Suede, l’orgoglio dell’autenticità: intervista a Brett Anderson
I Suede hanno pubblicato un nuovo album ricco di novità in fase di produzione: “The Blue Hour”, opera seducente e disturbante
Qui in redazione succedono curiosi incroci e, come potrete notare leggendo quest’intervista e quella con Danny Goffey, è aleggiato un certo spirito del britpop in qualche modo presente in città visto che Milano è stata di recente la protagonista di un’edizione degli I-Days decisamente nostalgica del rock anni ’90. Ma parlando con i due protagonisti di questo “spirito”, ecco presentarsi – nel tono della voce e nello sguardo – un evidente distacco per quell’epoca, quando la terra d’Albione forgiò l’ultima, potente ondata di rock band. Eppure qualche giorno dopo Brett Anderson, frontman dei Suede, e Danny Goffey si sono ritrovati sullo stesso palco: Brett sculettava magnificamente mentre cantava Pumping on Your Stereo dei Supergrass.
Non dovremmo considerare l’evento come un liberatorio divertissement tra due protagonisti di quell’epica stagione? Di sicuro un episodio rilassante dopo che Brett ha passato gli ultimi due anni a scavare, talvolta dolorosamente, nella memoria e nei ricordi più lontani, fino ai tempi della vita con i propri – complicati, eccentrici, provinciali – genitori, per lambire i primi baci e le prime esperienze musicali. E come farebbe qualsiasi artista, Brett Anderson ha trasformato i suoi ricordi in qualcosa di fruibile per chiunque, anche se “conditi” da un tocco agrodolce: attraverso un libro autobiografico, Coal Black Mornings (si spera in una traduzione felice da noi), e un nuovo album ricco di novità in fase di produzione, The Blue Hour. Entrambe opere seducenti e disturbanti: in fin dei conti i giusti elementi per toccare le corde emotive di quei milioni di misfits e sognatori, ovvero la base storica del fan club dei Suede.
Mi hanno sempre colpito l’eleganza delle immagini da voi scelte per le copertine, dai lavori scintillanti di Peter Saville all’immagine della ragazza sospesa in un’acqua buia di Night Thoughts. Però vedendo l’immagine di The Blue Hour emerge un senso di desolazione che mai mi avete suscitato. L’ho trovata molto forte questa scelta.
È funzionale. Con questa copertina, dove vedi raffigurato un ragazzino in un contesto di degrado, vogliamo davvero suscitare un senso di disperazione e tristezza. Il momento in cui la foto è stata scattata – quel momento in cui il sole è sotto l’orizzonte: non è giorno ma ancora non è arrivata la sera – è la perfetta descrizione del titolo del nostro nuovo lavoro. Così tutto converge perfettamente nel creare una narrazione visiva per quel preciso mood che avevo in mente.
Prendo spunto dal fatto che parli di “narrazione”: il fatto che questo album sia il compimento ideale di un percorso iniziato nel 2013 con Bloodsports, e poi con il notevole Night Thoughts, mi fa pensare che siete diventati una band “matura”, intendo dire con una cifra stilistica complessa, articolata. Che ne pensi?
Mi piacciono gli album “complessi”, ora abbiamo molta più esperienza rispetto a prima ed è vero, c’è una sorta di continuazione fra i tre dischi. In effetti siamo arrivati a comporre quello che si definisce una trilogia. La cosa che li unisce ulteriormente è proprio il metodo con cui ci mettiamo al lavoro. Non è solo stare dentro un grande studio di registrazione e incidere ma passare più tempo per la scrittura altrove. Adoro la disciplina che ci vuole per realizzare un disco articolato: ho speso molto tempo per ritagliare con cura e attenzione ogni tipo di dettaglio. Con il tempo ho capito che lavorare così mi piace molto, anche perché ora sono uso a mio vantaggio l’esperienza. È vero anche che non abbiamo più l’energia dei vent’anni: ora subentrano nuove attenzioni e priorità. Sono certo però che per il prossimo album faremo qualcosa di diverso, un ulteriore passo nel cammino della nostra produzione.
A proposito di dettagli: per The Blue Hour fate utilizzo di stratagemmi narrativi che rendono ulteriormente questo album una sorta di concept; poi ci sono sono novità per voi come delle registrazioni d’ambiente e degli inserti recitati. Sono trucchetti che appartenevano alla musica prog!
Il prog per me è una parolaccia! Proprio non mi piace come genere (ride e s’infervora, ndr), così ti rispondo che non è un concept album! E poi il contrasto con il prog è fortissimo perché solitamente quegli album sono quieti, rilassanti, spesso autocelebrativi… Il nostro disco ha un qualcosa di disturbante e possiede momenti di nervosismo che non appartengono proprio al genere prog.
Dimmi di più invece su un’altra piacevolissima novità che si sente ascoltando l’album, ovvero gli interventi orchestrali: sono bellissimi e devo dire che la tua voce si adatta felicemente a questo tipo di arrangiamenti.
Non abbiamo pensato alle canzoni in funzione di un intervento orchestrale e penso che il disco senza gli archi non sarebbe drasticamente diverso. Diciamo che il sound di The Blue Hour non dipende dall’orchestra, ma di sicuro l’uso corretto di un’orchestra ha creato un effetto molto potente sulle nostre composizioni.
Avete pubblicato come primo singolo The Invisibles, una scelta coraggiosa: è un brano poco radiofonico, anche se molto potente grazie anche alla presenza di Craig Amstrong, un ritorno per i Suede.
Sì, è davvero una scelta un po’ inusuale… ma abbiamo scelto The Invisibles perché offre tanti riferimenti alla profondità del disco, del lavoro dettagliato di cui ti parlavo prima. É difficile scegliere i singoli e spesso succede che la canzone scelta non trasmetta le reali intenzioni estetiche di un intero album. È successo un po’ anche con Night Thoughts, anch’esso una produzione ricca e complessa, mentre i singoli erano le classiche rock song alla Suede. E comunque qui nel Regno Unito le stazioni radio l’hanno trasmessa. Se non è entrata in heavy rotation non importa, perché è probabile che abbiamo guadagnato con questo brano l’attenzione delle persone che hanno scoperto un lato dei Suede un po’ diverso. Ed è esattamente quello che vogliamo adesso!
Comunque le classiche rock song alla Suede non mancano in questo album. Penso a Life Is Golden ma sopratutto a Don’t Be Afraid If Nobody Loves You, potente e con quei passaggi in falsetto tipici del tuo cantato.
Penso che ormai i Suede abbiano tanti aspetti da mostrare. Di sicuro non si può fare la stessa cosa ancora e ancora… (ride, ndr) Bisogna rimanere eccitati e all’erta!
Ti ho già provocato nominando il genere prog… In una tua intervista sul New Musical Express hai detto che la musica mainstream non ti interessa. Ma il mainstream non è un concetto mutevole? Cosa intendi esattamente con quella dichiarazione?
Intendi cosa sia il mainstream per me? Mah, sarà la musica trap e la dance più facile… Io non mi connetto mai con qualsiasi forma di mainstream che sia musicale o televisivo: mi annoia ed è senza contenuti. Certo, anni fa eravamo parte di un movimento di cui tutti i media si occupavano, ci dovevo avere a che fare con il mainstream… Ma ora non più: è un vero sollievo, anzi ti confido che ne sono felice! E se nel lavoro dei Suede ci fosse anche la minima traccia di flirt con l’essere mainstream, sarebbe qualcosa di triste!