Perché serve una Federation of Music Conferences?
Linecheck è fra i fondatori di una federazione che ha come obiettivo immediato lo sviluppo del dialogo fra le istituzioni europee e gli attori della filiera musicale nel continente. Ne parliamo con Dino Lupelli
L’annuncio è arrivato a gennaio durante l’ultima edizione di Eurosonic Noorderslag, il celebre conference festival che si tiene dal 1996 a Groninga, nei Paesi Bassi: alcuni dei principali eventi del genere a livello europeo univano le forze per dare vita alla Federation of Music Conferences.
Fra i soci fondatori, oltre allo stesso ESNS, figurano la East European Music Conference (Sibiu, Romania), MaMA Music & Convention (Parigi), Reeperbahn Festival (Amburgo), la Tallinn Music Week e Linecheck, da anni il principale conference festival italiano (oltre che da sempre main content partner della Milano Music Week).
Naturale catalizzatore di stimoli e punti di vista dell’intero “ecosistema” musicale continentale, senza distinzioni pregiudiziali fra grandi player e realtà indipendenti, la federazione è già stata incaricata dalla Commissione Europea di sviluppare il dialogo con la filiera per porre le basi delle future policy comunitarie in campo musicale.
Il fulcro per adesso è l’Europa, ma lo sguardo è globale: sono tantissime e decentrate le realtà analoghe in giro per il mondo (la Federation of Music Conferences stima un numero di 500) che si punta a coinvolgere nel progetto, anche per mettere in comunicazione mercati apparentemente distanti fra loro.
Ne parliamo con Dino Lupelli, direttore generale di Linecheck e consigliere della Federation of Music Conferences.
Dino Lupelli racconta la Federation of Music Conferences
Perché una federazione di questo tipo? Su quali premesse si basa e quali sono gli obiettivi?
La premessa è l’aver riscontrato in questi anni il ruolo di questo tipo di manifestazioni, che sono nate per creare opportunità di incontro e di approfondimento. Stanno crescendo a livello internazionale e sono sempre più interessanti, proprio perché rispondono a un bisogno di interazione, la quale durante la pandemia si è rivelato importante, al punto da sostituire quella fisica con quella virtuale.
I soggetti che producono queste music conference hanno delle visioni molto simili e insieme costituiscono una famiglia che si riconosce in determinati valori: per esempio il fatto di dare spazio all’industria in modo orizzontale, che si tratti di player grossi oppure indipendenti e piccoli. La nostra è una necessità di coordinamento degli obiettivi, dei calendari, di mettere insieme queste attitudini per creare qualcosa di nuovo.
Quale sarà l’attività ordinaria della Federation of Music Conferences? Che tipo di “massa critica” intendete fare?
Stimiamo che nel mondo ci siano circa 500 music conference. Parliamo di numeri globali, di entità che magari nascono e muoiono oppure si trasformano… Ma comunque esiste una rete possibile che è importante.
Il day by day è la posizione della rete, che sarà anche un soggetto che accompagnerà un progetto concreto voluto dalla Commissione Europea che durerà i prossimi quattro anni: un ciclo di dialoghi per costruire il futuro della musica a livello di policy europee. Ci hanno chiesto di poter essere la realtà attraverso cui tastare il polso alla filiera, con i suoi vari attori, per capire in quale direzione portare il sistema di leggi che regolamentano i fondi e lo sviluppo della musica a livello europeo.
In Europa esiste il progetto Music Moves Europe, all’interno del più ampio programma Creative Europe. L’idea della Federation of Music Conferences è di cercare di capire se ci possa essere qualcosa di più corposo, a livello economico ma anche tagliato sui bisogni del nostro specifico ecosistema.
Chi sono esattamente gli interlocutori di questo dialogo in cui voi vi ponete come intermediari?
Sono tutti quelli compresi in quello che definiamo appunto un “ecosistema” musicale. Un ecosistema è una realtà diversa da un mercato: al posto della competizione fra i player, si guarda al beneficio di una collaborazione per aumentare la dimensione della torta, anziché spartirsi le fette esistenti.
Questo è il punto di vista che vogliamo portare in questi dialoghi, anche cercando di capire esattamente come si compone questo ecosistema, cosa non semplice. L’industria è fatta per larga parte di freelance e persone che cercano di fare impresa dal basso.
Il nostro obiettivo è favorire il dialogo, non trovare soluzioni. Non siamo i policy makers: quelli stanno a Bruxelles e fanno il loro lavoro. Questo non significa che dal dialogo vengono esclusi i rappresentanti delle istituzioni: anche loro hanno una parte centrale.
Il programma verrà lanciato il 10 maggio all’interno della prima delle tappe di questo percorso, la Tallinn Music Week. Verrà ripreso a fine anno a Linecheck per la sua seconda tappa. Ce ne saranno dieci in tre anni, anche con attività a Bruxelles che puntelleranno questo percorso.
Avete detto a più riprese che la Federation of Music Conferences è aperta alla possibilità che altri futuri associati entrino nella federazione. Quali sono le vostre proiezioni future da questo punto di vista?
Il percorso sarà proprio quello di essere più rappresentativi possibile. A partire dall’Europa per avere poi connessioni con altri continenti, come ci è già stato chiesto. Il fenomeno è molto ben distribuito: è qualcosa di necessario, e in quanto tale prolifera come formato.
È necessario da due punti di vista: uno interno al mercato e uno istituzionale. Un po’ dappertutto si sta cercando di trovare quali sono le industrie su cui puntare. Se in un momento storico come questo escludi tutte quelle che producono inquinamento o sviluppo non sostenibile, ovviamente la musica è fra le migliori.
Le music conference nascono perché c’è la necessità di mettere a dialogo le istituzioni con i player, e fra i player creare movimento. La cosa interessante è, attraverso le music conference, andare a connettere mercati anche molto distanti fra loro. Ogni mercato ha le sue specificità e può contribuire ad arricchire gli altri.
Quali sono alcune delle tue più grandi soddisfazioni di tutti questi anni di Linecheck, a livello di live memorabili ma anche di risultati strategici raggiunti?
Il risultato strategico più importante è quando trovi gente che dopo anni ti riconosce perché la loro attività professionale è partita da lì oppure perché a Linecheck sono nate connessioni o opportunità importanti. La mission di Linecheck è proprio la parte di incontri. I primi avventori di Linecheck ormai sono da otto anni sul mercato e si sono evoluti anche loro. Quella è la cosa che mi ritorna costantemente.
Per quanto riguarda la parte live, ce n’è uno che mi sono perso (e mi mangio le mani): Arlo Parks nel 2019. A Linecheck sono passati tanti artisti che oggi fanno anche numeri importanti: uno su tutti, Lewis Capaldi.
Cosa ci puoi anticipare su Linecheck 2023?
È già noto il tema: “Many Kisses”, orientato non tanto al ricordo in sé dei Krisma, che fecero quel brano che girò un po’ in tutto il mondo, quanto piuttosto a un loro ricordo “dinamico”, al pensare come attraverso una storia come la loro si possa immaginare una musica italiana più protagonista a livello internazionale, grazie a nuove visioni.
Vedremo un Linecheck in cui si spera di dare respiro a due aspetti speculari su cui si deve lavorare. È un concetto di import/export. Dobbiamo capire che la musica non può essere consumata solo all’interno dei nostri confini e non possiamo essere così incapaci di portare la nostra musica all’estero. E non è che siamo incapaci: è che ancora non c’è un movimento, un interesse collettivo verso la nostra scena. Questo non può non essere un obiettivo.
Cercheremo di capire ancora una volta se e come la scena italiana, che in questi anni è cambiata in positivo mettendo al centro protagonisti giovani, può fare questo scatto in più. Ovvero non accontentarsi di giocare in un campionato inferiore rispetto a quello di altri mercati ma provare a giocare nella Champions League con gli altri. Non basta avere un solo fuoriclasse come i Måneskin: bisogna avere una panchina lunga per vincere i campionati.