Pop

ABBA, esce “Voyage”: ecco cosa vuol dire essere un’icona

La band svedese è tornata con un nuovo progetto di inediti a 40 anni da “The Visitors”, e non sembra passato un giorno

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il5 Novembre 2021
ABBA, esce “Voyage”: ecco cosa vuol dire essere un’icona

ABBA, gli ABBATAR del concerto-evento. Foto ufficio stampa

«Ho percepito chiaramente come Agnetha e Frida fossero felici questa avventura. E non è che ci fosse proprio da aspettarselo. Voglio dire, non è che abbiano fatto tanto in questi 40 anni. Sì, un paio di album a testa, ma per il resto non hanno cantato molto. Vederle adesso così soddisfatte e contente delle canzoni è stato perfetto».

«È andata esattamente come tutte le altre volte. Siamo arrivati nello studio, in sala mixer, io avevo stampato le copie dei testi. Abbiamo fatto andare le basi e le ragazze ci hanno canticchiato sopra, facendo qualche domanda. Infine hanno preso i loro fogli, sono andate in sala di incisione e hanno cominciato a cantare. Devo ammettere che al momento di accoglierle in sala di incisione, mi sono ritrovato a pensare: forse avrei dovuto chiedere loro se sono ancora in grado di cantare prima di pianificare il tutto. Ma dopo il primo giorno, ho capito che non c’era bisogno di preoccuparsi».

Sono le impressioni sul primo giorno di registrazioni del nuovo album degli ABBA, raccolte dal Guardian, in una delle rarissime interviste concesse dal gruppo in occasione dell’uscita. A parlare è Benny Andersson, che insieme all’altro “marito” Björn Ulvaeus, si sta occupando di tutta la promozione. Le “ragazze” non ne hanno voluto sapere. E va bene così.

Ph. Ludvig Andersson

Voyage, il nuovo album e il concerto-evento che resterà nella storia

Hanno cantato, alla grande, i nuovi pezzi. Hanno realizzato le riprese per muovere gli “Abbatar” che interagiranno con un’orchestra di 10 elementi assoldata per suonare dal vivo canzoni nuove e grandi classici. Ora, che lo show vada avanti per 4 anni o per 10, nessuno dei quattro ABBA rischierà di stancarsi o invecchiare. In un’era in cui siamo in lotta quotidiana per distinguere vero e falso, giovane e vecchio, antico e moderno, binary e non binary, reale e virtuale, gli ABBA riprendono da dove avevano lasciato. E sono qui a mostrarci che, quando si tratta di arte, non c’è niente di più vero che un’icona.

Lo fanno con leggerezza, ironia e buone idee e i numeri danno loro ragione: 250.000 biglietti venduti dello show e 80.000 preorder del disco nel solo Regno Unito sono grandezze importanti. L’ABBA Arena di Londra sarà uno dei posti da non mancare e ci porta ad augurarci che si possa sempre di più vivere e viaggiare a pieno ritmo. Al centro dello status iconico e insieme innovativo dell’operazione c’è però la musica di questo disco.

ABBA. Foto ufficio stampa

ABBA, fra un’estetica immortale e un approccio rinnovato

Non sorprenderà l’estetica, che riparte esattamente da dove si era rimasti con due gioielli pop senza tempo come Super Trouper e The Visitors. A generare stupore saranno invece invece la qualità e la freschezza delle composizioni, la bellezza delle voci di Agnetha e Frida, appena ricoperta dalla patina leggera del tempo, che conferisce ulteriore fascino e spessore alle parti vocali soliste, per poi disperdersi nelle armonizzazioni che sono da sempre il marchio di fabbrica del suono ABBA e che sono ancora lì, miracolosamente intatte, come ai tempi di Dancing Queen.

I brani sono 10, tutti molto riusciti, alcuni, come il gran finale Ode To Freedom, o l’“ABBA Power” di No Doubt About It, decisamente all’altezza dei momenti migliori del repertorio esistente. Ad aggiornare l’impianto sonoro è un uso continuo del basso moog, presente praticamente in tutti i pezzi, l’orchestra sontuosa, arrangiata magnificamente e registrata con la dovizia di mezzi dei tempi d’oro. Ci si emoziona con Little Things, dolce carillon natalizio che è la quota nordica e fiabesca che è giusto aspettarsi da un album come questo. E che questa volta rischia davvero di radunare un numero imprecisato di generazioni e di porsi come una sorta di evento anche sociologico.

L’effetto nostalgia è assicurato non solo dalle linee vocali, ma anche da certi particolari che due volponi dell’arrangiamento pop come Bjorn e Benny conoscono bene e che non vedevano evidentemente l’ora di ricreare almeno un’altra volta nella vita (però mai dire mai). Il glissatone di piano in levare in Don’t Shut Me Down, la citazione del fraseggio di SOS in Keep an Eye on Dan, la grazia folksy alla Fernando di Bumblebee, i vocals originali d’epoca in Just A Notion, terzo singolo apripista. E così, fra suggestioni irlandesi in versione Las Vegas, luci del musical West End e fascinazioni Eurofestival, la spedizione prende quota e la destinazione è il viaggio stesso.

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