Hip Hop

Random: «Ultimo posto a Sanremo? Simbolico e “Nuvole” mi ha salvato»

Random nel suo nuovo album ha un messaggio forte e chiaro per tutti coloro che hanno un sogno: mai mollare. Lo abbiamo intervistato

Autore Benedetta Minoliti
  • Il30 Marzo 2021
Random: «Ultimo posto a Sanremo? Simbolico e “Nuvole” mi ha salvato»

Random, foto di Lorenzo Villa

Capita spesso di collegare le nuvole a quelle giornate tristi, in cui il cielo improvissamente si rabbuia e si attende, inesorabile, l’arrivo della pioggia. Le nuvole, però, possono nascondere molteplici significati, prendendo forme diverse a seconda di chi le guarda. E proprio di questo parla Random nel suo nuovo progetto discografico, Nuvole, in uscita venerdì 2 aprile.

Random si rivolge a tutti coloro che hanno un sogno ma lo lasciano in sospeso per il timore di sbagliare, di non essere capiti o, semplicemente, apprezzati. Un messaggio che arriva forte e chiaro, raccontato attraverso paure e insicurezze.

Il disco, come sempre prodotto da Zenit, a eccezione di una traccia prodotta da Junior K, vede anche alcuni featuring provenienti da diversi mondi della musica italiana: Gio Evan, Guè Pequeno, Carl Brave, Samurai Jay e Etnico.

Dal classico collegamento Zoom abbiamo visto Random ad un passo dalle nuvole, sulla terrazza del Cinepalace di Riccione.

L’ultima volta che ti abbiamo intervistato dovevi ancora partire per Sanremo. In quell’occasione ci hai raccontato che odi perdere e non vedevi il Festival come una gara. Come ha vissuto l’ultimo posto?

L’ho vissuto veramente bene. L’ultima posizione per me è simbolica. Non sei arrivato in mezzo, sei proprio arrivato ultimo! Sarebbe stato peggio se fossi arrivato penultimo. Sanremo è stata un’esperienza che mi ha dato tanto e mi ha fatto capire i miei limiti da superare.

Il disco parla d’amore ma è rivolto soprattutto a se stessi e alle proprie passioni.

Ogni pezzo racconta un’emozione diversa e il messaggio si può interpretare in tantissimi modi. Anche il titolo rimanda a questo, perché ognuno nelle nuvole può vedere un po’ ciò che vuole. Tu ci vedi un cuore, io magari un cane o un gelato, e i pezzi del disco sono così. Tutti parlano dell’amore, ma inteso in diversi sensi: per l’amore, per il lavoro, la vita, qualsiasi cosa.

Ci sono anche molte canzoni in cui parli del “essere veri” e del fatto che a volte qualcuno cerca di farti cambiare. Ad esempio ne parli in Sole quando piove, quando dici “nessuno ci vuole perché siamo veri”. Da quando hai iniziato qualcuno ha cercato di cambiarti?

Ringrazio Dio tutti i giorni perché ho dei manager con cui ho un rapporto fraterno. Sanno che non voglio cambiare e che tra quello e maturare c’è una bella differenza. Con il tempo per forza si cambia. Se non ci fosse una crescita non sarebbe bello vivere. Però è capitato che in diverse situazioni ci fossero degli elementi esterni che hanno detto delle parole di troppo. Alla fine penso che rimanere se stessi sia fondamentale, anche se può essere difficile.

Nel disco si parla anche di paure e insicurezze. È stato terapeutico per te scrivere quest’album in un momento così complicato?

Assolutamente sì. Ci sono alcuni pezzi in particolare che parlano di emozioni molto intense, anche già passate. Sono brani che ho scritto quando provavo il mio primo amore. Alcuni invece li ho scritti sul momento, perché avevo bisogno di sfogarmi. La canzone che chiude il disco, Ami ma…, l’ho scritta quando avevo il Covid ed ero chiuso in una casa da solo. Stavo anche avendo dei problemi lavorativi e per un attimo ho pensato che stesse per finire tutto. È stata una sensazione mai provata prima, neanche quando sono arrivato ultimo a Sanremo. Quindi sì, è stato terapeutico, perché un paio di canzoni mi hanno proprio aiutato a stare meglio.

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Random, foto di Lorenzo Villa

Random e i feauturing del disco in “perfetto equilibrio”

Per quanto riguarda i featuring sei riuscito a trovare una sorta di equilibrio. C’è Gio Evan, che è un cantautore, Guè Pequeno, uno dei pilastri del rap italiano, e Carl Brave che è un po’ un ibrido.

Rispetto a Montagne Russe, dove i feat sono stati fatti più con un ragionamento professionale (perché era il mio primo album e ancora nella scena non mi si conosceva bene), in questo disco ho deciso di collaborare solo con persone con cui ho un rapporto. Io e Gio Evan, ad esempio, ci siamo visti in studio e abbiamo realizzato la nostra parte insieme. Con Carl, invece, abbiamo sentito il pezzo e poi ci siamo consultati per il terzo feat, perché volevamo fare qualcosa che racchiudesse tre mondi diversi.

E per quanto riguarda Guè Pequeno?

Lui è sempre in giro e non siamo riusciti a vederci, ma per me è un idolo. Sono nato con il rap e Guè è un pilastro. Sono rimasto a bocca aperta perché è una persona incredibile e il pezzo è venuto come volevamo noi. È entrato proprio nella mia visione di canzone.

Un feat che mi ha incuriosito molto è quello con Etnico in Vogliono essere.

Etnico è un mio carissimo amico ed è la persona con cui ho iniziato questo percorso. Eravamo proprio qui, al Cinepalace di Riccione. Ci incontravamo con un po’ di ragazzi per fare freestyle. Noi due eravamo i più forti e ci siamo detti “uniamoci, invece di farci la guerra”. Siamo cresciuti insieme e mi sono sentito in dovere di mettere questa traccia nel disco. È un pezzo che parla di come eravamo. Al tempo tutti volevano essere noi, perché eravamo i ragazzini che si divertivano e se ne fregavano di tutto. Avevamo quella marcia in più, quell’amicizia reale che non dipende da quanti soldi hai.

In Quello che mi serve dici “mi ami quando canto o volerai da un altro”. È un’immagine che ben rappresenta quello che può capitare agli artisti, osannati e poi messi da parte. Provi mai la paura di essere dimenticato?

Sì, ma c’ho fatto la mano, perché quando ti circondi di persone che in te non cercano solo i numeri, ma vada come vada sono sempre lì per te, questa paura ti passa. Con Sanremo mi sono reso conto di tante cose. Le persone che veramente credono in Random, nel mio progetto, sono rimaste impassibili a quello che è successo. Il team che mi sono costruito è ancora più carico, perché in una settimana abbiamo capito errori che potevamo capire in due anni di lavoro. Poi, c’è sempre chi ti vedrà come un numero, però quelle persone in una famiglia sono un po’ come i cugini che ti stanno antipatici.

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