Noemi: «Mi sento a metà di un salto, chissà dove mi porterà»
Abbiamo incontrato su Zoom la cantante per parlare del suo brano sanremese, Glicine, e del suo nuovo album Metamorfosi
Una delle cose più complicate che riguardano la vita di tutti è l’accettazione dei cambiamenti. Il corpo che muta, la nostra personalità che si forma, l’umore che non è mai uguale per due giorni di fila. I cambiamenti, le metamorfosi, andrebbero cercate e abbracciate senza paura. Ed è quello che ha fatto Noemi, in gara al 71° Festival di Sanremo con la sua Glicine.
La cantante, a tre anni dal suo progetto discografico La Luna, ha pubblicato proprio durante i giorni del Festival il suo nuovo album, Metamorfosi.
Un disco, prodotto da Andrea Rigonat e i Muut, con cui Noemi torna per raccontare un cambiamento profondo. Una metamorfosi che l’ha portata ad esplorare nuove sonorità. Perché in questo album si incontrano il pop e l’underground, grazie ai testi di diversi artisti del panorama musicale italiani come: Franco126, Neffa, Arashi e Ginevra.
L’abbiamo intervistata via Zoom, dopo la sua prima performance sul palco di Sanremo, per parlare con lei del suo brano sanremese e del suo nuovo progetto discografico.
Com’è stato tornare a esibirsi sul palco di Sanremo? Come ti sei sentita?
Prima di salirci ero molto emozionata, sentivo proprio il peso di portare sul palco tante cose da raccontare. Ho portato me e il mio pezzo, Glicine, da cui mi sento veramente rappresentata per il percorso di vita che sto facendo. Mi sono fatta coraggio, perché ci tenevo, più di tante altre volte. Sentivo che il riscontro avrebbe avuto per me un valore veramente fondamentale.
Il tuo nuovo album, Mefamorfosi, parla di cambiamenti. Si può definire un concept album o lo trovi un termine troppo riduttivo?
No, non lo trovo riduttivo perché sono proprio partita dal concept, è stato lo step iniziale. Sono partita tanto da me ed è stato un lavoro diverso rispetto a quelli precedenti. Ho sempre lavorato tanto sulle canzoni, ma tenendomi sempre una coperta di Linus. Invece per questo disco mi sono messa in discussione e racconta agli autori con cui ho collaborato. Credo che sia un grande valore aggiunto e il motivo per cui sento tutto in maniera così amplificata.
Un lavoro importante per poter portare la tua storia in questo disco.
Sì. Quando ho iniziato a lavorare a questo disco avevo bisogno di mettermi a fuoco come persona. Ho fatto un percorso personale, mi sono fermata a riflettere. Tutto questo ha influito sul lavoro per il disco. Sono uscita dal mio guscio, ho incontrato persone nuove che fanno parte dell’underground italiano che mi piacciono molto e che mi hanno dato la possibilità di trovare nuovi spunti per raccontarmi e riappassionarmi ancora di più la musica. Anche per usare la mia voce in modo diverso.
Gli autori del nuovo album di Noemi, da Franco126 a Ginevra
C’è stato un incontro che ritieni particolarmente importante?
Quello con Ginevra, che è una cantautrice veramente interessantissima e una donna profonda, che ha davvero tantissimo da dire. Ma anche quello con Arashi e Muut. Loro hanno tutti un bellissimo background musicale, hanno dei loro progetti e parlando con loro sono riuscita a tirare fuori cose di me che mi piacciono molto. Anche l’approccio nei confronti della mia voce è cambiato. Io sono sempre stata una di impeto. Invece oggi ho una attitude nuova. Il fatto di poter dare nuove pennellate di colore alla mia voce è stato bellissimo. Una grande sfida che mi ha regalato rinnovamento e ancora più passione per la musica.
A proposito degli artisti con cui hai lavorato, ci sono anche Franco126 e Neffa gli autori. Com’è stato lavorare con loro?
Bellissimo, Franco126 è un cantautore pazzesco. Mi piace molto quello che ci lega: la romanità. Lui è tanto romano, ma non in maniera campanilistica. Del pezzo che ha scritto insieme a Faini, S’illumina, il racconto che ha fatto. Si parla di questo abito da sera che io uso sempre per andare a dormire. Mi sono ritrovata, come se uno sapesse come dare il meglio di sé ma non avesse la forza per farlo e di mettersi alla prova. Viene raccontata un’occasione mancata. E mentre la canto mi vengono in mente i vicoli di Trastevere.
Neffa, invece, è un cantautore che ascolto da sempre. Ha questo gusto per l’R&B, il soul e il funk che io amo. È stato bello riuscire a lavorare con lui, è una persona meravigliosa e il pezzo mi ha dato la possibilità di tirare fuori una voce ancora diversa, con un gusto molto R&B. Nella melodia mi fa pensare ad Adriano Celentano degli anni ’60.
Proprio in Tu Non Devi, il brano scritto da Neffa canti “Tu non devi farti ferire mai dalle vecchie tue paure che già sai”.
Sembra una frase al servizio della melodia, ma in realtà ha un grande significato. Quante volte ciclicamente nella vita i nostri scheletri nell’armadio, che sono i nostri dubbi e le nostre incertezze, ci rimettono alla prova. La cosa bella è che non bisogna cedere a questa dimensione, perché tanto domani arriva comunque. Bisogna essere fluidi, superarsi e superare i nostri limiti.
Glicine: forza e fragilità
Il glicine simboleggia l’amicizia. In realtà però il tuo brano parla di un amore finito.
Al primo ascolto mi sono subito innamorata di questa canzona scritta da Ginevra. Mi piace l’incipit, perché ti senti come in una solitudine cosmica. Alla prima lettura c’è l’amore finito, ma io poi mi sento molto vicina a questa donna che viene raccontata, a questa fragilità di questo sentimento. Dopo un momento di crisi c’è la possibilità di trovare una nuova consapevolezza che ci rende più forti. E allora c’è l’immagine di questo glicine con radici fortissime, che possono essere le nostre consapevolezze, e questi fiori meravigliosamente fragili, che rappresentano il nostro sentimento d’incertezza. È una dicotomia pazzesca e questa metafora la racconta in maniera incredibile.
Tu hai detto che ti senti come un glicine, con radici forti e fragile allo stesso tempo. Cosa ti mancava fino ad oggi per essere davvero come un glicine?
Quello che succede nella vita è che bisogna essere centrati, con degli obiettivi chiari. Questo dipende tutto dalla nostra testa. Dobbiamo riuscire ad alleggerirci dei pensieri ingombranti. Quello che mi mancava era proprio questo: ritrovare interesse per me. Tutto questo è stato un effetto domino che è arrivato nella musica. Mi sono buttata con la consapevolezza giusta. E ne sono contenta, perché la situazione dinamica che sto vivendo mi piace tanto. Mi sento lanciata in avanti.
Glicine è prodotta dai producer Dorado Inc di Dario Faini. Questa produzione cos’ha dato in più al brano?
L’atmosfera di questa produzione è magnifica. La parte iniziale con il pianoforte mi da proprio la sensazione di solitudine, come se stessi galleggiando nello spazio. Il primo ritornello arriva potente, ma senza esagerare. Mi piace il gusto che ha Dario nel mischiare analogico e digitale. Noi ci conosciamo da tanto tempo e ha avuto il riguardo di trovare per me lo spazio della voce. Qui racconta una storia e lui ha fatto un ottimo lavoro, “a me piace” come diceva Totò (ride, ndr).
Tornando al disco: hai lavorato con diversi artisti e si è mischiato molto pop e underground. C’è un brano in particolare che mi ha colpito molto perché un po’ diverso dal resto del disco: Big Babol. È un brano che ricorda molto l’estate.
A me piace molto. L’ha scritto Arashi che, secondo me, insieme a Ginevra, è un cavallo di razza (ride, ndr). Mi sembra brutto dirlo così, ma loro hanno davvero tanto da raccontare. Mi piace l’atmosfera funky e moderna. Ci sono immagini incredibili, come quella del bambino che scoppia appunto la Big Babol. È un’immagine che rappresenta la spensieratezza dell’infanzia. Inizialmente pensavo fosse un’immagine troppo teen per me, ho riflettuto tanto prima di inserire questo pezzo nell’album. Poi mi sono accorta che era un altro tassello nel racconto di questa metamorfosi. Questa canzone parla del fatto che non puoi fuggire dalle tue insicurezze. Puoi andare dove vuoi, loro ti seguono sempre. L’atmosfera mi ricorda un po’ le produzioni di Dua Lipa, con quel suo gusto molto vintage.
Noemi: «Gli artisti affermati devono creare gli spazi per i giovani»
Com’è stato esibirsi senza pubblico?
È stato molto strano, ma è anche il segno che non ci fa dimenticare in che periodo stiamo facendo il Festival e il suo messaggio. Non rinunciamo a portare a casa delle persone il sogno, e lo portiamo nel totale rispetto delle regole. Tutto è ridotto all’osso, anche gli incontri con voi. Però era importante che ci fosse Sanremo, per non rinunciare ad un momento di leggera. Sono contenta di essere un tassello all’interno di questa manifestazione. Ed è il motivo per cui ogni sera che salgo sul palco la vivo con molta responsabilità.
A proposito del periodo che sta vivendo il mondo della musica, c’è un brano in cui tu parli trasversalmente di questa cosa: L’amore è Pratica. Tu hai lavorato con il coro del Saint Louis College of Music di Roma. Leggendo il track by track hai detto di averli voluti coinvolgere perché sono dei ragazzi che si stanno per buttare nel mondo della musica. Qual è il consiglio che daresti a tutti i giovani che oggi, in un momento così difficile, vogliono provarci?
Non è un momento facile per scegliere una carriera del genere. Quello che ho fatto l’ho fatto perché mi faceva piacere che loro sentissero che ci sia la possibilità di essere dei professionisti. Soprattutto che ci sarà la possibilità di diventare artisti. L’ho visto come un messaggio di speranza. Io più che dare un consiglio a loro vogliono dare un consiglio a noi che siamo già affermati. Quello di poterli aiutare, di poter creare delle situazioni in cui ci sia davvero la possibilità di esprimersi. Noi che abbiamo già lo spazio dobbiamo girarci e prenderli, come se fossimo in una barca, e tirarli su insieme a noi. Ho cercato di farlo e spero, ma sono sicura, che tutti i miei colleghi faranno altrettanto.
L’abito Dolce & Gabbana e il cambiamento fisico che diventa “gancio” per la musica
Durante la tua prima esibizione hai indossato un abito di Dolce & Gabbana della collezione 2007/2008. Com’è stato indossarlo?
Bellissimo, soprattutto perché ha una storia incredibile. È un abito di repertorio che ha indossato Leona Lewis nel pezzo di Bleeding Love. È un vestito che una storia. Scegliere un vestito di repertorio poi è scelta importante a livello di recycling, perché è ecosostenibile, se sceglie vintage scegli qualcosa che non inquina. E poi scegli la storia, la indossi e ne fai parte. Ho visto una foto di Naomi Campbell e mi sono sentita veramente piccola (ride, ndr). Poi io credo nell’energia e spero di poter avere nella mia vita una grande storia musicale.
Come ultima domanda volevo chiederti se pensi che sia stata calcata la mano su quello che è stato il tuo cambiamento fisico. Come lo hai vissuto? Immagino non sia stato facile accettare tanta attenzione sul tuo corpo piuttosto che sulla tua musica…
Credo che sia stato un buon gancio. Avevo messo in conto che avrebbe attirato l’attenzione. Però è stato un buon modo per raccontare molto di più. Il mantra che mi ripeto sempre, e che voglio dire agli altri, è che vai bene solo se vai bene a te. È importante essere risolti mentalmente, essere felici e amarsi. Non perché lo devi fare, ma perché ti ami in maniera naturale. Da sempre il corpo della donna è pieno di significati e normale che ci sia un dibattito.
Forse il corpo dell’uomo è più risolto. Quello della donna racconta tante cose e quindi anche questi grandi significati che ha è normale che vengano discussi. Poi questo mio grande cambiamento l’ho raccontato molto nella musica. L’ho trovato un link naturale che sfocia poi in queste dodici canzoni e nel percorso che sto facendo. Mi sento a metà di un salto, chissà dove mi porterà tutto questo.