Come è – davvero – la situazione del rap in Cina fra fermento della scena e problemi di censura
Il paese più popoloso del mondo non è mai stato particolarmente influente a livello musicale su scala globale. Eppure, al di là dello scoglio linguistico, esiste da trent’anni una scena di tutto rispetto che oggi si nutre anche di talent show, festival e locali di tendenza
«Mi chiamo Jackson Wang e vengo dalla Cina». Dal palco del Coachella, il rapper di Hong Kong esordisce con un messaggio chiaro, forte, che entra nella storia. È infatti il primo cantante cinese ad esibirsi sul palco principale di uno dei festival più famosi al mondo.
Se quella del Coachella è quasi la consacrazione di un percorso di export musicale cominciato già da diverso tempo, in Cina il rap vive una situazione un po’ più complessa, tra competizione, regolamenti, scandali e fandom tossici.
Il rapporto del rap cinese con i media
Nel 2018 l’Amministrazione statale di stampa, radio, cinema e televisione rilasciò una dichiarazione che apparentemente vietava l’apparizione televisiva della “cultura hip hop” e delle persone con tatuaggi. Il provvedimento venne soprannominato “hip hop ban” e il web e i giornali cinesi ne parlarono per mesi. A farne le spese furono cantanti come Gai, star della C-trap, che venne rimosso da un programma televisivo, prima di ritornare prepotentemente alla ribalta, PG One, con alcune tracce che apparentemente glorificavano l’uso di droghe e la misoginia, e tanti altri artisti i cui album, all’epoca, vennero rimossi dai negozi online.
«La situazione qui è spesso imprevedibile», spiega il giornalista Jake Newby, veterano dell’informazione musicale cinese. «PG One ora pubblica brani con uno pseudonimo su WeChat e i suoi album sono sull’e-commerce Taobao perché non può accedere ai siti di streaming locali. Lui vende bene ma mostra cosa può succedere se si ritiene che tu non sia in linea con i “valori tradizionali”».
L’arresto per stupro l’anno scorso della star sino-canadese Kris Wu, poi, ha aperto un vaso di Pandora che ha travolto l’intero mondo dello spettacolo cinese. Un mese dopo l’incarceramento del rapper, le fake news e i milioni di commenti tossici sui social media, l’amministrazione della radiotelevisione ha emesso una circolare in cui, oltre a condannare i fandom tossici, ha anche richiesto il bando televisivo degli artisti “moralmente corrotti”.
Ma se pensate che tutto questo abbia frenato l’hip hop, vi sbagliate. Racconta l’influencer e produttore musicale Peter Xu: «In Cina il rap è ancora un genere controverso. La censura è più forte ma ci sono ancora tanti buoni lavori. Al momento tra i generi che vanno per la maggiore ci sono trap, rap/EDM e R&B».
Una scena in fermento
In Cina l’hip hop è ancora di moda. Lo dimostrano i sold out dei concerti, i festival, gli spettacoli immersivi e l’apertura di vari club di hip hop. Fra questi c’è il WhyFri, locale autorizzato dal canale iQiyi, creatore del famoso programma The Rap of China, in cui gli artisti si esibiscono in mezzo al pubblico, senza un palco.
Lontano dagli schermi il rap cinese continua ad evolversi, come tutti i generi musicali nel mondo, e il confine tra artisti televisivi e quelli “da strada” è sempre più sottile. «La storia del rap cinese risale almeno ai primi anni ’90», continua Jake Newby. «Dopo The Rap of China, però, l’hip hop è diventato un prodotto e il suo ingresso nel mainstream lo ha visto in gran parte spogliato del suo contesto storico, diventando commerciale».
Sono diversi i rapper che oggi hanno scelto di alternare la strada con la televisione. Ci sono anche quelli che sono diventati famosi senza partecipare ad alcun programma, come il gruppo Higher Brothers, originario di Chengdu, la capitale cinese del rap. Nel giro di pochi anni sono diventati un fenomeno mondiale, spaziando fra trap, hyphy e cloud rap.
Il successo del rapper Gali
Tra i cantanti che alternano strada e TV, riscuotendo successo in entrambi i casi, c’è anche Gali, al secolo Jiang Wenhan, originario di Shanghai e finalista di Rap of China con più di un milione di followers su Weibo, amato dalle riviste patinate e dalla generazione Z cinese. «Oggi in Cina il rap è spesso incentrato sulla storia personale del cantante e ha una marcata caratterizzazione locale», racconta Gali. «I retaggi culturali e le logiche dell’hip hop americano e di quello cinese sono fondamentalmente diversi. Non c’è nulla di male ovviamente in questo, ma è difficile che l’hip hop locale possa diventare di grido nel mondo. Io personalmente quando scrivo faccio attenzione alle piccole sfumature della vita, ma talvolta anche semplicemente la chiacchiera con un amico diventa fonte di ispirazione».
E ha continuato: «In generale noto che in Cina gli artisti underground stanno invadendo il mercato mainstream e contemporaneamente alcune celebrità provano a fare il rap da strada. La linea sta diventando sempre più sfocata. Gli show televisivi alla fine danno la possibilità al grande pubblico di conoscere il rap, anche se dobbiamo abbassare gli standard. E non lo trovo sbagliato. L’hip hop, come genere, è intrinsecamente inclusivo».
E parlando di TV torna il discorso sui regolamenti. «Quando sono in onda devo per esempio coprire i tatuaggi. A volte è fastidioso. Ma poi, in privato, dico ai fan che mi scrivono che i tatuaggi sono qualcosa di personale e nessuno può influenzarne la scelta».
Il rap cinese: un fenomeno culturale solido
Regole o no, il rap è insomma un fenomeno culturale in Cina, qui per rimanere. Sarà però in grado di conquistare il mondo? Secondo il management dell’etichetta discografica cinese Whiteboard, a rallentare questo possibile riconoscimento a livello internazionale dell’hip hop cinese c’è un problema: la lingua. «La Cina è un mercato enorme per i rapper locali, ma a livello globale dubito che ci possa essere una vera espansione. Per sfondare come rapper a livello internazionale, credo ancora che la lingua da utilizzare resti l’inglese. Noi stiamo provando a fare l’opposto, ovvero a portare in Cina il rap straniero non in lingua inglese. Al momento, per esempio, stiamo promuovendo artisti hip hop francesi e canadesi».
E se a fermare l’internazionalizzazione dell’hip hop cinese fosse anche l’immagine che l’estero ha della Cina? È di questa opinione Jake Newby: «Uno dei problemi è che nei mercati esteri qualsiasi discussione sull’hip hop cinese include questioni relative alla censura, alla politica e così via. Sebbene molti di questi dibattiti siano validi, c’è comunque poca discussione sulla musica che questi artisti fanno, in termini prettamente musicali».
Articolo di Ambra Schillirò