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Lana Del Rey è solo la celebrazione dell’upper class bianca? Non proprio

A dispetto di ogni apparenza basata su un’osservazione distratta, l’artista offre sempre molteplici livelli di lettura nei suoi lavori. Come fa nel nuovo album Chemtrails Over the Country Club, pubblicato oggi

Autore Federico Durante
  • Il19 Marzo 2021
Lana Del Rey è solo la celebrazione dell’upper class bianca? Non proprio

Lana Del Rey (fonte: ufficio stampa)

È vero: in un periodo socio-politico della storia statunitense in cui sono tornati di peso nel dibattito pubblico (e anche nelle strade) i temi delle disuguaglianze razziali, fa uno strano effetto ascoltare una musica e analizzare un progetto artistico che a uno sguardo distratto sembrerebbero in tutto e per tutto celebrare l’immaginario collettivo della classe benestante bianca. Oggi, venerdì 19 marzo, esce il settimo album di Lana Del Rey, Chemtrails over the Country Club, e già dal titolo e dalla copertina i richiami a quella sfera sociale sono lampanti. Ma davvero si tratta di una tiepida rappresentazione della whiteness americana? Forse no.

Lana Del Rey - Chemtrails Over the Country Club

Il bianco, appunto. Colore simbolo di purezza in tutte le culture del mondo, passate e presenti. Nel corso delle undici tracce dell’album, la parola “white” compare con una certa ricorrenza. Lana Del Rey gioca con quella sfera semantica sin dall’apertura della tracklist, con – appunto – il brano White Dress. Vestito da sposa, ma anche – come si scopre ascoltando il brano – il completo da cameriera che lei stessa indossava per lavoro prima di intraprendere la carriera musicale.

E infatti: “I was a waitress working the night shift / You were my man, felt like I got this / Down at the Men in Music Business Conference”. Ecco subito che fa capolino il music business. Lana Del Rey non perde occasione per riflettere – con una rapida frecciata al maschilismo di buona parte dell’industria discografica – su questo mondo che le ha dato tanto ma che è lungi dall’essere perfetto. Nel testo troviamo anche il consueto citazionismo degli artisti che la ispirano: Sun Ra, White Stripes, Kings of Leon. Ma fa tutto ciò con un timbro vocale iper-sussurrato e tremebondo, una cifra stilistica dall’effetto ansiogeno che non ci aspettavamo da lei.

“I’m on the run with you, my sweet love / There’s nothing wrong contemplating God / Under the chemtrails over the country club / We’re in our jewels in the swimming pool / Me and my sister just playin’ it cool / Under the chemtrails over the country club”. Con la title track, secondo brano in scaletta, si prosegue sotto questo segno di una “normalità” sinistra, nervosa. Proprio come quella che – a ben guardare – ci viene consegnata dal titolo un po’ surrealistico e dalla copertina dell’album, con quel gruppo di ragazze che sembrano fuori dal tempo e forzatamente sorridenti. Quasi da finale di Shining, con quella criptica foto in bianco e nero che chiude il film.

Non per niente il videoclip del brano è decisamente inquietante e decostruisce appunto la rappresentazione della placida vita dell’upper class californiana.

Lana Del Rey, dicevamo, è spesso meta-songwriting. Le sue canzoni riflettono, come uno specchio, circostanze e sensazioni della sua vita di ogni giorno. “It’s dark, but just a game / That’s what he would say to me”, versi d’apertura di Dark But Just a Game, riecheggiano proprio una frase che l’inseparabile produttore Jack Antonoff è solito ripetere.

Lana che parla di Lana, ma mettendo costantemente in discussione se stessa e l’ambiente che la circonda. “The best ones lost their minds / So I’m not gonna change / I’ll stay the same”, recita il ritornello. Di nuovo il lato oscuro del music business. O ancora: “The thing about bein’ on the road / Is there’s too much time to think”, da Not All Who Wander Are Lost. Immagini riflesse ma anche deformate: una casa degli specchi.

Ma c’è una via d’uscita, che comincia a palesarsi alla penultima traccia, Dance Till We Die. Come in White Dress, ecco un’altra enumerazione di ispirazioni artistiche di una vita: Joan Baez, Joni Mitchell, Stevie Nicks, Cory Wells (dei Three Dog Night). La chiave sta lì, lo è sempre stata. L’art pour l’art. Musica come liberazione ed estasi. Significativamente, l’ultimo brano è For Free, cover di Joni Mitchell che peraltro mostra una sorprendente omogeneità con lo stile lirico della stessa Lana. Forse anche per questo l’arrangiamento è mantenuto molto vicino all’originale. Nel corso delle undici tracce siamo passati attraverso una selva oscura di tremori emotivi per riveder le stelle sul finale, condotti quasi per mano da una Lana Del Rey che guarda dentro e intorno a sé a patto che poi lo facciamo noi a nostra volta.

Ascolta Chemtrails Over the Country Club di Lana Del Rey in streaming

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