Luchè in alto “Dove volano le aquile” non risparmia nessuno. Senza perdere la tenerezza
Una certa diffidenza ha accompagnato la figura del rapper in questi ultimi anni ma questa si è trasformata nella benzina della carriera del rapper napoletano, la stessa che infiamma il nuovo progetto che esce oggi. Lui parla a cuore aperto ma senza dimenticare mai il lato estremamente umano. Lo abbiamo intervistato partendo dalle sue stesse rime
La musica ha la capacità incredibile di risvegliare nella nostra mente ricordi del passato che pensavamo di aver rimosso. Ogni brano, ogni accordo, ogni parola può fare breccia nella quotidianità e riportarci indietro ad un punto esatto della nostra storia. Come fossero la madeleine di Proust, i brani di Luchè risvegliano in me sensazioni passate. Il rapper napoletano è la colonna sonora delle mie prime delusioni d’amore liceali, dei viaggi confusi negli autobus notturni rimuginando per una serata non andata come si sperava. Da giovane consumatore di rap non ero abituato a sentire parlare di sentimenti nei brani e a commuovermi ascoltando una rima.
Luchè mi stava spiegando che si poteva essere gangsta, si poteva “fare brutto”, si poteva essere cool anche parlando d’amore, anche raccontando le proprie insicurezze. Se si guarda alla carriera di Luchè quello che emerge è proprio questo: l’aver messo se stesso totalmente al centro del racconto senza escludere nessun aspetto della propria personalità.
Dove volano le aquile esce oggi, venerdì 1 aprile, per Sony, ed è l’ennesima dimostrazione di forza e completezza artistica da parte del rapper classe 1981. Luchè è uno dei migliori rapper della storia dell’hip hop italiano. Dal disco d’esordio con i Co’ Sang fino all’ultima fatica da solista: in pochissimi possono vantare l’abilità nella scrittura, la forza poetica e la capacità di innovarsi dell’artista napoletano. Ma nel 2022 Luchè ha ancora bisogno di dimostrare, di ribadire, di chiarire. Infatti degli artisti presenti nel pantheon dell’hip hop italiano Luchè è sicuramente il meno celebrato.
Qui di seguito un estratto dell’intervista al rapper che troverete sul prossimo numero di aprile di Billboard Italia. Siamo partiti dalle sue stesse rime.
“Voglio volare dove nessuno ha mai volato” (D10S con Elisa): questo verso è in qualche modo lo slogan del disco e di questa fase della tua carriera. Hai mai avuto paura di fare la fine di Icaro? Di volare così alto fino a bruciarti?
Certamente, il mio è un percorso rischioso. Avere un percorso pieno di ostacoli mi dà anche delle motivazioni in più per arrivare dove vorrei. Sono sempre in cerca di nuovi obbiettivi, per me è tutto in divenire. Il rischio di bruciarsi c’è. Non tutti vedono la tua visione, non tutti la capiscono e anche quelli che la capiscono non è detto che la sposino. Ti devi scontrare con la direzione che ha l’industria musicale italiana.
Poi ti devi scontrare col fatto che il mio background è quello di un ragazzo del sud per cui è più difficile arrivare a tutti gli italiani. Cercare di volare in alto per me vuol dire dimostrare che determinate cose si possono fare nella carriera di un artista. Questa mia scelta mi ha portato a subire anche tante delusioni. Ma non ho alternative: questa è l’unico modo che conosco. La bruciatura per me è quella di sentirsi solo nel fare le cose in questo modo, essere fraintesi delle volte e ignorati delle altre. Ma sono bruciature necessarie per non fare le cose come tutti gli altri.
“La nostra ascesa nella scena è clamorosa, mi guardano come se gli dovessi qualcosa” (Si Vince Alla Fine). Il tuo rapporto con il sistema musicale italiano è sempre stato conflittuale. Qualche mese fa hai espresso le tue opinioni in maniera chiara anche attraverso un post su Instagram. Credi ci siano ancora dei margini perché la scena rap smetta di essere succube delle dinamiche dell’industria musicale italiana?
Il problema è che sono molto deluso dal comportamento di alcuni artisti. Parliamoci chiaro: nel 2016-2017 il nostro genere spopolava. Grazie al web e allo streaming ci eravamo imposti in contesti dove prima non eravamo ascoltati. Poi siamo stati noi a fare un passo verso il pop italiano. Ciò che è stato costruito in anni di gavetta dalla mia generazione è stato snaturato. Non so se ci siano i margini per invertire la rotta. La cosa preoccupante è stata che non siamo stati in grado di difendere quello che avevamo costruito. Il rap è sceso subito a compromessi.
Ci siamo rivelati i soliti italianotti: uguali a quelli che abbiamo sempre criticato. Nel momento in cui bisognava creare un movimento urban indipendente molti rapper hanno iniziato ad adattarsi alle regole del mercato pop italiano senza che ce ne fosse un reale bisogno. Questo ha fatto perdere credibilità a tutto il movimento. Adesso nel rap italiano c’è stata una sorta di scrematura: chi era solo un fenomeno social si sta sgonfiando, chi ha deciso di fare musica pop andrà in quella direzione, chi ha qualità e voglia di fare le cose in un certo modo resterà. Spero che questi ultimi saranno d’esempio per le nuove generazioni.
“Dico cose scomode che vengono fraintese” (D10S con Elisa). L’essere incompresi è un elemento che ritorna spesso nei tuoi pezzi. I video promozionali che hai realizzato con l’aiuto di Marco D’Amore, Alessandro Siani e Belen Rodriguez sono stati fatti anche per questo? Per dare al pubblico una chiave di lettura in più per capire il disco?
Diciamo che nascono da più fattori. Manco dalla scena da tre anni e mezzo e non mi andava di fare la solita promozione. Non mi andava di fare cose già fatte in passato. Secondo me i dischi vanno spiegati anche nella comunicazione. Io non riesco a mettere tutto in rima, alcune cose vanno spiegate. Mi sembrava bello quindi realizzare questi discorsi lunghi anche in controtendenza con le dinamiche classiche da social.
Avevo bisogno di raccontare le emozioni che sono dietro al disco. Questi discorsi sono quindi una sorta di introduzione ai brani. Poi mi piaceva l’idea di lavorare con gli attori per dare un valore aggiunto a questo progetto, per dimostrare che io sto cercando di fare qualcosa in più.
“Per fare i soldi non farlo per i soldi” (Si vince alla fine). Questo verso mi rimanda ad un’altra tua frase contenuta nel brano Potere/Il Sorpasso, dal disco Potere, in cui dicevi: “Prima volevo i soldi, adesso voglio il potere”. Ora cosa ti spinge a fare musica? Hai ancora bisogno di ottenere il potere?
Quando i soldi non sono più un problema hai la conferma che il motivo per cui hai sempre fatto questa roba non sono i soldi. Se avessi voluto fare i soldi avrei fatto altre scelte artistiche e commerciali. In questo momento molte cose mi spingono ad andare in studio. In primis: la comunicazione. Voglio dimostrare agli italiani che anche qua si può fare musica di altissimo livello. Anche qui valiamo. Non è vero che siamo tutti mediocri come spesso pensiamo. In secondo luogo: la competizione. Voglio che quando esce un mio disco i colleghi non dormano la notte. In molti mi hanno sempre snobbato. Quando si parla dei migliori rapper italiani non ci sono quasi mai. La loro superficialità mi motiva tantissimo. Io credo altamente nelle cose che faccio. E questo è un altro messaggio importante che voglio trasmettere al mio pubblico: credete fortemente nelle cose che fate. Un’altra cosa che mi motiva è l’eccellenza. Io vado in studio per fare musica eccellente, arte di altissimo livello. Detto tutto ciò non voglio nemmeno fare l’asceta. I soldi nella vita e nel rap contano. Io voglio vivere una vita piena fatta anche di cose materiali e di leggerezza. Voglio viverla fino in fondo, all’ennesima potenza. I soldi fanno parte di tutto ciò ma non sono sicuramente la prima cosa.
“In amore ho già sofferto tanto, adesso cerco altro” (Password) e “Vorrei poterti dare un po’ di me ma non so amare più” (Tutto di me). Com’è cambiata la tua percezione delle relazioni nel corso della tua carriera? E qual è la visione che desideri trasmettere in Dove Volano Le Aquile?
Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con i sentimenti. Sono una persona molto sensibile che negli anni ha subito tante delusioni. Vivo un forte dualismo tra il vedere la donna come un nemico e amarla profondamente allo stesso tempo. Quindi ci sono dei momenti in cui sento di volere una persona al mio fianco e dei momenti in cui voglio la mia libertà. Negli ultimi anni ho vissuto fortemente questo contrasto tra il volere una relazione e il sentirmi libero. L’amore mi dà tante paranoie e mi sento molto vulnerabile: questo ti direi che non è cambiato negli anni. Anzi ti direi che le brutte esperienze vissute negli anni mi hanno reso ancora più diffidente. Non sono una persona serena su questo ambito e per me c’è ancora tanto lavoro da fare.
Leggi tutta l’intervista sul prossimo numero di Billboard Italia.