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See me, touch me, hear me: l’esperienza sinestetica con il vinile di Paquita Gordon

Paquita Gordon è lontana anche dagli stereotipi maschilisti che una DJ debba quasi per forza essere una baby doll e ha spesso scelto contesti inediti ma assolutamente cool per farsi conoscere, come l’Institute of Contemporary Arts di Londra e il Pirelli Hangar Bicocca a Milano

Autore Tommaso Toma
  • Il15 Marzo 2018
See me, touch me, hear me: l’esperienza sinestetica con il vinile di Paquita Gordon

Girare con una borsa piena di vinili è già un evento raro da osservare in un DJ. Se poi a farlo è una giovane donna, per di più italiana, è una cosa quasi unica. Francesca Faccilongo, in arte Paquita Gordon è “acqua e sapone” – quindi lontana anche dagli stereotipi maschilisti che una DJ debba quasi per forza essere una baby doll – e ha anche spesso scelto contesti inediti ma assolutamente cool per farsi conoscere, come l’Institute of Contemporary Arts di Londra e il Pirelli Hangar Bicocca a Milano per l’inaugurazione della XXI Esposizione Internazionale della Triennale 21st Century. Design After Design. Ma Paquita Gordon ha anche portato la sua sacca con tanti LP in scenari dove la natura predomina come Pantelleria o il festival-boutique Terraforma, che sta crescendo di fama e interesse per il suo flirtare con un’estetica vagamente hippie-naturalista inedita per l’Italia.

Paquita Gordon (foto di Stefano Masselli)

Facciamo un gioco. Come convinceresti un giovane a scoprire il mondo del vinile?

Lo inviterei in un negozio dove si vendono tanti LP, perché rimane un luogo magico, e me ne starei da una parte a guardarlo mentre si muove tra gli scaffali, senza alcun suggerimento da parte mia. Lui o lei inizierebbe a vedere, toccare i dischi e ad ammirare le copertine, magari colpito da un’immagine, una grafica, un titolo. Poi, spero, se ne comprerebbe uno, portandosi così a casa non solo un LP ma anche una storia perché quell’oggetto evocherà tanti ricordi: il luogo dove si è comprato, il contesto come la città dov’era il negozio e magari anche la scoperta – grazie a quel disco – di un universo sonoro magari sconosciuto.

Non è facile oggi essere una DJ che viaggia con la borsa dei vinili. Prima dell’avvento del digitale era una cosa scontata viaggiare con un fardello così ingombrante ma oggi, se hai l’opzione di una chiavetta, chi ha voglia di farlo!

Certamente faccio un sacrificio scegliendo di suonare con questo formato, devo preparare le borse accuratamente, mettere le buste che contengono il vinile girate verso l’apertura, devo fare una scelta ponderata della musica che porterò con me perché poi non avrò opzioni da “giocarmi”. Ma non posso pensare a un’altra soluzione per i miei DJ set. Se usassi dei file musicali, invece che col testo interagirei solamente con dei titoli e dei nomi di canzoni. Invece avere a che fare con un disco in vinile significa interagire non solo con la “ragione” ma anche con l’istinto, la vista, il tatto: un passaggio cognitivo fondamentale per me e che cerco di trasmettere alla gente che balla, che mi sta ascoltando.

Sei una DJ che mette le tracce a tempo o una selector?

È inevitabile che quando suoni musica con la battuta in 4/4 o la drum’n’bass si debba “suonare a tempo” ma credo in generale molto nel concetto di flusso, quindi anche se sto semplicemente facendo una selezione cerco comunque di seguire un “ritmo interiore”.

E chi sono i DJ che ancora usano il vinile e che ti hanno maggiormente influenzato o impressionato?

Te ne dico due statunitensi con stili completamente opposti: Ron Trent, di cui ho avuto la grande fortuna anche di aprire un DJ set nel 2012 – lui segue un flusso preciso, quasi spirituale; e poi Theo Parrish, che invece riesce a creare contrasti tra una canzone e l’altra, portandoti in diversi immaginari con la sua selezione, dalla deep house alla techno.

Paquita Gordon (foto di Stefano Masselli)

Hai suonato a Terraforma, dove l’elemento della natura è il plus dell’evento, nel meraviglioso scenario di Pantelleria e poi vai nei club. Preferiresti suonare in mezzo al verde, di fronte al mare o nei locali?

Se dovessi scegliere? Direi in un contesto naturale, tutta la vita. Però, come molti di voi sanno, questo lavoro si sta espandendo in luoghi inediti: negli ultimi dieci anni il clubbing è arrivato nei luoghi d’arte, nei parchi, nelle piazze storiche e poi ci sono i brand che vogliono creare eventi e te li commissionano in location particolarissime. Il club rimane comunque “il tempo del DJ” e quando sono al Plastic con la mia one nite me ne accorgo!

Adesso la tua serata mensile al Plastic di Milano è la “Gordon Nights”: che succede esattamente?

Questa one nite è per prima cosa itinerante, anche se per questa stagione invernale ci siamo “stabilizzati” al Plastic. Ha avuto delle residenze a Roma, Palermo e prossimamente a Ibiza. Ogni mese invito DJ e musicisti – o più grandi di me, che mi hanno ispirato, oppure giovani talenti che mi piace proporre. Tutti devono suonare esclusivamente vinile ma sono liberissimi di scegliere il genere musicale.

Curiosità finale: so che hai studiato montaggio per il cinema, peraltro ruolo stranamente quasi sempre relegato alle donne. Ti è servito poi il cut and paste della pellicola per il mixing dei vinili?

C’è un collegamento alquanto interessante tra queste due “discipline”. Per prima cosa si lavora con la materia: nel mio caso ho imparato a fare montaggio con la pellicola 16mm, utilizzando la mitica macchina da montaggio Steenbeck. E di sicuro in entrambi i casi si cerca di trovare un ritmo, un amalgama dove diversi elementi possano trovarsi armonicamente.

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