M.E.R.L.O.T. e AmaSanremo: «Il posto giusto per cambiare»
Alla finale di AmaSanremo del 17 dicembre l’artista lucano di Sette Volte cercherà di accedere tra le nuove proposte del Festival
Il classe ’98 M.E.R.L.O.T. (nome d’arte di Manuel Schiavone) si è formato artisticamente a Bologna, che per forza di cose non può essere considerata una palestra come le altre. Tutto quello che l’artista lucano di Grassano ha imparato e vissuto è stato messo in gioco quest’anno nella partecipazione ad AmaSanremo. Il 17 c’è la finale, con altri 9 concorrenti agguerriti, e M.E.R.L.O.T. proverà a portare ancora più lontano la sua Sette Volte. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui per scoprire qualcosa in più sulla sua proposta musicale.
Su Instagram scrivi: “Non sempre le cose complicate sono le migliori, io personalmente cerco sempre la semplicità”. Tra persone care e artisti, chi più ti ha indicato la strada del minimalismo?
Sono cresciuto in un ambiente che amava la semplicità, i miei mi hanno fatto capire che è una cosa positiva e non negativa come molti pensano. Semplice per me è genuino e non contaminato, semplice non è strafare. Semplice sono 3 accordi ordinati in maniera tale da creare un mondo. Anche a livello artistico mi hanno sempre colpito artisti che non avevano un grande studio di melodie e di armonie dietro ma che cantano col cuore.
Versi come «la corda al collo è normale» catturano perfettamente le inclinazioni più rassegnate delle nuove generazioni. Ti capita mai di scrivere più per il pubblico che per te stesso?
Io scrivo per me stesso, non ho mai cancellato nulla solo perché pensavo non potesse andare bene all’ascoltatore. Giuro. Anche perché non avrebbe senso e non riuscirei a cantarlo con la giusta interpretazione. Non sono un attore.
L’uscita dalla comfort-zone per AmaSanremo
Sanremo è una delle istituzioni musicali e televisive più attaccate dai giovani. Qual è il valore che i detrattori non riescono a vedere in questo appuntamento?
Diciamo che da 2 o 3 anni posso dire che almeno i giovani che conosco stanno attaccati alla tv quando c’è il festival , me compreso. Posso capire che prima potesse essere considerato un ambiente un pochino vecchiotto, ma ora abbiamo tutti i generi quindi non capisco tutti i puristi (peggiore malattia) che continuano ad odiarlo.
Qual è l’elemento di discontinuità che separa Sette Volte dalla tua produzione precedente?
Troppi elementi. Sette Volte ha un sound allegro, mi evoca Marshall Eriksen (di How I Met Your Mother, ndr) che con uno smoking bianco canticchia per le strade di New York. Le altre mie canzoni sono cupe, anche per questo ho deciso di portare lei e non una completamente nel mio mood. Volevo cambiare per una volta, e Sanremo era il posto giusto per farlo. Comunque Sette Volte è travestita con un abito allegro ma sotto non lo è affatto. Chi la prende come una canzonetta da radio vuol dire che si ferma solo a battere il piede.
Bologna è una cattedrale musicale a cielo aperto. Non solo per il cantautorato, ma anche per il rap. C’è un elemento di questo genere che hai fatto tuo con il passare degli anni? Al di là dell’eco molto purple drank del progetto “Pancake e Codeina”…
Sì assolutamente, prendo tanto dal rap e mi piace accostarlo al melodico. Rende il tutto più fresco, lo fanno praticamente tutti ormai, alcuni sanno camuffarlo.