Musica

Da Guccini ai Joy Division, dieci canzoni per non dimenticare la Shoah

Da Guccini a De Gregori, fino a Leonard Cohen e i Joy Division, nove autori e dieci brani per la Giornata della Memoria

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il27 Gennaio 2022
Da Guccini ai Joy Division, dieci canzoni per non dimenticare la Shoah

Foto Pixabay

È un Giorno della Memoria, questo del 2022, in cui non dimenticare è un compito particolarmente difficile. Siamo sollecitati da tante notizie, quasi sempre problematiche e le strade fisiche e virtuali risuonano di troppe voci. L’arte, come sempre, può darci una mano a tenere vivo il nostro legame emozionale col passato e la nostra voglia di imparare dagli errori. Oggi è nelle sale Il Senso di Hitler, film di Petra Epperlein e Michael Tucker, ed esce il libro-testimonianza di Lidia Maksymowicz La bambina che non sapeva odiare. E c’è anche, non meno importante, la musica. Abbiamo pensato a nove autori e dieci canzoni. Dieci diversi modi di interpretare e attualizzare la storia. Per non dimenticare la Shoah.

Franco Battiato – Il Carmelo di Echt

È una delle canzoni più belle mai scritte sul tema della Shoah. Ci ricorda una volta di più della grande arte e sensibilità di Battiato, ed è dedicata ad una donna. Racconta di Edith Stein, l’ebrea convertitasi al cattolicesimo e divenuta suora carmelitana nel convento di Echt. Fu trovata dai nazisti e deportata ad Auschwitz. Edith è simbolo di forza e di capacità di resistere. Il suo “desiderio di cielo”, a dispetto dell’odio e dell’orrore, si mantiene puro. Come in altre occasioni Battiato canta la forza, gentile ma invincibile, della pace interiore. E la vicenda della Stein diventa meditazione universale sull’essere umano

Joy Division – No Lost Love

Anche dietro questa canzone c’è una vicenda realmente accaduta. Yahiel De Nur, con lo pseudonimo di Ka-Tzetnik 135633, ha raccontato la sua esperienza del campo di concentramento nel romanzo La casa delle bambole, al quale il pezzo è ispirato. Al tempo in cui la canzone fu scritta, il gruppo di Ian Curtis si chiamava ancora Warsaw. In seguito, assumerà il nome Joy Division, traduzione del tedesco Freudenabteilung. Così si chiamavano le baracche del piacere nei campi di concentramento. Il pezzo va molto oltre il misto generico di attrazione e repulsione che i giovani musicisti, inglesi e non, dei primi anni Ottanta provavano nei confronti dell’estetica totalitarista. È oscuro ed essenziale, molto new wave, ma raggiunge anche accenti di reale empatia.

Lou Reed – Good Evening Mr Waldheim

Non in molti sanno che il vero nome di Lou Reed era Lewis Allan Rabinowitz e che la sua famiglia era di origine ebreo-russe. Il rapporto di Lou, fondatore dei Velvet Underground e vera icona del rock, con le proprie radici ebraiche fu controverso e affiora di rado nei suoi pezzi. Però furono queste radici l’elemento comune con una delle figure di spicco del ‘900, lo scrittore e poeta Delmore Schwartz, suo professore universitario. La canzone è una violenta invettiva contro Kurt Waldheim, nominato segretario dell’Onu, nonostante i sospetti trascorsi nazisti. Il testo è però soprattutto da intendersi come una reazione indignata ad ogni forma contemporanea di antisemitismo.

Leonard Cohen – Story Of Isaac

La Shoah resa canzone con la potenza espressiva di un sentimento provato nell’intimità. L’album di cui la canzone faceva parte era Songs from a Room. E davvero le radici ebraiche di Cohen abitano una stanza remota, da qualche parte, vicino al cuore. Proprio come in un libro della memoria, il sacrificio di Isacco viene raccontato alla stregua di esperienza vissuta. Leonard è insieme Isacco e i bambini sacrificati dalle SS e da quella posizione coglie la differenza fra Abramo e i nazisti. Durante i concerti di Cohen l’esecuzione di questo pezzo si accendeva gradualmente in un crescendo di rispetto ed emozioni. Lui intanto cantava parole profonde e dirette, di quelle che lasciano il segno: “Voi che costruite questi altari/Per sacrificare i bambini/ Non dovrete farlo mai più/ Uno schema non è una visione/E voi non siete mai stati tentati/da un demone o da un dio”. Ovvero La banalità del male.

Baustelle – Il Finale

Fa parte di Fantasma, il disco a tutt’oggi più ambizioso e solenne del gruppo di Montepulciano. Un album molto amato dai fan dei Baustelle. Le canzoni si misurano tutte con temi importanti e mettono in musica una ampia stratificazione di suggestioni e riferimenti. Questa canzone è ispirata a una storia vera, accaduta ad Olivier Messiaen, nel campo di lavoro nazista a Görlitz. Il 5 gennaio 1941, il compositore francese suonò una sua composizione Quatuor pour la fin du temps davanti a un pubblico di guardie e prigionieri per ordine dei nazisti. Il testo risuona di parole d’amore intensissime. Per una donna, per la musica, per la vita.

Leonard Cohen – Dance Me To The End Of Love

Vicina alle tematiche del Finale dei Baustelle e del Carmelo di Echt di Battiato è questa splendida canzone, scritta da Leonard Cohen nel 1984. È la storia di un quartetto d’archi costretto a suonare in prossimità dei forni crematori e a fare da colonna sonora alla morte dei loro stessi compagni. La musica nel campo di concentramento viene dunque degradata al rango di espediente per ritardare il giorno della fine e di strumento di crudeltà. Anche in queste condizioni di dolore e abiezione i componenti del quartetto riescono a difendere l’amore per essa fino all’ultimo. Ed è così che riescono a tenere per sé l’ultima parola. Quella della dignità.

Tra i brani per non dimenticare la Shoah anche Auschwitz di Guccini e Khorakhané  di De Andrè

Francesco De Gregori – Numeri da scaricare (2005)

“C’è odore di bruciato E bambini soldato sepolti in piedi C’è odore di bruciato
E bambini soldato sepolti in piedi Puoi pure non guardare. Ma non è possibile che non vedi”.

Il messaggio di Francesco De Gregori è chiaro. Non è possibile non vedere. Non vedere è colpevole. Liliana Segre definisce l’indifferenza come “la forma di violenza peggiore”. Dimenticare equivale a non vedere. È la violenza che ritorna attualità. La traccia è un bel blues di quelli che De Gregori ogni tanto semina qui e là nei suoi dischi. Faceva parte di un album, forse sottovalutato, del 2005: Pezzi.

Bob Dylan – With God On Our Side

Tra i pezzi riguardanti la Shoah questo è uno dei più attuali. Dylan ironizza sulla capacità dell’uomo di dimenticare tutto, rimuovere il dolore, minimizzare gli errori, sentirsi nel giusto e benedetto da Dio. Tutto accade troppo velocemente e la mancanza di consapevolezza mette a dura prova il concetto stesso di Giorno della Memoria. Bob è tagliente: “La Seconda guerra mondiale finì, perdonammo i tedeschi e ormai siamo amici.

Hanno bruciato sei milioni di persone nei forni, ma anche loro ormai hanno Dio dalla loro parte”. Non è un invito a serbare risentimento nei confronti di un popolo, ma un monito preciso a non dimenticare ciò che è stato in nome di una ipocrita idea di pace.

Francesco Guccini – Auschwitz

Nel primo album di Francesco Guccini, Folk beat n. 1, figura questa canzone struggente che originariamente era stata scritta per l’Equipe 84. Il titolo da Auschwitz diventa La canzone del bambino nel vento. Il testo è uno struggente dialogo con un bambino prigioniero del campo. Il vento non è solo quello del rigore invernale polacco, ma anche quello della guerra, del volgere dei tempi, di una realtà troppo grande e tempestosa, che non risparmia nemmeno la fragilità dell’infanzia. Si sente naturalmente la lezione di Dylan, ma ci sono anche tutta l’ingenuità e l’impegno sociale degli anni del beat italiano e del Folk Studio. Soprattutto l’afflato con cui Guccini rivive la storia è di una sincerità che ancora oggi ha molto da dire.

Fabrizio De André – Khorakhané (A forza di essere vento)

Non è una canzone sulla Shoah, ma riguarda comunque un olocausto. E le circostanze storiche sono le medesime. I nazisti dichiararono i Rom “razza inferiore” e li inglobarono nello stesso universo concentrazionista cui erano destinati gli ebrei. Porrajmos è una sorta di equivalente in lingua sinti della parola Shoah. Khorakhané significa “lettori del Corano” ed è il nome di una tribù rom di fede musulmana, proveniente da Serbia e Montenegro. Il brano fa parte dell’ultimo disco di De André, l’indimenticabile Anime Salve. Anche qui, come nel pezzo di Guccini, il vento è una metafora, ma questa volta positiva. Simboleggia l’indomabile desiderio di libertà e di sentirsi senza confini da parte di un popolo. Anche nei giorni del suo genocidio.

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