Pop

Otis Redding: in memoria del Signor Commozione

Nell’autunno 1967 Otis Redding fece delle registrazioni che non diventarono mai un album: il 10 dicembre l’artista statunitense morì in un incidente aereo. Oggi quei nastri rivivono nel disco “Dock of the Bay Sessions”, in uscita per Rhino

Autore Alberto Campo
  • Il10 Maggio 2018
Otis Redding: in memoria del Signor Commozione

A metà maggio esce targata Rhino Dock of the Bay Sessions, raccolta delle registrazioni effettuate a Memphis da Otis Redding nell’autunno del 1967 con gli strumentisti di casa Stax capeggiati da Steve Cropper, chitarrista di Booker T & The M.G.’s. All’orizzonte c’era un long playing che avrebbe dovuto mettere a frutto le suggestioni e gli impulsi accumulati durante l’anno più esaltante della sua vita artistica. Com’è noto, il progetto non si sarebbe mai realizzato: la notte fra il 9 e il 10 dicembre l’artista statunitense morì in un incidente aereo.

Otis Redding
Otis Redding (© Atlantic Records)

Il disco – compilato da Roger Armstrong della Ace Records e dal biografo Jonathan Gould, con l’approvazione degli eredi – costituisce una sorta di simulazione di ciò che sarebbe potuto essere effettivamente, mettendo in sequenza dodici tracce già edite in vari tempi e modi, soprattutto nelle collezioni postume The Immortal Otis Redding (1968), Love Man (1969) e Remember Me (1992). Tra queste, la ballata strappalacrime I’ve Got Dreams to Remember (su testo ricavato rielaborando una poesia della moglie Zelma Atwood), quella dagli accenti quasi dylaniani Gone Again e il funk minimalista Hard to Handle, accanto a una versione struggente di Amen degli Impressions. Nelle note di copertina, il musicologo (e membro dei britannici Saint Etienne) Bob Stanley scrive: «Questo album è la prima indicazione di un nuovo Otis Redding, colui che aveva soggiogato le platee in Europa e conquistato un pubblico completamente nuovo al Monterey International Pop Festival».

L’apparizione al preludio della Summer of Love, dopo la mezzanotte di sabato 17 giugno, al culmine della seconda giornata, che già aveva offerto ai trentamila presenti le performance di Janis Joplin, Byrds e Jefferson Airplane, rappresentò l’apice di un anno magico per The Big O. Affiancato da Booker T & The M.G.’s e dalla sezione fiati dei Mar-Keys, Redding aprì il set con un’irruenta interpretazione di Shake di Sam Cooke, seguita da Respect (“La canzone che una ragazza mi ha portato via”, disse alludendo ad Aretha Franklin), I’ve Been Loving You Too Long, Satisfaction dei Rolling Stones e lo standard Try a Little Tenderness. Reduce da un’intensa tournée europea, aveva capito in che maniera rivolgersi a parterre composti in prevalenza da bianchi, lui abituato in precedenza ad avere di fronte spettatori neri. In un’intervista, Booker T rievocava così quello show capace di suscitare un’eco leggendaria: «Facemmo uno dei nostri concerti migliori. Il fatto che fossimo là era una specie di evento. Noi là? Con quella gente? Ci stavano accettando e questo toccò profondamente Otis: era felice di far parte di quella storia e di aver conquistato altro pubblico». Si trattava del suo ingresso nel mainstream, insomma. Oltre a ciò, essere immerso nel fermento giovanile che in quei giorni stava elettrizzando San Francisco, confrontarsi con gli argomenti della controcultura e ascoltare il rivoluzionario Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, in circolazione da un paio di settimane, contribuì a reindirizzarne il cammino musicale. L’album successivo avrebbe dovuto immortalare il nuovo corso.

Dal gospel ai Rolling Stones

Nativo di Dawson, in Georgia, Otis Ray Redding Jr. era il primo figlio maschio dei quattro avuti fino ad allora da Angela Cheers e Otis Redding Sr., che alla professione di mezzadro alternava le predicazioni in chiesa: la musica della sua infanzia fu dunque il gospel. Influenzato nello stile vocale da Little Richard e Sam Cooke, a 17 anni vinse per 15 settimane di fila il contest The Teenage Party e poco dopo entrò nella formazione degli Upsetters, il gruppo dello stesso Little Richard, appena convertitosi all’evangelismo. Facendo gavetta nel cosiddetto Chitlin’ Circuit (la rete di locali per neri all’epoca della segregazione razziale), si mise in luce grazie alla propria voce ruvida ma armoniosa e sensuale, debuttando discograficamente da solista nel 1960 con il 45 giri Gettin’ Hip. Quando venne scritturato dalla Stax, due anni più tardi, la sua carriera si predispose al decollo: il primo singolo per l’etichetta di Memphis, attraverso la sussidiaria Volt, fu These Arms of Mine, che insieme ai seguenti That’s What My Heart Needs e Pain In My Heart fornì l’ossatura all’album d’esordio, intestato come il terzo della serie e pubblicato nel gennaio 1964. Alla fine di quell’anno registrò il brano che nel marzo 1965 gli diede accesso ai Top 50 statunitensi: Mr. Pitiful, titolo mutuato dal soprannome – “Signor Commozione” – attribuitogli dal DJ radiofonico Moohah Williams. La medesima canzone suggellava il concomitante secondo long playing, The Great Otis Redding Sings Soul Ballads, cui a settembre si accodò Otis Blue, confezionato nel giro di 24 ore a inizio estate, avendo quale produttore – in tandem con il solito Cropper – Isaac Hayes, e destinato a divenire un classico della sua discografia, fra cover di grande effetto (Change Gonna Come e Wonderful World di Sam Cooke, My Girl di Smokey Robinson e Satisfaction degli Stones) e originali di qualità assoluta (su tutti, Respect).

Otis Redding
Otis Redding (© Atlantic Records)

Una stella cadente

L’idea di accostarsi al mondo del rock prese forma nell’aprile del 1966, con una maratona di sette appuntamenti in tre serate, da venerdì 8 a domenica 10, sul palco del Whisky a Go Go, celebre club di Los Angeles. Furono esibizioni che infiammarono i convenuti, fra i quali – in un’occasione – venne avvistato persino Bob Dylan, documentate integralmente nel 2016 dai sei CD del cofanetto Live on the Sunset Strip. A fine anno sarebbe andato in scena pure al Fillmore West di San Francisco, spalleggiato da Grateful Dead e Country Joe & The Fish. Bill Graham, il boss del locale, lo descrisse allora così: «Un Adone nero alto quasi un metro e novanta, in abito verde, con camicia nera e cravatta gialla, che si muoveva come un serpente, o una pantera che avanza verso la preda». Frattanto Otis Redding si era affacciato per la prima volta in Europa, comparendo dal vivo in settembre a Manchester e Londra, nonché nel popolarissimo show televisivo Ready Steady Go!, cosa che a dicembre gli permise di scalzare Elvis Presley dal vertice della categoria “migliore cantante uomo” nel poll del settimanale inglese Melody Maker. Ritornò in Gran Bretagna nella primavera dell’anno seguente, quale punta di diamante della Stax/Volt Revue (in cui figuravano anche Sam & Dave, Eddie Floyd e Booker T), con tappe supplementari a Stoccolma, Oslo e all’Olympia di Parigi (da quest’ultima derivò il Live in Europe edito in estate). La sua ascesa corrispondeva a quella dell’etichetta fondata da Jim Stewart, che a quel punto insidiava il primato della Motown.

Il destino lo attendeva al varco, tuttavia. Dopo aver completato gli impegni in agenda sabato 9 dicembre a Cleveland (un paio di concerti al Leo’s Casino e un cammeo nel programma televisivo Upbeat), Otis Redding e la sua band si imbarcarono su un aereo privato diretto a Madison, nel Wisconsin, dov’era in cartellone domenica 10 uno show al Factory. Avversato dalle cattive condizioni atmosferiche, il volo del bimotore Beechcraft H18 si concluse prematuramente nelle acque del lago Monona, a sei chilometri dall’aeroporto di arrivo. Insieme a lui persero la vita quattro componenti dei Bar-Kays, il tour manager e il pilota, mentre scampò alla morte in modo miracoloso il trombettista Ben Cauley. Meno di un mese più tardi uscì (Sittin’ on) The Dock of the Bay, gioiello plasmato nelle ultime sedute di registrazione: il 16 marzo quel 45 giri avrebbe conquistato in patria la vetta dell’hit parade, traguardo mai raggiunto precedentemente (ce l’avevano fatta due canzoni con la sua firma, Respect e Sweet Soul Music, per bocca di Aretha Franklin e Arthur Conley). In passato, nessun singolo postumo era salito tanto in alto. Nel tempo, al mondo, ha venduto oltre quattro milioni di copie.

Share:

PAOLOOO