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Achille Lauro: perché “1969” è un bel disco

Achille Lauro ci ha presentato “1969”, un disco che torna al passato per riscoprire un’attitudine rock. E che è completamente fuori da ogni etichetta

Autore Giovanni Ferrari
  • Il11 Aprile 2019
Achille Lauro: perché “1969” è un bel disco

Cosimo Buccolieri

Durante una conferenza stampa a Milano, Achille Lauro ha presentato ai giornalisti il suo ultimo progetto 1969, in uscita domani, venerdì 12 aprile, per Sony Music Italy. Completo vintage e cappello bianchi, scarpe glitterate e la solita (rassicurante) aria da poète maudit, Achille Lauro ha risposto alle domande dei presenti. E ha voluto ancora una volta raccontare chi è.

Il pretesto per farlo è 1969 Achille Lauro, un disco che – come già facilmente comprensibile dall’iconica cover – vuole prendere spunto (e, di conseguenza, rendere omaggio) a un insieme di figure degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Lo fa con un’attitudine seria ma scanzonata. Fuori da ogni schema possibile.

Non a caso, poco prima dell’arrivo di Lauro, lo stesso presidente di Sony Music Italy, Andrea Rosi, lo ha definito «un artista vero, una stella creativa». Il talento di Achille Lauro è indiscusso e il suo sodalizio artistico con Boss Doms è una certezza per chi ama farsi stupire.

È così: Achille Lauro è uno di quei nomi che, appena pensi di aver compreso a fondo, riesce a stupirti. Complice una continua ricerca dei suoni, sempre fuori dal tempo («Ci siamo chiusi due o tre mesi nella famosa villa per non farci contaminare dalle mode»). Complice una cifra stilistica che – nonostante tutto – rimane coerente con se stessa. E complice pure una volontà di non nascondere nulla. Nemmeno le difficoltà.

Leggerezza e malinconia. Sono queste le due parole con le quali l’artista racconta il suo disco: «Ognuno di noi attraversa alti e bassi e io li ho voluti fermare a modo mio. La vita costruisce il carattere di una persona e tutte le esperienze vanno ad accumularsi. Questi brani sono stati scritti in momenti particolarmente difficili. Ma io sono riuscito a farne tesoro».

Il racconto dei vuoti interiori di Lauro (provi ad alzare la mano chi non ne ha almeno uno) è sincero e questo disco finisce per essere un puzzle pieno di colori. Anche quando tutto intorno ci obbliga a vedere solo il bianco e nero. Infatti, nel disco (registrato dall’inizio alla fine nei nuovi studi RCA di Sony Music Italy) convivono tutte le anime dell’artista, compresa quella apparentemente “strafottente” di Rolls Royce, successo dell’ultimo Sanremo. Ci sono pure un feat con Coez (Je t’Aime) e uno con Simon P (Roma). E ancora una volta torna centrale il tema dell’intenzione: «Se Vasco Rossi dice “Siamo soli” è un conto. E come lo dice lui non potrà mai dirlo nessuno. L’intenzione è fondamentale nel mio lavoro». Come dargli torto?

Tra una domanda e l’altra, Achille Lauro ha risposto alle critiche che lo hanno coinvolto durante e dopo Sanremo, incentrate sul significato del brano Rolls Royce: «Vedere una gogna mediatica contro di me per una incomprensione è stato brutto. La droga è un problema reale. Grave. Chi affronta questa tematica con leggerezza forse non lo sa così bene, non ne conosce il pericolo». E ha incalzato: «È un problema che andrebbe risolto nelle scuole. Avermi messo in bocca certe parole non è stato corretto. Io sono riuscito a farmi passare tutto addosso e mi sono concentrato sulla musica». E chiude il discorso spiegando l’ultima frase del testo: «Quel “Dio ti prego salvaci…” non era riferito solo a chi ha dei problemi, ma a tutti noi».

E, mentre Achille Lauro racconta di essere già al lavoro su altri due album («completamente diversi da questo e tra loro»), ancora una volta rifiuta ogni etichetta: «Noi siamo sempre stati outsider e questo è un passo importante per me». L’album, in ogni caso, «vuole parlare a tutti». E parla del tempo che passa, inesorabile, e della difficoltà nel possederlo.

Tra un commento e l’altro su 1969, Lauro parla anche di due colleghe. La prima è Myss Keta, della quale ha affermato: «La stimo tantissimo per tutto ciò che sta facendo». La seconda è Anna Tatangelo, con la quale ha presentato pochi mesi fa una nuova versione della sua Ragazza di Periferia: «Anna è una grande artista e ha una gran voce. È una bella Ferrari. Però in questa Ferrari ci andrebbe messa la benzina giusta».

A fine conferenza, Lauro non smentisce né conferma le voci che lo danno come giudice della prossima edizione di X Factor («Sarebbe bello. Ne parlano tutti ma io non ne so niente») e parla della sua tournée: «Sarò affiancato da una band. Questi brani sono perfetti per la dimensione live». Qui tutte le informazioni e le date.

Il 1969 di Achille Lauro, quindi, è un ritorno al passato per riprendere quella voglia di cambiamento, quello slancio emotivo che forse abbiamo perso. Che, però, non richiede un annullamento di tutto ciò che c’è stato in passato, ma una nuova modalità di affrontare la musica. E, perché no, anche tutto ciò che apparentemente non è andato come speravamo.

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