’uscita di Gemelli (ascendente Milano), riedizione di uno dei migliori dischi partoriti dal rap game nel 2020
L’attività di artisti come Ernia è manna dal cielo per chiunque abbia dovuto incassare negli ultimi anni una cocente delusione d’amore da un rap che non riconosce più. Dopo aver raggiunto una solidità lirica inscalfibile, l’artista di QT8 è riuscito anche nel non facile “grande salto”. Gemelli e il singolo Superclassico lo hanno di fatto consacrato a livello mediatico, strappandolo dalla categoria dei maestri di mezza classifica con la bacheca vuota e catapultandolo tra chi apre cicli vincenti, decidendo le regole del gioco.
Un bellissimo gioco, considerata la pregnanza del rimario, minimamente diluitosi con il passare degli stream. Qualità e quantità. Una storia perfetta. O quasi. Come lo stesso Ernia ci ha raccontato durante l’intervista realizzata per la release della repack. Gemelli (ascendente Milano) è soltanto l’ultimo capitolo di un’ascesa a due facce, legata col sangue al doppio H milanese.
A dicembre Nerone mi disse che i rapper di Milano della vostra generazione (e quelle precedenti) non ce la faranno mai a non dire niente nei pezzi. «Un’impostazione che ricevi fin da ragazzino». Vale anche per i nuovi emergenti?
Questo non so dirtelo, sono tempi diversi. Noi vivevamo i nostri maestri come qualcosa di irraggiungibile. Pensa che ascoltavo di brutto i Club Dogo, e per anni non ho saputo che faccia avessero alcuni di loro. Non c’erano i social, ed ero troppo piccolo per poter andare ai concerti. Questa cosa probabilmente ha creato nella nostra testa un mito incredibile, perché non erano vicini. Quelli con 8, 10 anni meno di noi che si stanno facendo largo adesso non hanno vissuto noi allo stesso modo, perché ci guardano tutti i giorni su Instagram. Diventiamo dei loro amici. Alcuni fan ti parlano come se ti conoscessero. Noi avevamo una riverenza diversa per i Dogo, Bassi Maestro…Ma ancora adesso. Un paio di settimane fa ho beccato Bassi per caso in ufficio e ci siamo messi a chiacchierare… mai mi permetterei di contraddirlo! (ride, ndr).
Una bella differenza…
Noi andavamo a caccia di vinili usati di qualche artista americano che non eravamo neanche certi fosse bravo o cool. Oggi arrivano tutti già mirati su quello che devono fare e dire, sul format vincente. Questo in realtà li rende tutti uguali. Hanno anche altri in-put, guardano il rapper USA e la moda del momento. Se li vedi sono tutti vestiti uguali, stesse reference, stesse musicalità…
Possibile che per il rapporto tra questi ragazzi e il rap valga lo stesso discorso di quelli che imparano «ad amare dai porno», come scrivi ne La Prima Volta?
Certo, loro imparano a fare qualsiasi cosa attraverso i social. Un paragone che crea una difficoltà con se stessi, perché è con un mondo ultra-vincente. Il ragazzino vuole tenere il passo. Se non sei ultra-vincente, perdi. Ne vedo alcuni che per sembrarlo sperperano contratti da due spicci per la collana. Ma con quella non ci mangi, né ci paghi la macchina o l’affitto.
Troviamo un feat pesante come Sfera Ebbasta in una repack. Una scelta sintomo di sicurezza, ma hai avuto vita facile nel portarla avanti?
In realtà l’intento era proprio la repack. Sfera è un hitmaker, quindi ci sono andato molto più sicuro e sereno. Venivo da Gemelli, e avevo già dimostrato da solo che i miei singoli potevano funzionare. Il disco si è sostenuto indipendentemente dai featuring. Che sono stati quello a cui servono: un vero arricchimento.
L’estate 2020 di Ernia
Giugno 2020. Il Covid mette in stallo le più grosse pubblicazioni. Ma nel giro di pochi giorni escono Gemelli e Mr Fini, ed è un successo più forte dell’incertezza. Non pensi che sia stata anche la forza dei vostri progetti a spingere molti a posticipare la release?
È stato sicuramente un momento favorevole, il coraggio ci ha ripagato. Non te lo nascondo, io ero cagato addosso. Siamo stati dei kamikaze. Ma il fatto che non uscisse nessuno, e che tutti si fossero tirati indietro anche comprensibilmente, ci ha proprio aperto la via. Ricordo tutta l’estate, eravamo io e lui a contenderci la classifica.
La massive hit di Gemelli, Superclassico, è durata tantissimo.
Superclassico è riuscita a reggere l’estate, era quello il difficile. Sapevo sarebbe andato bene. Non pensavo così bene, dato che non avevo un precedente forte in radio o che potesse colpire il pubblico nazionalpopolare. Il vero gol è stato sorpassare l’estate e reggere dopo, il pezzo è stato fino a settimana scorsa in top 50 Spotify.
Tra citazionismo e cambiamento culturale
In Dissing riprendi In Faccia di Marracash. Come si è evoluto il tuo rapporto con il citazionismo? Una pratica in via d’estinzione…
Per quanto ci si riempia la bocca di rap, hip hop e robe varie, in realtà sia l’ascoltatore che l’artista giovane sono assolutamente pop. Cercano la cosa facile, immediata. Il gioco delle citazioni invece, anche per durare a lungo, è importante. Alla fine non ti ripeti mai. Se io in 3/4 dischi imposto tutti i pezzi ego-trip in stile “io ho fatto i soldi / prima ero povero”, dopo un po’ rompo i coglioni. Puoi dirlo in centinaia di altre maniere usando le citazioni, i riferimenti e le metafore. Perché i Marra, i Guè, i Fibra sono ancora qua a occupare la scena come coccodrilli nello stagno? Perché continuano a tirar fuori cose prese in giro, situazioni storiche e geopolitiche, film, libri… c’è di tutto dentro. A parer mio serve anche una certa cultura per fare questo gioco e rimanere.
In Scegliere bene scrivi: «Vorrei fermare gli amici ammogliati e chiedere: “Che hai in mente? Sei tu che vivi a metà o io per niente?”». È interessante che simili barre arrivino in una fase di grande evoluzione, da cui istituzioni come il matrimonio e concetti come la monogamia potrebbero non uscire indenni.
Noi viviamo in un’epoca fortemente individualista. Siamo tutti molto interessati ai diritti umani e all’uguaglianza, ma per me a conti fatti ognuno pensa a sé più che mai. Siamo proprio nell’era dell’ego più assoluto. Poi sai, matrimonio, monogamia… è un cambiamento culturale che deriva anche da un cambiamento economico. I ragazzi non hanno più la stessa sicurezza di un tempo, o iniziano a porsi obiettivi molto più grandi. Ci si potrebbe collegare al gioco dei social di prima. Tu punti ad una vita eccezionale, e l’essere monogamo potrebbe rallentarti in quella corsa folle. Così come vivere per allevare uno o più figli. Ci sono una serie di cose che si incrociano. È cambiato il nostro modo di vivere la vita, e viviamo per noi stessi più che mai. C’è poco da parlare di charity, tutti uniti e tutti uguali… non siamo mai stati così egoisti.
Che risposta ti sei dato alla domanda in quella barra?
Si perde in entrambi i casi. Senza generalizzare, per me si vuole sempre tutto quello che non si ha. Quando vado in giro a fare il figo con le tipe, alla fine torno a casa e sono solo. Quando poi hai la tipa da un po’ pensi “bella vita che facevo”. È un cane che si morde la coda. Alla fine hai sempre perso. In realtà in questa barra c’è un po’ più di vincita per chi è ammogliato, che “vive a metà”, io per niente. Diciamo che la faccio mezza vincere a loro.
Una costante dell’ultimo Ernia è l’idea di “doppio”. Dall’uscita di Gemelli ad oggi, c’è stato un evento che ha arricchito il dialogo con questo tema?
Il salto che c’è stato per la mia carriera dopo Gemelli ha i suoi pro e contro, anche perché è arrivato con questa situazione. Capivo che le cose stavano andando benissimo, ma non ho potuto vivere in pieno quello che ho sognato per anni. Anche nel rapporto con i fan… dopo il disco tutti positivi, ma tra quelli più stretti c’è magari dice “Ah, però l’hai fatto per vendere”. Il fan è geloso. Viene anche messa in discussione la tua moralità. Ma io lavoro ai miei album come ho sempre fatto. Vi sconvolgerà sapere che vendo dischi nella vita (ride, ndr), ma è il mio lavoro. Che le cose vadano bene è un po’ l’obiettivo. C’è sempre un’altra faccia della medaglia.
Ascolta Gemelli (ascendente Milano) di Ernia