Rock

In memoria del giovane Mark Lanegan

Un incontro al Bloom di Mezzago nel 1990 con un biondissimo Mark è l’omaggio che facciamo al compianto artista che scrisse pagine di musica memorabili già a inizio carriera sia da solista che con gli Screaming Trees

Autore Tommaso Toma
  • Il23 Febbraio 2022
In memoria del giovane Mark Lanegan

Mark Lanegan dal vivo al Reading Festival nel 2004 (foto di Stefano Masselli)

Ricordo la prima volta che incontrai Mark Lanegan. Era marzo del 1990 e fu anche probabilmente una delle mie primissime collaborazioni con Radio Popolare di Milano. Aspettavo quel concerto degli Screaming Trees con assoluto interesse. Mi ero già perso la loro prima data, sempre brianzola, al Bloom di Mezzago. Sì, proprio “quel” locale dove avevano suonato i Nirvana con i Tad esattamente un anno prima. Avevo quasi tutte le produzioni della band, perché gli Screaming erano già un gruppo di grande rilievo nella scena rock alternativa USA.

A scanso di equivoci, gli Screaming Trees furono davvero degli antesignani della scena di Seattle degli anni ’90. Il loro sound si emancipava totalmente dalle garage band che avevano imperversato nella scena alternativa della West Coast e facevano riemergere quella matrice rock che apparteneva al loro conterraneo Jimi Hendrix, “sporcando” la frenesia del grande chitarrista con le lezioni dell’hard rock.

Una miscela esplosiva che avrebbe poi alimentato a breve tutta la generazione grunge. Incidevano all’epoca per la SST e adoravo già i loro primo album come Even If and Especially When e Invisible Lantern. Arrivarono al Bloom per presentare il loro ultimo album per la SST, Buzz Factory.

L’incontro, tra Céline, Tim Hardin e la prospettiva di un futuro roseo

Riuscii a conversare con Mark Lanegan prima del concerto. Il locale aveva una libreria/discoteca molto piccola ma interessante e Mark aveva in mano una copia sdrucita di Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline.

La cosa mi stupì. Quello era uno dei libri che da adolescente mi avevano disturbato e attratto nello stesso tempo e alla fine successe che a Mark quasi non feci neanche una domanda sulla sua musica. Ero appena ventenne, mi interessava fare radio, vedere più concerti possibile e incontrare gente simile a me.

Fu per questi motivi che la nostra conversazione fu informale, leggera e senza fini specifici. Mark mi disse stranamente come prima cosa che amava la luce del nostro Paese che cozzava con il grigiore delle giornate uggiose dello stato di Washington. Gli consigliai di farsi una vacanza nel sud Italia per capire la differenza con la luce brianzola.

Ironizzava sulla “fatica” di fare tour con pochi soldi in tasca, ma almeno potevano ubriacarsi e fare altro… in luoghi che non conosceva, e la cosa lo affascinava. Mark parlava piano. Aveva un viso particolare, non lo avresti mai scambiato per un giovanotto di Venice. S’intravedeva un turbamento che non si confaceva con chi passava il tempo a fare surf, anche se avrebbe avuto il fisico per farlo e con quei suoi bellissimi lunghi capelli biondi. Mi distraevano continuamente. Mi facevano venire in mente alcuni amici di famiglia stranieri che arrivavano nelle estate degli anni ’70, bianchissimi nella pelle e con i capelli selvaggi, giusto il tempo per recuperare tono e calore nelle nostre spiagge.

Alla fine fu Mark Lanegan a farmi una raffica di domande: hai mai visto i Nirvana dal vivo? Ti piacciono i dischi dei Gun Club? E mi chiese se avessi mai sentito parlare di Tim Hardin, lo adorava e studiava le sue canzoni. Gli dissi di no, non sapevo chi fosse, avrei dovuto aspettare un viaggio a Londra qualche anno più tardi per comprare i suoi vinili. Ma gli rivelai il mio entusiasmo per i suoi amici Nirvana. Prima che qualcuno lo “richiamasse al lavoro” mi disse che era felice perché con la band avevano firmato un contratto con una major e forse i soldi in tasca sarebbero diventati di più. Proferì queste parole con un’eleganza tale che mai avrei pensato di fraintendere la sua battuta.

Mark Lanegan, i migliori lavori della giovinezza

Vi consiglio di riscoprire il primo Mark Lanegan. Anche se alcuni di voi saranno rimasti scioccati dalla crudezza delle sue memorie Sing Backwards and Weep (tradotto in Italia dalla casa editrice Officine di Hank), troverete calore e musica incredibile in alcuni suoi lavori con gli Screaming e da solista.

Riscoprite Invisible Lantern (SST, 1988), adorerete anche le chitarre del possente Gary Lee Conner, che tramava riff mai docili al primo ascolto ma le canzoni possedevano melodie ispirate con reminiscenze persino degli Stones e dei Cream (She Knows). E poi c’è la stupenda Night Comes Creeping. L’album seguente Buzz Factory (SST, 1989) è più accessibile ma rimangono alterate le caratteristiche della band: la muscolarità delle fonti hard rock e quelle ballate segnate dal tono baritonale della voce di Mark.

Queste coordinate convergeranno verso un’attitudine più “pop” con il comunque magnifico primo album per la Epic, Sweet Oblivion (1992), con Barrett Martin al posto di Mark Pickerel alla batteria e con la prima canzone conosciuta dal grande pubblico, Nearly Lost You (soprattutto grazie al fatto che era contenuta nella colonna sonora del film Singles, una sorta instant movie paraculo sul grunge), dove Lanegan canta quasi come recitasse un gospel. Melodia gospel su un rumoroso jamming degno di Cream e Blind Faith.

Se volete conoscere l’anima più intimista del primo Mark Lanegan, perdetevi nelle tracce dei suoi primi stupendi album da solista.

Winding Sheet è uno degli album più belli del 1990, accompagnato da Jack Endino al basso, Mark Pickerel (degli stessi Screaming Trees) alla batteria, Mike Johnson (Dinosaur Jr.) alle chitarre e Steve Fisk alle tastiere.

Ma in molti si ricordano della presenza anche di due Nirvana nell’album (Cobain e Novoselic). Lanegan nella veste da solista diventa un tenebroso esistenzialista. La sua voce ancora non distrutta dal tempo e dalle conseguenze di overdose di eroina è si scura ma vellutata. Ricorda il David Crosby più psichedelico. Un Nick Drake senza la sua grazia bucolica. Ma ci sono alcune obliquità che ricordano Syd Barrett. E poi c’è il blues magnifico di Lead Belly nella sua versione bellissima di Where Did You Sleep Last Night che poi Cobain e compagni riprenderanno anche loro nel celeberrimo album unplugged per MTV. E infine riscoprite anche i successivi album: Whiskey for the Holy Ghost e Scraps at Midnight.

Ricordo ancora una cosa di quel concerto al Bloom. Sopra le teste degli Screaming Trees per tutta la durata del concerto campeggiava un’enorme striscione con scritto ПЕРЕСТРОЙКА, ovvero Perestrojka. Già, anche quella Russia non c’è più…

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PAOLOOO