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Artist First punta sui live, Ferrante: «Anche i concerti sono una forma di distribuzione»

Il 2023 ha visto un’impennata di concerti direttamente prodotti dall’agenzia e sono già confermati diversi appuntamenti per l’anno prossimo. Il fondatore ci spiega la strategia

Autore Federico Durante
  • Il24 Ottobre 2023
Artist First punta sui live, Ferrante: «Anche i concerti sono una forma di distribuzione»

Claudio Ferrante (fonte: ufficio stampa)

Da sempre, con la sua formula ibrida fra etichetta, distributore e management, Artist First è un’agenzia che offre servizi a tutto tondo agli artisti musicali. Ora, con l’aggiunta di una corposa attività di booking e di produzione diretta di concerti, Artist First diventa davvero una realtà a 360 gradi.

L’organizzazione di concerti da parte di Artist First era partita per progetti “spot” già prima della pandemia, con l’arrivo di Alessandro Fabozzi e la produzione del live delle Vibrazioni al Forum di Assago e l’inizio del tour di Alfa (poi rimandato causa Covid). Il 2022 ha visto il tour di Mace, che ha portato dal vivo il suo fortunato album OBE.

Ma è con il 2023 che l’attività si intensifica notevolmente. Di nuovo live delle Vibrazioni e di Alfa, più Zero Assoluto, Francesco Gabbani, Aaron. Sono già diversi i concerti annunciati da Artist First per il 2024, fra cui ben sei date italiane dei Blue (di cui due appena aperte perché le altre sono praticamente sold out).

Abbiamo intercettato il fondatore e CEO Claudio Ferrante per conoscere meglio questo nuovo salto di qualità di Artist First.

L’intervista a Claudio Ferrante di Artist First

La produzione di concerti non è una novità per Artist First ma nel 2023 si è intensificata e sono già confermati concerti per il 2024. Quali considerazioni di mercato vi hanno spinto in questa direzione?

Più che altro è stata la nostra voglia di riuscire anche a governare le dinamiche della musica live. È un settore da sempre gestito da società che hanno quote di mercato molto importanti.

L’abbiamo fatto perché ciò vuol dire avere il controllo completo di tutta la filiera e dei suoi passaggi. E anche perché negli anni ho visto tanti artisti lanciati dalla discografia e poi di fatto regalati alle grandi agenzie. Parlo soprattutto di quelle specializzate sul mercato italiano, perché l’approccio è diverso: un conto è una multinazionale che ha tanti artisti che vengono dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, un altro è chi ha quote importanti sul segmento “local”. Perché devo regalare gli artisti a loro?

Noi avevamo pensato a questa cosa già nel 2020. Con la pandemia non c’è stato tempo per la conversione, ma già nel 2022 siamo ripartiti. L’esigenza è quella di creare valore a partire da quello che abbiamo già in casa, sia come management che come parte discografica.

Siete forse l’unica realtà così a 360 gradi in Italia, capace di mettere insieme discografia, distribuzione, management e booking.

Sì, questo è il mio sogno che si realizza. Quando ero direttore di Carosello Records feci fondare una società che si chiamava proprio 360, che si occupava appunto della gestione degli artisti a 360 gradi. Ma i tempi non erano ancora maturi. Oggi invece lo sono.

Artist First nacque nel 2009: abbiamo visto l’epoca dei CD e della grande distribuzione. Quella è una macchina gigantesca, il live al confronto è una cosa più contenuta. Crediamo fermamente nel modello a 360 gradi perché è l’unico modo, oggi, per poter offrire tutto. Cambia la finalità, ma alla fine anche il live è una forma di distribuzione.

Dopo la pandemia c’è stata una vera esplosione della “domanda” di live. Dal tuo punto di vista che momento è questo per la musica dal vivo in Italia?

Quest’estate ha visto un pullulare di eventi ovunque e, nel nostro piccolo, abbiamo fatto 250 concerti da giugno a inizio ottobre. Il Covid ha radicalmente cambiato l’attitudine delle persone. Ora che il peggio sembra essere passato, torniamo ad abbracciarci senza le mascherine e la cosa più normale che si possa fare è andare a un concerto. Sul mercato sicuramente c’è una grandissima offerta. In Italia, come in tanti altri paesi, i concerti quest’estate sono stati la forma principe di intrattenimento.

In una nostra recente intervista, Charlie Rapino diceva: “Sempre che la discografia esista ancora”. Cos’è oggi la discografia per Claudio Ferrante?

La discografia resta un mondo di valori in cui tutti ci ritroviamo. “Discografia” viene dalla parola “disco”, ma oggi un artista si declina in revenue digitali, merchandising, live, sfruttamento dell’immagine brand partnership… è tutto molto più variegato e complesso.

Concordo con la frase di Charlie. È che esiste un altro tipo di discografia che ha imparato a sopravvivere a momenti molto duri, come quello del 2009, quando il mercato crollò. La stessa discografia oggi guarda molto al live.

Comunque quella del talent scout è una figura che non morirà mai. È vero che l’A&R è tutta un riflesso dalle piattaforme (non devi più andare nei club: basta che monitori Spotify), ma è una cosa che i promoter in sé non faranno mai, perché fanno un altro mestiere.

In Artist First c’è un nuovo dipartimento che si occuperà dello sviluppo internazionale di progetti italiani. Ci puoi spiegare meglio il progetto?

A Londra abbiamo un ufficio occupato da Charlie, dove lavoriamo allo sviluppo internazionale delle carriere degli artisti. Abbiamo iniziato con Dardust, con un contratto con Sony Music Masterworks in America. Abbiamo una partnership con Various Artists Management di David Bianchi per Sophie and The Giants.

È una piattaforma con cui cerchiamo di dare un percorso agli artisti, perché i rapporti che abbiamo con i media e con gli addetti ai lavori sono consolidati ormai da tanti anni. Stiamo lavorando in quella direzione e di perseguire quelle operazioni in cui l’artista italiano diventa di appeal. Perché l’Italia è un “emerging market”. Con i Måneskin l’Italia ha brillato tantissimo dal punto di vista discografico.

Però spesso l’industry italiana fa fatica a fare sistema quando si tratta di andare sul mercato internazionale.

Puntare ai Måneskin va benissimo ma il processo di internazionalizzazione può essere applicato a livelli molto più bassi: un piccolo tour, una piccola fanbase all’estero, una collaborazione con autori internazionali…

Con Alfa per esempio abbiamo fatto a Los Angeles un percorso con grandi autori. Oppure prendi il suo featuring con Rosa Linn su Snap. Anche questi sono processi di internazionalizzazione. Oppure la ricerca del giusto produttore: per Francesco Gabbani abbiamo iniziato a lavorare con un altro italiano all’estero, Marco Sonzini. È necessario mettere la testa fuori e cercare ispirazioni.

Tornando ai live, fra i vostri prossimi progetti ci sono le date dei Blue (tutte già praticamente sold out, fra l’altro). È il primo gruppo internazionale su cui lavorate, dunque un bel salto di qualità. Come è arrivata questa opportunità?

Noi siamo sempre molto attenti a quello che accade in giro. Con gli Zero Assoluto abbiamo capito che c’era un ritorno della nostalgia per quegli anni. Avevo saputo che i Blue erano disponibili, siamo subito andati a Manchester a fargli un’offerta per averli sul mercato italiano. Nasce tutto sempre da un’esperienza “local”. Ci sono varie nicchie: quella dei nostalgici è molto importante. Così ci siamo fiondati.

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