Le “Bollicine” di Vasco compiono 40 anni: cinque curiosità sul disco che ha cambiato la sua carriera
Il 14 aprile 1983 il rocker di Zocca pubblicava l’album che lo ha consacrato. Ecco cinque cose che forse non conoscevi
Il 14 aprile 1983 usciva Bollicine, l’album con cui Vasco Rossi va davvero al massimo e diventa una (rock)star da roxy bar, da vita spericolata e da primo posto in classifica. Il disco esce due mesi dopo la sua seconda e ultima esibizione a Sanremo, conclusasi peggio della prima. Cioè con un’altra polemica (dopo quella del famoso microfono in tasca) e la penultima posizione in classifica. Davanti solo a Pupo e dietro a tutti gli altri, compresi i giovani.
Poco male per “il Blasco”, come viene amichevolmente chiamato il rocker di Zocca -“l’unico vero rocker italiano” dirà Fabrizio De André – che avrà modo di rifarsi proprio con la pubblicazione di quest’album. Che venderà oltre un milione di copie e lo consacrerà a livello nazionale. Un disco trainato da quella Vita Spericolata, tanto bistrattata a Sanremo quanto apprezzata fuori dall’Ariston dalla gente che i dischi li compra(va) e li ama(va) veramente.
Oltre a quella, che è probabilmente la canzone della vita di Vasco Rossi, nel senso che proprio incarna la sua vita del momento, cristallizzandola nel tempo, l’album contiene anche altre due hit (quella che dà il titolo all’album e Una canzone per te, che è la versione adulta di Albachiara). Unitamente ad altri cinque brani meno noti ai più, che però non mancano di stupire nei suoni e provocare nei testi.
La provocazione era un po’ la cifra stilistica predominante del primo Vasco. Ma come nota Andrea Pedrinelli nel suo libro, la sua non era mai una provocazione fine a sé stessa. «Le sue canzoni, anche le meno sentite, suonavano comunque lucidamente sarcastiche. Erano un mezzo per colpire un obiettivo e non solo per provocare in sé e per sé». Ecco allora cinque curiosità sul disco della consacrazione definitiva di Vasco Rossi.
1. L’esibizione di Vasco Rossi con “Vita spericolata” a Sanremo
Vita spericolata segna un inatteso ritorno dell’artista al Festival di Sanremo ’83, dopo l’incauto episodio del microfono dell’anno precedente. Fatto ascoltare al patron del Festival, Gianni Ravera, tramite un sotterfugio, il brano viene selezionato a patto che il ragazzo venga tenuto d’occhio. Ma certamente. L’ultima sera Vasco sale sul palco, canta tutta la canzone con le mani in tasca e riserva per il finale il suo coup de théâtre. Abbandona il palco mentre la base sta ancora andando e svela così, a chi ancora non lo sapesse, che le canzoni sono cantate in playback. È la metafora della magia di Vasco Rossi che mentre fa il suo trucco ne svela un altro. Anni dopo dichiarerà «Mi sono ispirato a Wim Wenders, che fa finire i suoi film con l’inquadratura fissa e la musica». Un cantante che pensa come un regista e agisce come un attore. Questo è il Vasco del 1983.
La canzone è stata spesso accusata di incarnare il menefreghismo e l’edonismo degli anni ‘80. Mentre per Vasco era soprattutto un modo per fronteggiare l’arrivismo sociale di quegli anni. «C’era allora la mentalità del lavoro garantito, in banca, da statali. Io invece sognavo, anzi pretendevo una vita piena di avventure, di rischi, di sorprese, di incognite, insomma una vita vissuta intensamente. Era una fuga dalla realtà necessaria nel periodo dell’arrivismo, dei paninari, del craxismo. Di una Tangentopoli ancora non emersa a livello di opinione pubblica».
2. Il Roxy Bar è un luogo della mente e non il bar di Bologna
I versi li conosciamo tutti. Non tutti sanno però a cosa si riferisca veramente il Roxy Bar. Molti pensano che si tratti di un bar di Bologna che si trova sotto i portici al numero 9 di Via Rizzoli. Ma in realtà è più un luogo dell’anima che un luogo fisico. Il riferimento diretto va al Roxy Bar cantato da Fred Buscaglione nel brano Che Notte.“Che notte, che notte quella notte, se ci penso mi sento le ossa rotte. Mi aspettava quella bionda che fa il pieno al Roxy Bar, l’amichetta tutta curve del capoccia Billy Karr”.
L’altro riferimento, ancora più difficile da cogliere, è quello della morte, che è sottile ma c’è. Il Roxy Bar è un aldilà immaginario e la morte che più di tutte immagina Vasco in quel momento è quella dell’amico d’infanzia Mario Giusti, allora tossicodipendente. «L’avevo in mente, mentre nacque il pezzo. Si stava distruggendo con le ‘pere’, un viaggio che ha fatto per cinque anni. E quando scrivo che ci ritroveremo o meno al Roxy Bar inizialmente mi rivolgo a lui, fra speranza, augurio e paura. Poi procedendo nella scrittura mi sono reso conto che il Roxy Bar era un omaggio a Buscaglione e per me è diventato l’aldilà come luogo in cui un giorno ci ritroveremo tutti. Un luogo della mente e non certo il bar di Bologna di allora».
Con Vasco il Roxy Bar entra a far parte del nostro immaginario, tant’è che Red Ronnie ci intitolerà il suo programma su Videomusic e persino Gino Paoli, nel 1991, raccontando dei suoi Quattro amici al bar, lo citerà nel finale del brano, riprendendo i versi di Vasco.
3. “Bollicine” di Vasco Rossi contro la pubblicità
Per quanto riguarda la title-track, Vasco Rossi – che in passato è stato spesso il miglior critico di sé stesso – l’aveva definita così. “Una critica sarcastica, ironica, impietosa e inedita. Che attraverso un’orecchiabile ma irriverente parodia, avevo mosso all’intera, potente, intoccabile, incontrastabile e sacra industria pubblicitaria”.
Il brano è a tutti gli effetti una presa in giro degli spot pubblicitari dell’epoca. Oltre alla Coca Cola, menzionata nel ritornello con una pausa tattica usata per alludere alla cocaina, ci sono altri riferimenti a vari slogan come quello del deodorante Denim (‘Per l’uomo che non deve chiedere mai’), della birra (“E sai cosa bevi), fino a quello della Vespa Piaggio. Trasformata in un’altra allusione alla droga da “Chi vespa mangia le mele” a “chi non vespa più si fa le pere” nella versione live. Ballando sempre sul filo dell’allusione Vasco sta facendo una critica durissima. La pubblicità è come una droga.
La sua presa di posizione in proposito è molto netta. «A noi degli anni ’70 sembrava vergognosa la pubblicità che faceva nascere nuovi bisogni. Come se la gente non ne avesse già abbastanza. Era vergognoso anche veicolare nella pubblicità messaggi sbagliati, la famiglia perfetta, la donna perfetta. Qualcosa che ti fa sentire inadeguato perché non sei così».
4. Un disco contro
Ma la pubblicità non è l’unico bersaglio di Vasco. Bollicine può essere considerato fondamentalmente un “disco contro”. Nello specifico quasi tutte le canzoni “minori” dell’album, cioè quelle che non hanno raggiunto la stato di classico, si scagliano contro qualcosa.
Portatemi Dio va contro la morale cattolica (Metteteci Dio / Sul banco degli imputati / E giudicate anche lui). Deviazioni contro le convenzioni sociali (Quante deviazioni hai / Quante, dai, non dirmi che non ce n’hai!). Giocala contro il maledetto orgoglio personale (Corri e fottitene dell’orgoglio. Ne ha rovinati più lui che il petrolio). Fino ad arrivare a Ultimo domicilio conosciuto, che non è neanche una canzone di Vasco vera e propria, ma più un divertissement contro la chiusura delle radio libere a cui Vasco era molto legato, avendo iniziato come Dj. L’incipit del brano non è altro che il radiogiornale dell’annuncio con cui il pretore di Bologna ordinava la disattivazione dei ponti radio delle emittenti private.
5. Una canzone per te, ma anche per tutti gli altri
Una canzone per te è l’Albachiara del disco. Non solo perché si tratta di una ballata spacca cuore, ma anche e soprattutto perché è dedicata proprio alla stessa ragazzina di Albachiara, che adesso è diventata adulta. La canzone la (in)segue da tempo, ma lei la rifugge (e infatti scappi via). Non ci si riconosce (ma tu non ti ci riconosci neanche), forse perché nel frattempo è diventata grande e non più così innocente (lei è troppo chiara e tu sei già troppo grande). Ma in realtà è rimasta la stessa di sempre e il suo comportamento non fa altro che confermarlo (sorridi e abbassi gli occhi un istante e dici non credo di essere così importante).
Il brano si apre con un arpeggio di chitarra di Dodi Battaglia che ormai fa parte del dna della nazione. Per poi diluirsi in un sax che fa da sfondo onirico allo sviluppo della canzone. La grandezza del pezzo sta tutta nel finale. Una dichiarazione d’amore a una ragazza che diventa una dichiarazione d’amore alla canzone stessa – albachiara, così pura e profonda da nascere da sola come un sogno che poi svanisce e non si ricorda più. Ma per fortuna Vasco queste canzoni le ha scritte. E dopo 40 anni noi ce le ricordiamo ancora.
Articolo di Andrea Pazienza