Hip Hop

Nashley presenta “Giovane e triste”: «Non mi riconosco più nella trap»

Il rapper vicentino si è lasciato alle spalle una fase di incertezza artistica. Ora Nashley è pronto a investire sui propri punti di forza

Autore Filippo Motti
  • Il13 Febbraio 2021
Nashley presenta “Giovane e triste”: «Non mi riconosco più nella trap»

Nashley / Antonio Mercurio

Hago lo que me da la gana, oggi più che mai. Parola di Nashley, che da qualche mese a questa parte ha deciso di riprendere in mano la propria vita artistica e di lasciarsi alle spalle vecchie vesti e compromessi. Non ce ne voglia Bad Bunny per la presa in prestito delle sue parole, ma rendono bene l’idea dello spirito che sta guidando il presente del rapper vicentino, uscito oggi con l’inedito Giovane e triste.

Oltre ad inaugurare il 2021 dell’artista veneto, il brano testimonia (al di là della lirica) la volontà di non lasciarsi schiavizzare dal passato e di tornare a scommettere su se stessi. In parole povere, il vecchio Nashley non riusciva più a convivere con il nuovo. Una voce si è fatta largo dentro di lui, scardinando gli appigli che i segnali post debutto possono conficcarti in testa. È la voce della musica, troppo vivace per badare alla fissità e guardarsi indietro. La stessa che ha permesso ad Achille Lauro di essere sia quello di Benedetti stronzi che quello di Me ne frego. Un bene? Un male? Dipende dal fan. Ma la repressione non è sempre costruttiva per chi fa musica. Di questo ed altro abbiamo parlato con Nashley durante un lungo scambio telefonico.

La grafica di Giovane e triste lascia davvero il segno. Per come sono organizzati i vari elementi fa pensare a reference nascoste.

In realtà abbiamo cercato di fare quella grafica che farà da reference alle altre! Non ci siamo ispirati ad altri lavori. Abbiamo visto l’outfit proposto dallo stylist, molto à la John Lennon. Poi si è creato un mix di idee dello staff. Io ad esempio avevo visto l’ombrello in studio, era perfetto. Il laghetto lo conosceva il fotografo. In realtà dovevo essere scalzo, ma il tempo era un disastro. Infatti assicuro i fan che me lo chiedevano in direct su Instagram qualche giorno fa, la grafica è tutta vera! -1°, camicia di lino in mezzo al fango, il fotografo con l’ombrello, è stato disastroso… ma credo che il risultato sia davvero bello e originale.

Il punto di forza di questa cover?

Ti racconta già qualcosa. È una di quelle grafiche che in qualche modo ti emoziona.

Il brano è legato a Kurt Cobain, che citi anche nel ritornello. Qual è il primissimo ricordo che ti lega a lui?

Credo Smells Like Teen Spirit, forse una delle prime canzoni che ho suonato con la chitarra elettrica. Però diciamo che lì ho conosciuto i Nirvana. Kurt Cobain in realtà l’ho approfondito di recente. Merito di un bellissimo documentario in italiano su YouTube che spiega bene la sua persona.

Su Spotify hai condiviso una playlist con i tuoi ascolti del momento. Ernia e Machine Gun Kelly sono grandi protagonisti. Come mai?

Ti darò una risposta poco scontata. Non tanto per la loro musica – che mi piace da morire –, ma perché sono entrambi artisti che quest’anno si sono evoluti. Hanno avuto le palle di fare quello che gli piace. Ernia con Superclassico è arrivato davvero a tutti, anche ai nonni. Ed è un brano molto sentito e sincero, si percepisce. Credo lo volesse fare da tanto, e ha avuto le palle di uscire con un pezzo diverso dal solito nonostante il suo legame con la scena super rap.

E Machine Gun Kelly?

Stessa cosa. Lui lo ascolto da tantissimo tempo, pur avendo tatuato Eminem sul braccio (ride, ndr). È passato da un rap di tutto rispetto a fare emo punk più che egregiamente. Ci vuole coraggio a prendere direzioni diverse. Vale anche per Achille Lauro. È quello il concetto, avere le palle di farsi vedere per quello che si è davanti ad un pubblico, sperando che la musica venga apprezzata. Tanto rispetto da parte mia.

A sentirti adesso sembri lontanissimo dal mondo che ha ispirato realtà come la Sugo. Penso al club rap in stile Tyga. Ci sono influenze del passato con cui hai definitivamente tagliato i ponti? Immaginari che non hanno più nulla da dirti?

Non saprei… io sono nato con la Sugo e Mambo, a fare Trap con la T maiuscola. Ma mi sono accorto che non appartengo del tutto a quel mondo. È un discorso complesso, non basta fumarsi le canne e tatuarsi le mani. Ad un certo punto mi sono reso conto che scrivere cose diverse dagli argomenti puramente rap e trap mi faceva sentire proprio meglio. È stato tutto molto graduale. Non mi annoiavo più, avevo più ispirazione, ero molto più soddisfatto delle cose. Diciamo quindi che al momento potrei aver chiuso la porta alla trap più esplicita. Il rap rimane, ovviamente.

Come è successo?

In quarantena ero proprio depresso perché non riuscivo più a fare musica. Mi impuntavo su quella roba. I miei manager alla fine mi hanno fatto aprire gli occhi, dicendomi che dovevo fare quello in cui mi sentivo bravo. È stato anche quello il dubbio. Io adesso cosa faccio? Trap in una situazione italiana dove ci sono una marea di personaggi più forti di me? Perché invece non fare quello che mi piace? Nel pop-urban credo di essere tra i più bravi della mia età in questo momento. L’anno scorso ho perso un sacco di tempo facendo altro.

A questo punto mi sembra d’obbligo chiederti un bilancio di Ancora in piedi.

Ti do anche qui una risposta poco scontata. Col passare del tempo mi sono reso conto che quell’EP rappresenta esattamente il momento in cui non sapevo che cazzo fare. Si sente. Ho una gamba nella trap, perché funziona, e una gamba in quello che vorrei fare davvero. Per questo non è andato come speravamo. Ci credevamo molto di più. Il pubblico non è stupido, anzi. Inconsciamente sentiva che qualcosa non quadrava. Alcune sonorità vanno di là, ma le parole da un’altra parte. Però da Ancora in piedi è rinata una parte di me, che sentirete nei progetti futuri. Lì è partito tutto. Poi non è detto che non ritorni la cosa più street. Sto già pensando ad un EP più rappato.

In Giovane e triste scrivi che vorresti imparare a cadere come le stelle.

Qui c’è il doppio gioco di parole. Vorrei imparare a cadere come le stelle, le persone famose. Questa frase l’ho scritta vedendo il video di un’artista sul punto di esibirsi, che ha scoperto che il ragazzo la tradiva sei minuti prima di salire sul palco. Ma il concerto è stato comunque strepitoso. Dopo avrà pianto e si sarà disperata sicuramente, ma è stata super professionale. C’è poi il secondo significato, legato alle stelle cadenti, che sebbene stiano cadendo lasciano tutti a bocca aperta. Vorrei imparare a cadere in piedi senza fare danni o auto-distruggermi.

Che poi le cadute hanno fatto la fortuna discografica di tanti artisti. Penso a Fibra.

Certo, tantissimi. Anche Marracash. Sentivo su TRX Radio che è stata la depressione a fargli scrivere Persona. D’altro canto se vivi solo cose belle, cosa ti rimane da raccontare? La gente non può ritrovarsi nei soldi che fai, nei voli a Miami e nelle quattro ragazze nude. Bella lì, ma cosa arriva alla gente? Quanto possono riconoscersi?

Pensi che la scena vicentina sia la più underrated del rap italiano?

Lo è stata, sicuramente. Citando il mio socio Mambo, noi abbiamo segnato Vicenza sulla mappa. All’inizio anche Nitro rivendicava molto la città. Però poi chiaramente trasferendosi a Milano e conoscendo altre persone non l’ha più nominata troppo. Oggi non tutti sanno che è di Vicenza. In ogni caso lui è stato il primo rapper che è riuscito a emergere da lì. Poi ti dirò, è sottovalutata, ma non siamo neanche così tanti. Adesso siamo in quattro reduci da un discreto successo: io, Mambo, Nitro, e la Madame che si è aggiunta da un paio d’anni e sta spaccando.

C’è vita tra gli emergenti?

So che a Vicenza ci sono tantissimi talenti, li sento ogni giorno che passano in studio e mandano le demo. Vedremo se più avanti usciranno grandi stelle.

Nei giorni scorsi si è tanto discusso dello stato di salute del rap nostrano. Indispettito da un’intervista di Young Thug, Sfera ha detto che siamo il game più caldo d’Europa. Salmo ha invece lamentato l’assenza di uno stile italiano. Da che parte stai?

Mi metto in mezzo. Sono d’accordo che la scena italiana sia la più calda d’Europa. Se non la prima, la seconda dopo la Francia. I numeri parlano chiaro, abbiamo artisti conosciuti anche all’estero. Per quel che riguarda lo stile, tutti hanno copiato l’America. Il rap è nato lì. Se ascolti i francesi hanno le note degli anni ’90 dei rapper old school americani più R&B. Noi arriviamo sempre cinque anni dopo sulle cose rispetto agli States. Però sui contenuti siamo ad un altro livello. Se ascolti artisti come Emis Killa, Gué Pequeno o Salmo abbiamo dei testi che fanno paura rispetto all’America, dove alla fine rigirano sempre le stesse parole. Tolto Eminem e quel girone di super scrittori, ovviamente.

Ascolta Giovane e triste di Nashley

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