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Linkin Park, 20 anni di “Hybrid Theory”: «Non ci sentivamo nu metal, non volevamo essere incasellati»

In occasione del ventesimo anniversario dello storico album d’esordio, la band che fu di Chester Bennington pubblica una riedizione ricca di contenuti speciali

Autore Billboard IT
  • Il30 Settembre 2020
Linkin Park, 20 anni di “Hybrid Theory”: «Non ci sentivamo nu metal, non volevamo essere incasellati»

Foto di Brad Miller

Tre anni fa, precisamente il 20 luglio 2017, ci lasciava Chester Bennington, frontman dei Linkin Park e uno dei più talentuosi cantanti rock della sua generazione. Non scompariva però l’eredità artistica lasciata da tanti anni di musica pubblicata dalla band, che con il proprio personalissimo mix di metal, rap, elettronica (e, più avanti, anche pop) avrebbe contribuito a quell’abbattimento delle barriere fra generi diversi che caratterizza la musicalità “fluida” di molti artisti di successo oggi. Un approccio che i Linkin Park hanno messo in atto sin dal loro esordio, con il fortunatissimo primo album Hybrid Theory, di cui a ottobre cade il ventennale e che per la ricorrenza vede l’uscita di una riedizione ricca di contenuti speciali.

Hybrid Theory conteneva già diversi pezzi diventati poi classici del rock moderno (Papercut, Crawling, In the End) ma era soprattutto un album solido nella sua identità di suono – nonostante le ispirazioni così variegate – che i fan adorarono subito, a prescindere dall’hype per le singole hit. Generalmente considerato parte del filone nu metal (erano gli anni dell’esplosione commerciale del genere), nelle intenzioni della band voleva essere un disco non piantato nel presente ma proiettato verso il futuro. E qualsiasi etichetta di genere, come ci confermano durante la conferenza stampa di presentazione della riedizione, gli è sempre andata stretta.

I formati di Hybrid Theory 20th Anniversary Edition

La Hybrid Theory 20th Anniversary Edition includerà demo inedite risalenti a quell’era, rarità, B-side, DVD, più di 95 minuti di filmati mai visti e altri extra. La ristampa sarà disponibile in diversi formati: Super Deluxe Box, Vinyl Box Set, Deluxe CD e in digitale. Questa raccolta si distingue come il primo box set di Hybrid Theory. La release è stata anticipata dalla pubblicazione dell’inedito She Couldn’t, una demo risalente al 1999.

La Limited Edition Super Deluxe Box consiste in cinque CD: l’originale Hybrid Theory, l’album doppio platino Reanimation, B-Side Rarities con 12 tracce inedite di quell’era, LPU Rarities con 18 tracce circolate finora solo nel fan club Linkin Park Underground e Forgotten Demos con 12 tracce inedite. Comprende anche tre DVD: una replica dell’originale Frat Party at the Pankake Festival, Projekt Revolution 2002 che contiene un’ora di filmato mai visto del live di Las Vegas e San Diego e un altro live DVD con gli interi concerti del The Fillmore 2001 a San Francisco e Rock am Ring 2001 in Germania. Include anche diversi vinili: l’originale Hybrid Theory (1 LP), Reanimation (2 LP), e l’Hybrid Theory EP, disponibile per la prima volta in vinile. Oltre a una riproduzione in cassetta, i fan riceveranno anche un libro illustrato di 80 pagine con contributi dalla band e fotografie inedite, oltre al laminato del tour e un poster oversize di Chester Bennington.

L’Hybrid Theory Vinyl Box Set comprende l’originale Hybrid Theory (1 LP), Reanimation (2 LP) e B-Side Rarities (1 LP). Questo sarà l’unico formato a includere un vinile di B-Side Rarities. Il Deluxe CD presenta invece l’album originale e B-Side Rarities con un booklet di 16 pagine.

Hybrid Theory, l’inizio del viaggio dei Linkin Park

«Hybrid Theory è stato l’inizio non solo della nostra carriera ma del nostro viaggio», ha detto Joe Hahn, DJ della band, collegato in video-conferenza. «Ci è voluto molto per arrivare a quel punto, per avere l’opportunità di andare in studio e fare un album vero e proprio. Dopo quello, abbiamo iniziato ad avere il nostro van, un ingegnere del suono, un tour manager, diversi roadie… Ci si è aperto il mondo. Avevamo molte cose da imparare, soprattutto capire quando dovevamo prenderci seriamente e quando fosse meglio evitarlo. È una cosa che stiamo capendo ancora oggi».

E ha continuato: «Ascoltare i pezzi in radio per la prima volta, sapere che sempre più persone ascoltavano la nostra musica, suonare per pubblici sempre più grandi, fare videoclip e finire su MTV, poter viaggiare e incontrare persone di tutto il mondo… Sono cose che hanno completamente cambiato le nostre prospettive. E la cosa grandiosa è che l’abbiamo fatto come band: ci siamo evoluti insieme».

L’influenza sugli artisti più giovani

«Spesso mi capita di parlare con artisti che si ritengono influenzati dalla musica dei Linkin Park e, per qualche motivo, la maggior parte delle volte ne rimango sorpreso», ha raccontato il vocalist Mike Shinoda. «Per esempio, ricordo di aver chiacchierato con alcuni dei ragazzi dei Brockhampton. Dom McLennon, in particolare, mi raccontava come Hybrid Theory fosse uno dei suoi cinque album preferiti di sempre e avesse influenzato la loro musica. Al che gli ho detto: “Come, sul serio? Nel vostro stile non c’è neanche l’1% di Hybrid Theory…”. Ma mi ha ricordato quello che tanti altri artisti mi hanno detto: cioè che magari ascoltavano solo metal o solo rap e quello è stato l’album che li ha esposti all’altro “lato”. All’epoca, quando chiedevano a noi cosa ascoltassimo, dicevamo Portishead, The Roots, Aphex Twin, Deftones… Oggi, quando ascolto nuova musica, sento quell’organica miscela di tanti stili diversi e sono molto orgoglioso di aver contribuito a favorire quelle contaminazioni».

I Linkin Park nel 2001 (foto di James Minchin)

La loro canzone preferita dell’album

«Per me Papercut doveva essere la prima traccia dell’album perché riassumeva tutto ciò che ci stavamo sforzando di fare», risponde Shinoda quando viene chiesto loro quale sia la loro traccia preferita dell’album. «Era la migliore versione di noi in termini sia di hip hop che di rock. La ritmica era di ispirazione essenzialmente jungle, in linea con la musica elettronica in voga in quel periodo. E poi ha uno dei pochi ritornelli rappati da Chester».

Dello stesso avviso è il chitarrista Brad Delson: «Mi piace la risposta di Mike. Ma ci sono così tanti ottimi pezzi nell’album… È per questo che il pubblico lo ha amato, perché non ci sono soltanto tre singoli forti ma ogni pezzo gioca un ruolo importante».

«Per molto tempo io non ho amato One Step Closer, non perché non mi piacesse il pezzo, ma perché mi ero stancato di ascoltarla e suonarla a ripetizione…», confessa Joe Hahn. «Ma nel tempo è diventata una delle mie preferite. Anch’io amo Papercut, comunque».

Il bassista Phoenix invece fa una piccola rivelazione: «Inizialmente avevamo anche una traccia di solo basso che si sarebbe dovuta intitolare Very Basic, ma poi non la mettemmo nella tracklist finale. Quello sarebbe sato il mio pezzo preferito!».

Hybrid Theory era un disco nu metal?

«All’epoca in cui uscì ci saremmo ribellati a quella definizione», risponde deciso Phoenix quando gli viene chiesto se si considerassero parte della fiorente scena nu metal di quegli anni. «Semplicemente perché non ci piaceva l’idea di essere incasellati. Nu metal, metal, hip hop, alternative rock: al di là dei nomi, non c’era nessuna categorizzazione che mi soddisfacesse. Le categorie sono utili al limite per identificare artisti affini che ti possono piacere. Non avevo – e non ho – interesse a essere considerato parte di una “scena”. Ho sempre amato l’idea di band completamente aperte dal punto di vista creativo, del tipo: “Facciamo questo, e speriamo che piaccia ai fan. Noi creiamo il sound che vogliamo, senza restrizioni”. Tutte le band che ammiro hanno avuto quell’approccio».

Ascolta l’inedito She Couldn’t

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