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Matteo Fedeli (SIAE): «No negoziazione alla cieca, da Meta mancanza di trasparenza sui dati»

Il direttore generale dice la sua sull’interruzione delle trattative con l’azienda di Zuckerberg. Che fare per evitare lo stallo?

Autore Federico Durante
  • Il17 Marzo 2023
Matteo Fedeli (SIAE): «No negoziazione alla cieca, da Meta mancanza di trasparenza sui dati»

Matteo Fedeli, direttore generale di SIAE (fonte: ufficio stampa)

Come un fulmine a ciel sereno, ieri la notizia del giorno (ma anche della settimana o del mese) è stata quella del mancato accordo tra Meta e SIAE sulla licenza di utilizzo dei brani del catalogo musicale gestito da quest’ultima.

In parole povere: in Italia niente più musica su Facebook e Instagram, perlomeno non quella tutelata da SIAE, che – pur non essendo più monopolista – continua a gestire il diritto d’autore della grande maggioranza della musica italiana.

“A partire da oggi, avvieremo la procedura per rimuovere i brani dal repertorio SIAE all’interno della nostra libreria musicale”, ha dichiarato Meta. Dal canto suo SIAE ribatte: “Ci viene richiesto di accettare una proposta unilaterale prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio”.

Un evento senza precedenti all’epoca dei social nel nostro paese, con conseguenze ancora tutte da vedere per artisti e case discografiche, oltre che per content creator e utenti comuni. Abbiamo raggiunto telefonicamente Matteo Fedeli, direttore generale di SIAE, per un suo commento a caldo.

English version

Cosa ha determinato la rottura? Sono stati degli aspetti specifici a far fallire l’accordo o era l’impianto complessivo?

La mancanza totale di trasparenza sulle informazioni da parte di Meta. Non ci hanno fornito nessun dato che ci permettesse di perimetrare meglio la negoziazione. Quando parliamo di piattaforme complicate come Facebook e Instagram, dotate di più servizi (su Instagram ci sono post, storie, reel), il fatto di non avere idea di quanto advertising ci sia su una piattaforma, quanto ci sia di video e di musica, significa fare una negoziazione alla cieca.

Tutto si è interrotto perché a un certo punto Meta ha posto un’ultima offerta, la cosiddetta “take or leave”, arrivata a un punto in cui eravamo ancora a una distanza importante uno dall’altro. Praticamente un’imposizione, non una negoziazione. Loro riceveranno pure direttive di budget dalla California, ma non è una giustificazione: la definizione del valore del diritto d’autore non è fatta da loro. La negoziazione è stata interrotta dal loro comunicato stampa che avete letto ieri mattina.

In che modo, secondo SIAE, questo atteggiamento va contro la direttiva copyright europea?

La direttiva dice espressamente che loro ci devono permettere di capire il modello di business e come girano i soldi su quel modello. Il concetto che vogliamo trasmettere è “the more you share, the less you pay”. Cioè, quando tu mi devi far fare delle ipotesi, chiaramente io mi devo tenere largo, e magari il rischio è che ti chiedo troppo poco. Se ci pensiamo bene, il “value gap” nasce da un “information gap”: se non so come fai i soldi, è chiaro che ti posso chiedere “stupid money”, in alto o in basso. Noi sappiamo che non stiamo chiedendo la luna, stiamo chiedendo una cifra assolutamente ragionevole.

L’aspetto economico è regolato sulla base di un forfait o di percentuali sulle visualizzazioni, stile streaming?

Su tutti i soggetti stiamo cercando di ottenere delle condizioni che sono a “revenue share”. Ha senso per noi e per loro: se il tuo business va bene, io vado bene. Come gli stream: ormai c’è uno standard di mercato che dice che tu prendi una certa percentuale del valore generato dalla piattaforma sugli stream che afferiscono ai tuoi aventi diritto. Ma questo presuppone che tu conosca il loro fatturato.

Come mai questi problemi non si sono verificati con altre piattaforme che fanno largo uso di contenuti musicali, per esempio TikTok?

Nelle negoziazioni ci sono delle “liturgie”, ma quello che ha fatto Meta ha poco senso. È come se giocando a Risiko decidessi di ribaltare il tavolo e far cadere tutti i carri armati per terra. A quel punto devi ricominciare. La negoziazione con YouTube, per fare un esempio, non è stata semplice ed è durata dieci mesi, ma è sempre stata una conversazione molto cordiale e alla fine siamo riusciti a trovare un accordo.

Quello che è successo ieri rappresenta un caso unico in Europa. Che fare per riprendere le trattative? Che aperture si aspetta SIAE da Meta?

Meta ha dichiarato pubblicamente di essere aperta, il problema è che la loro posizione sembra piuttosto granitica. Noi vogliamo sederci al tavolo e in buona fede trovare un accordo che sia soddisfacente.

Il confronto con YouTube è stato acceso, ma dopo l’accordo li abbiamo anche invitati a Sanremo a Casa SIAE. Perché comunque sono dei partner, sono piattaforme su cui la musica viene utilizzata. Se un partner fa quello che ha fatto Meta non è bello, da un punto di vista negoziale e di relazione nei nostri confronti.

Ma se nessuna delle parti fa concessioni all’altra non si rischia uno stallo indefinito?

Noi rappresentiamo 100mila aventi diritto. Quello che hanno fatto è molto grave da un punto di vista sostanziale: hanno oscurato la musica italiana. O meglio, hanno detto che lo fanno, ma saranno in grado di togliere tutto? Di togliere le cover, i live? Sembra molto un’azione che vuole mettere in difficoltà il mercato per poi farlo cedere e dire di sì.

Ovviamente la rimozione del repertorio SIAE da Facebook e Instagram ha conseguenze notevoli per artisti e case discografiche. Quale messaggio vorresti che arrivasse a loro da SIAE?

Noi cerchiamo sempre di trovare un accordo. Il nostro obiettivo è garantire a tutta l’industria musicale di non perdere in termini di valore aggiunto. Ma anche per quanto riguarda il consumatore finale ci rendiamo conto che veder sparire i propri beniamini dalla sera alla mattina non è bello. Anche un consumatore finale si deve rendere conto che c’è qualcuno che vive sui diritti d’autore.

Abbiamo ricevuto messaggi di solidarietà da tutta l’industria musicale, perché tutti si rendono conto che c’è un problema col value gap e con uno strapotere delle piattaforme che permette loro di immaginare un’operazione unilaterale come quella di ieri. È una cosa che danneggia il mercato, soprattutto per dei soggetti “local” come noi.

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